Difficile pensare Molfetta senza il suo mare, senza la stretta relazione che da sempre lega i suoi abitanti ad una vera e propria adorazione per questo tanto temuta eppure contemplata dimensione, naturale e sociale. Questa appassionante relazione ha radici lontane nell’antichità, ne sono testimonianza documenti rinvenuti che testimoniano scambi commerciali con Ragusa già dal 1200. Nei secoli, al piccolo cabotaggio si sono affiancati itinerari più lunghi verso i porti dell’alto Adriatico, tanto che nel Settecento, prima gli Austriaci e poi i Borboni, fecero rientrare Molfetta nel programma di ammodernamento della marina mercantile, convinti dell’importanza strategica del Regno di Napoli nel Mediterraneo. L’introduzione della pesca “alla gaetana” (a strascico), nella seconda metà del Settecento, determinò un mutamento importante nei metodi di pesca e nello sfruttamento delle risorse ittiche, furono dunque necessari ammodernamenti e nuovi strutture per proteggere le barche dalle maree e dai venti. E’ così che, nel 1844, si assistette all’ampliamento del molo cinquecentesco, aggiungendo i due moli di “San Michele” e di “San Corrado”, a cui seguì il potenziamento della marineria, peschereccia e mercantile, e un processo di industrializzazione di cui fu protagonista il ceto imprenditoriale locale. Iniziarono a consolidarsi e valorizzarsi le esperienze di maestranze molfettesi di maestri d’ascia e calafati, che costruivano imbarcazioni di ogni tipo. Insieme a Mola e Monopoli, Molfetta divenne un importante riferimento per la cantieristica navale. Artigiani esperti nella costruzione di imbarcazioni popolano Molfetta sin dal XIV secolo, si trovano testimonianze in diverse note di storici locali: “Fin dal 17 luglio 1353 venivano reclamati dall’Università di Molfetta i diritti di riscossione sui mastri lavoranti vascelli, sulle barche civium, su quelle exterorum e sull’ancoraggio.– (Libro Rosso, “De li mastri lavoranti vascelli”, Samarelli). Nel catasto molfettese già dal 1561 si trovano tracce di registrazioni di falegnami (inseriti nella professione dei maestri d’ascia), accanto ai proprietari di barche. L’industria cantieristica molfettese si potenziò nel XVIII secolo ma il suo periodo d’oro è ascrivibile al XIX secolo, quando città costiere limitrofe richiedevano manodopera specializzata da Molfetta. Sorsero allora i casotti per il deposito degli attrezzi in zona Cala dei Pali e Maddalena e, in seguito, nel XX secolo si consolidarono le attività legate alla cantieristica navale (reti da pesca, funi e cordami, catene). Queste attività collaterali coinvolgevano quasi tutta la comunità locale; ad esempio, le reti erano sistemate a terra da mani sapienti di donne e pescatori anziani che, sino agli anni cinquanta del Novecento, riparavano e rammendavano le reti danneggiate quando le barche rientravano. Si lavorava all’esterno, davanti alle proprie abitazioni oppure in locali a pianterreno; c’erano inoltre imprese specializzate in fabbricazione di reti di grandi dimensioni (Gambardella, Durazzini, Amato, Caffarella) e ogni marinaio conosceva l’arte del rammendo e della congiunzione delle pezze di rete. Il mare ha interessato ogni aspetto della vita sociale di Molfetta in modo molto intenso a profondo, almeno sino agli anni Settanta e Ottanta del Novecento, quando le trasformazioni economiche e tecnologiche che si sono dispiegate hanno fatto temere la scomparsa della gente di mare, così come è stato per contadini e artigiani. Vi sono legami che facciamo fatica a recidere, che sono per sempre, perché sono dentro l’infrastruttura materiale e immateriale di un posto, che trasformano uno spazio in un luogo, che lo appaesano, lo rendono familiare, con profumi, odori, musiche, fotografie, storie, ricordi e silenzi. Il mare è dentro la biografia di ogni molfettese, con un porto che rappresenta la principale piazza della nostra città, una piazza liquida, come una volta l’ho sentita nominare dall’ex assessore alla cultura Betta Mongelli, che attrae ancora cittadini, camminatori, pensatori, innamorati, visionari, poeti e disperati. Sopravvive e si alimenta il culto religioso e della tradizione popolare, come il “busso” e la processione che ogni anno i marinai scalzi dedicano alla Madonna loro protettrice, per rinnovare l’impegno della devozione in cambio della protezione. L’effige della Madonna dei Martiri si trova sugli innumerevoli ex voto custoditi nella relativa Basilica e nel culto e nella fede di milioni di molfettesi emigrati oltreoceano. Nascono modi nuovi di immaginare e praticare un legame indelebile e collettivo, che segna la memoria e stimola la fantasia di ogni molfettese: giovani cantautori locali traggono ispirazione dalla loro identificazione con “Molfetta città di mare” e ci consegnano produzioni musicali nuovi e inedite (si ricordino gli ultimi lavori della cantautrice Claudia de Candia e del cantautore Mizio Vilardi, così come l’ultima produzione del rapper Puni); registi esordienti raccontano questo legame nei suoi chiaroscuri, tradito da una classe