Molfetta, libro di pietra: Se parlasse… la città. L'Azione cattolica sui nuovi stili di vita
MOLFETTA - “Se parlasse… la città”: è l’invito a valorizzare ogni singolo anfratto di Molfetta, a edificare una sinergia costruttiva tra gli abitanti, a “sentire la voce” dei monumenti imponenti, come di quelli traballanti, a impostare la propria identità di “cittadino molfettese” con la città e per la città. Presso la sala Finocchiaro, l’Azione Cattolica diocesana ha presentato la campagna sui nuovi stili di vita di quest’anno.
L’evento è stato presentato da Angela Paparella, presidente diocesana di Azione Cattolica. Sono seguiti il saluto di Mons. Domenico Cornacchia, nostro vescovo e l’intervento di Giandomenico Amendola, professore ordinario di Sociologia Urbana presso la facoltà di Architettura dell’Università di Firenze, che ha voluto intitolare “La città come libro di pietra” (Nella foto: Paparella, Cornacchia, Amendola).
«La campagna richiede la partecipazione di tutti, non solo “degli addetti ai lavori”. Ci interroghiamo sulla vocazione economica, sociale, culturale e civile della città: cosa la rende a misura d’uomo? Per viverla, c’è bisogno di impegno, coscienza del nostro patrimonio, conoscenza dei limiti che si incontreranno, voglia di assaporarne la bellezza e le contraddizioni. Bisogna andare alla ricerca dei luoghi di bellezza, redenzione, lavoro, impegno civile: questo, è il momento di dare un nuovo segnale e maturare le proprie responsabilità. Ogni gruppo parrocchiale deve alzarsi e, valorizzando il suo tempo e i suoi spazi, percorrere la strada ordinaria della città». Esordisce così Angela Paparella e poi continua illustrando le sue fonti di ispirazione per la campagna: il libro di Italo Calvino “Città invisibili” con il quale l’autore, tramite metafore e parole, disegna il ritratto della città tipo; l’enciclica di Papa Francesco “Laudato si’” che è una grande esortazione a sentirsi continuamente in viaggio e mai statici e fermi, ad alzarsi e ad andare in fretta.
«L’obiettivo finale è quello di incontrare la gente all’interno di scuole, chiese e associazioni. Cosa ci direbbe la città? A chi parlerebbe? Tutti i cittadini sono invitati a rispondere a queste domande su alcune cartoline e a imbucarle in un’apposita cassetta postale, che sarà infine consegnata al centro diocesano. A chiusura campagna, le cartoline saranno consegnate alle quattro amministrazioni comunali e si illustrerà il percorso fatto» spiega Angela Paparella, prima di lasciare la parola al vescovo, che si è speso in un intervento breve ma efficace.
«La prima domanda che mi sono posto è stata: cosa direi alla città? Ogni cittadino deve diventare una pagina del libro, una pietra indelebile su cui incidere qualcosa. Da dove vengo conta il pane, frutto del duro lavoro e non la pietra, che invece ha il compito di fare da ammortizzatore, di drenare: è facile accorgersi di come anche la pietra di scarto ha valore! Dopo il viaggio a Palmira, ricchissima città della Siria, ho capito che l’uomo può distruggere la pietra, ma mai la memoria di un popolo: nei cuori, la gente scrive pagine indelebili. Il proverbio orientale ci ricorda “le foglie secche cadono sempre verso le radici”: significa tornare alle proprie radici e diventarne concimi per costruire un legame indissolubile con le proprie origini. E’ anche importantissimo il legame con l’altro, che è nostro concittadino, ma soprattutto nostro fratello. Ora, don Milani ci direbbe “Tu mi appartieni, sei ciò che manca al mio io”. Non essere indifferenti davanti alle città è un nostro dovere!». Queste, le parole del vescovo Domenico Cornacchia, pregne di un’esperienza personale significativa e della volontà di annodare anche alla nostra città un filo indissolubile.
L’intervento del prof. Giandomenico Amendola, esperto di impareggiabile conoscenza in materia e abile relatore, è iniziato proprio con la spiegazione del titolo «Ogni città è un libro dove devono scrivere tutti, non solo i potenti: va letto come tutti i libri e non dobbiamo limitarci a guardarne solo le figure. E quindi, quando si impara a leggerlo, si sa anche scriverlo e attribuire tutti i significati che si sono persi. Calvino diceva che, in una città, la gente deve emergere dai corrimani, dagli intonaci, dai mattoni: noi, ora, attraversiamo le strade senza neanche accorgercene. Le città parlano: a Bari, ogni quartiere è di costruzione diversa, e questo salta all’occhio. Se prendiamo le distanze dalla realtà, finiremo con il costruire città mediatiche, contenitori di ciò che la gente vuole: la città deve essere, invece, un patto fra diversi. L’episodio biblico della torre di Babele, ci insegna che la città muore se non è impiantata sulla diversità, se i cittadini non sono educati alla tolleranza. Tutti abbiamo il diritto alla città, ossia il sinolo tra la dichiarazione che ci rende parte del mondo e l’insieme di tutti i nostri diritti specifici. La città e nostra: è nostro il diritto di scrivere cosa conosciamo e di decidere dove operare il cambiamento che soddisfi i nostri bisogni».
Dopo un dibattito tra i presenti e il professore, è stato proiettato un video, già esposto alla Marcia della Pace, che racconta una storia inventata proprio sulla nostra, meravigliosa, Molfetta.
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