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Molfetta, L'Italia dei Valori si fa sentire: "una politica nuova, capace e garantista"
02 dicembre 2011

MOLFETTA - L'IDV (Italia dei Valori) di Molfetta dice la sua sulla situazione politica locale, attraverso un comunicato:

«La collocazione dell'IDV nell'area politica locale del centrosinistra, area da non ritenersi per nessun motivo "zona franca" per i catecumeni della politica desiderosi di "abbracciare" nuove fedi, pone le basi per riflettere su alcuni concetti strutturali e programmatici.
Oggi è prioritario, più che mai - come cita il comunicato -, il bisogno di stare dalla parte del cittadino e dell'intera comunità molfettese che, ormai amareggiata, delusa e perfino irritata, avverte la necessità di sottrarsi al giuoco di una classe politica (qualunque essa sia) opportunistica, impreparata e perfino cinica. Da qui la necessità di promuovere un'alternativa di governo della città che sia in grado di affondare le proprie radici in un terreno di valori imprescindibili, essenziali e non più prorogabili. Tutte le forze politiche del centrosinistra devono prendere coscienza che non basta promuovere attraverso il "Cantiere" (iniziativa comunque valida ed apprezzabile per i suoi principii ispiratori) un orientamento di svolta, una normale programmazione seppure diligente e concreta.
Tutto questo è soltanto una semplice cornice ad una tela che praticamente non c'è. Una tela su cui invece occorre disegnare e dipingere una città a tinte forti, perché le sfumature di una decadenza morale, politica e amministrativa hanno perfino sbiadito la memoria di una città che merita tutt'altra storia e tutt'altro destino.
Su questa tela l'IDV intende spalmare le prime pennellate ed invita le altre forze politiche e tutte le rappresentanze associative riconducibili al centrosinistra, a considerare seriamente una coalizione unita e forte, capace di porre al di spora di ogni cosa la volontà di cambiare veramente la politica e la città. Non desideriamo un centrosinistra coagulato dai numeri (e per questo obiettivo aperto a forze politiche difficilmente "compatibili" con quelle del centrosinistra), ma coeso attraverso la forza di idee nuove, di persone nuove, di spinte sovversive e cariche di capacità innovative. Superare le Primarie per individuare insieme un Candidato Sindaco che sia sintesi e forza dei valori che proponiamo lo riteniamo ancora auspicabile e possibile. Se diversamente, avvertiamo il dovere di continuare a promuovere, difendere, e per quanto ci sarà possibile, di osare la Politica con chi vorrà essere nostro compagno di viaggio».  

 

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La politica è stata sostanzialmente inventata da Platone ed è quindi una cosa tutto sommato recente. Prima della politica c'era la tirannide. Oggi, come scrive Giacomo Marramao, “la politica appare come un sovrano spodestato che si aggira tra le antiche mappe dello Stato e della società, rese inservibili perché più non rimandano alla legittimazione della sovranità”. Utile per le rappresentazioni, per la raccolta e l'organizzazione delle identità, delle appartenenze, delle passioni, oggi la politica non sembra essere più il luogo della “DECISIONE”, perché, per decidere, deve guardare all'economia, e l'economia, a sua volta, per decidere i suoi investimenti guarda alle disponibilità e alle risorse tecnologiche. Quando si sostiene che potremo difenderci dall'invasione dei prodotti cinesi solo migliorando la nostra tecnologia, e dunque investendo nella ricerca, è come se si riconoscesse il primato della tecnica sull'economia, a sua volta fondato sul primato dell'economia sulla politica. In questo senso, la politica diventa la “rappresentazione” della decisione, non più il “luogo” della decisione. Tutto ciò che non è esente da rischi perché, come ci ricorda Platone, le tecniche sanno come si devono fare le cose ma non sanno se quelle devono essere fatte e perché devono essere fatte. Di qui la necessità, sempre secondo Platone, di quella “tecnica regia”, che è la politica capace di assegnare alle tecniche le finalità delle loro procedure. Oggi il rapporto tra tecnica e politica, che per Platone doveva sovraintendere le tecniche, si è completamente capovolto. La tecnica conferisce potere a tutti coloro che operano in un apparato. Per cui, ad esempio, bastano dieci controllori di volo per fermare tutto il complesso della navigazione aerea, quando un tempo, uno sciopero tradizionale, per avere successo, doveva coinvolgere l'ottanta per cento dei lavoratori di un certo settore. Siamo quindi di fronte a un potere nuovo. A questo punto, invocare politici decisionisti nell'età della tecnica è quanto di meno efficace possa esistere, perché se basta una piccola astensione per bloccare tutto l'apparato, il lavoro del politico dovrà essere di “mediazione”, più che di “decisione”. La decisione non è compatibile con la funzionalità della tecnica. Inoltre la tecnica potrebbe determinare la “fine della democrazia” (il condizionale è motivato dal fatto che siamo tutti affezionati alla democrazia, ma in realtà si potrebbe anche dire che essa è già venuta meno). La tecnica ci mette di fronte a problemi sui quali siamo chiamati a pronunciarci senza alcuna competenza. Basti pensare, a titolo esemplificativo, al referendum sulla fecondazione assistita, o al dibattito sulle centrali nucleari, o a quello sugli organismi geneticamente modificati. In tutti questi casi si possono giudicare con competenza i termini dei problemi solo se si è rispettivamente un biologo, un fisico nucleare o un genetista. Le persone prive di queste specifiche qualifiche prenderanno posizione su basi “irrazionali”, quali sono l'appartenenza a un partito, la fascinazione per chi è maggiormente persuasivo in televisione, la simpatia per un politico. Platone avrebbe definito questo sistema, che oggi potremmo chiamare “telecrazia”, in termini di “retorica” o “sofistica”. Che cos'era la retorica all'epoca di Platone? Dei trentacinque dialoghi che il filosofo ateniese ci ha lasciato, una decina sono indirizzati contro i retori e i sofisti, cioè contro coloro che ottengono il consenso non con argomenti razionali, non insegnando come vanno le cose, non distribuendo competenza, non argomentando le loro tesi, ma sulla base della mozione degli effetti, della sofisticazione dei paralogismi, dell'appello all'autorità, della persuasione emotiva. Secondo Platone costoro devono essere espulsi dalla città perché non può nascere un sistema democratico finchè ci sono tali mistificatori del linguaggio e del consenso. La “telecrazia” rischia di cancellare la democrazia, riproponendo il problema sollevato da Platone a proposito della “retorica” e della democrazia. Noi oggi ci troviamo nella stessa situazione, perché la tecnica mette sul tavolo problemi che richiedono una competenza di gran lunga maggiore rispetto a quella di cui disponiamo. (Tratto da: I miti del nostro tempo – Umberto Galimberti)






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