politica arrogante e irresponsabile, vivo e doloroso nei racconti degli anziani pescatori, dei pochi rimasti, desiderante nella sete di autentica appartenenza da parte delle giovani generazioni. Il riferimento è al documentario di Andrea Gadaleta Caldarola dal titolo Mare Nostro, premiato a Valdarno come miglior documentario di particolare rilevanza espressiva. Da ricordare anche il lavoro fatto dall’amministrazione comunale di centrosinistra con il Gac e gli armatori locali per la promozione del comparto pesca e in particolare della diversificazione dei canali di vendita e la promozione della vendita diretta del pescato e per la riforma del mercato ittico all’ingrosso. Alle antiche modalità di rinsaldare volta per volta questo legame della città di Molfetta col mare, si affiancano pratiche nuove, e così generazioni, mestieri e visioni del mondo che sembrano tanto lontani trovano terreno e occasioni di dialogo in un denominatore comune. La crisi economica è anche declino di un modello di società che guardava allo sviluppo come qualcosa di illimitato e alle risorse, economiche e umane, come oggetti inesauribili da sfruttare. Siè visto che il Pil non necessariamente rende l’uomo felice, pertanto gli scienziati hanno messo a punto indicatori di benessere, economico e sociale. Oggi, grazie alla crisi, è possibile e doveroso ripensare il rapporto con le nostre risorse e col lavoro in maniera tutt’altro che consumistica e predatoria. Il mare è per i cittadini molfettesi un’occasione politica, strategica e straordinaria, per progettare politiche di sviluppo innovative, inclusive e sostenibili, sia dal punto di vista ambientale che sociale (generazionale in primis). E’ molto scoraggiante che il referendum abrogativo di aprile contro l’estensione della durata delle concessioni per l’estrazione di idrocarburi nel nostro mare sino all’esaurimento dei giacimenti, a Molfetta – città di mare – abbia mobilitato pochissimi molfettesi. Progetti di innovazione se ne intravedono sul territorio: a Bisceglie il movimento culturale iologico, promosso dallo skipper Mimmo Cormio e dalla food blogger Gaia Marchese, propone percorsi esperienziali a terra e in barca a vela diretti a fare esperienza del mare in tutti i suoi aspetti. L’unicità del territorio è la risorsa da valorizzare, grazie al contributo di utenti, comunità locali, artigiani, imprese locali e cittadini. A Molfetta, il gruppo Sailors promuove percorsi di conoscenza del territorio costiero attraverso il progetto Mogiobistrá, che coinvolge le cittá di Molfetta, Giovinazzo, Trani e Bisceglie, in un esperimento di turismo marino. Personalmente promuovo e sostengo l’idea di un eco-museo marino che possa far incontrare competenze, professioni e passioni presenti sul territorio molfettese, con il coinvolgimento specifico delle nuove generazioni e del patrimonio di nuove professioni ed etiche del lavoro di cui sono portatori. Un’esperienza ipotetica che porti l’innovazione sul terreno dell’inclusione sociale, e che punti ad avere uno sguardo anche internazionale. La memoria del mare sedimentata dentro ogni molfettese si mescola, dunque, a visioni e prospettive nuove, lega i tempi, desidera futuro. Varie possono essere le occasioni per rinnovare, giorno dopo giorno, questo patto ancestrale; ora più che mai si pone l’urgenza di interrogarci su chi siamo, sulla nostra identità, proprio in un momento di enormi trasformazioni sociali, di smarrimento del senso e della memoria, delle tristissime vicende giudiziarie e di cronaca sul porto toccano la coscienza di ogni cittadino molfettese. La memoria, per farsi faro nel porto, ha bisogno di incontrare un tempo presente e desiderante, fatto di quel pulsare di vita a cui abbiamo fatto cenno che è presente in tutti coloro che, da anni, sopravvivono alle difficoltà di un territorio e di una cultura non certamente aperta e accogliente nei confronti delle ‘‘rivoluzioni gentili’’, professionali e culturali. Una buona politica, che fa buone politiche, ha il dovere di intercedere queste realtà sociali e di porsi come richiamo per coloro che hanno dovuto scegliere la strada dell’emigrazione per necessità o in cerca di realizzazione umana e professionale. L’amministrazione comunale uscente ha fornito degli esempi di recupero della centralità, nell’identità di ogni molfettese, di tale rapporto città-mare; significativo è stato il concorso internazionale indetto per giovani architetti europei “Europan 13”, punto di avvio per una riflessione progettuale di tipo urbanistico ed architettonico sull’intero waterfront urbano. Si sa, l’urbanistica non è solo questione di spazi asettici, ma chiama in causa visioni del mondo e idee sulla realtà che interessano la vita di ogni abitante del pianeta terra; le politiche che si scelgono, dunque, modellano la realtà sociale in ogni suo aspetto e danno senso al mondo. Ripensare il nostro rapporto col mare, elemento fondativo della nostra identità, significa interrogarsi sul tipo di società che intendiamo costruire, ammesso che, ce ne sia ancora tempo.