Molfetta e la falsa meteora del centro commerciale…
MOLFETTA - La profonda crisi in atto negli Stati Uniti, che si sta già riverberando in Europa e, dunque, in Italia, dei grossi colossi della distribuzione a dettaglio, i cosiddetti “malls”, templi dello shopping della classe media e luoghi di incontro e socializzazione già dagli anni 50 (3.600 i negozi chiusi, oltre 8.500 quelli che chiuderanno entro la fine del 2017), offre oggi nuovi e più svariati punti di riflessione sulla questione del centro commerciale di Molfetta che tanto clamore e differenti reazioni suscitò qualche anno fa nella cittadinanza, tra le forze politiche di governo e di opposizione e tra i rappresentanti di categoria.
Il polo Mongolfiera-Outlet Village della zona ASI, con le sue vetrine scintillanti, il parco giochi, i bar, pizzerie, gelaterie, ecc., venne allora visto soprattutto da negozianti e imprenditori come una seria e fondata minaccia al commercio locale, quello detto “di vicinanza”, malgrado si riconoscesse da più parti che il nuovo flusso di clientela e visitatori “esterni”, opportunamente e strategicamente intercettato e convogliato verso la città e i paesi limitrofi, avrebbe potuto fare da volano ad un’economia stagnante, incentivando il turismo, offrendo occupazione, reddito, opportunità di vario genere non solo economiche perché, come dice lo scrittore Italo Calvino “le città non sono solo scambio di merci ma anche di gesti, parole, emozioni, tempo, saperi”.
Il centro commerciale venne percepito come la panacea, ma anche la causa dei mali della città, non tutti si resero conto o ammisero o vollero ammettere che il settore era già in crisi per problemi annosi e per ragioni più profonde e strutturali (scarsa propensione dei commercianti al rinnovamento, alle strategie di marketing e ai processi organizzativi, alle tecnologie ed informatizzazione, poca formazione delle risorse umane, ecc.) e che se non si fosse corso in tempo ai ripari, se non si fossero cercate anche soluzioni di tipo urbanistico (parcheggi, cura del verde, pulizia e decoro delle strade, illuminazione, sicurezza, ecc.) con amministrazioni ed amministratori attenti, sensibili e perspicaci, al fine di rendere la città più allettante e accessibile, la polvere nascosta sotto il tappeto, prima o poi sarebbe venuta fuori grazie a qualche colpo di vento.
Così è stato, molti negozi del centro hanno chiuso desertificando e spopolando la città, rendendola simile ad un guscio vuoto ma hanno chiuso e stanno chiudendo anche vari negozi del Fashion District, decine di dipendenti, assunti con contratti capestro, rischiano di perdere il lavoro: la folla che si riversa nei week-end intasando per ore la statale 16, più che fare acquisti, mangia pizze e gelati, sonnecchia sdraiata sui divani, è fatta di nonni parcheggiati un po’ ovunque, di bambini iperattivi e adolescenti con gli smartphone che non si parlano tra loro, ma telefonano sempre a qualcuno che non c’è.
La falsa meteora del centro commerciale ha illuminato poco e male: a Molfetta, come in tanti altri posti, ha riproposto la stessa crisi della città, con la diminuzione dei consumi, le spese ridotte all’osso da parte delle famiglie e delle singole persone, la nuova propensione a silenziosi acquisti on-line, la mancanza di contatto, conoscenza e relazione tra le migliaia di persone che si passano accanto ogni giorno, senza vedersi, né prestarsi attenzione.
Nonostante gli sforzi per tentare di diventare anche poli di aggregazione e promotori di cultura e servizi per la collettività, i centri commerciali, il cui declino, cominciato già da qualche anno, è, secondo gli esperti, lento ed inesorabile, restano i “non luoghi” per eccellenza, così come furono definiti dall’antropologo francese Marc Augè nel 1992, e gli outlet, le finte e malinconiche città ricostruite per soppiantare quelle vere, per mimare una vita che non esiste, rivelano tutta intera quella solitudine urbana che ci abita da tempo, che non riusciamo più a soffocare con lo shopping, così come un tempo ci piaceva fare.
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