Molfetta, città regredita e imbarbarita
Da una città del Nord, 30 agosto 2001
Gentile sig. direttore,
mi permetta qualche veloce riflessione sullo stato della città. Partito da Molfetta ben più di un ventennio fa, consule Finocchiaro e la classe politica formatasi nell'immediato dopoguerra (Sandrino Fiore, Donato De Bari, la vecchia DC, il vecchio PSI ecc.) o anche dopo (Minguccio Bellifemmine, Elio Ferraris ecc.), negli ultimi dieci anni c'ero capitato raramente; e spesso per occasioni di forza maggiore. Questo per scelta. Le radici, beninteso, te le porti dappertutto. Ma a me la molfettesità decantata in molfettanità mi faceva ritrarre con orrore quando a Molfetta ci vivevo; figurarsi quando mi sono trasferito. Col passare dei decenni, poi, dalle drammatiche vicende dell'ebraismo laico tedesco (Arendt, Benjamin ecc.), ho anche imparato che non solo puoi costruirti radici diversificate, convivendoci senza alcuna difficoltà; ma soprattutto giocare l'una (quella definita da luogo e cultura di nascita) contro l'altra (quella del posto dove scegli di risiedere), per scavare e capire i limiti di entrambe. La nostalgia non si addice agli erranti, a chi ha errato, a chi si riconosce nella vettorialità della Storia (mi raccomando alla maiuscola!).
Qualche anno fa, quando capitavo a Molfetta, riuscivo a registrare facilmente i miglioramenti, le novità: qualche albero piantato, qualche parco, un traffico regolarizzato, cassonetti per l'immondizia, soprattutto strade pulite. Registravo con piacere questi progressi perché soddisfacevano la mia vecchia (e mai sopita, neanche ora, come le dirò più avanti) passione di militante. Una piccola eccezione nell'immaginario di cui si era fatta imprenditrice politica la cultura leghista e bossiana: il Sud quale coacervo di sporcizia, delinquenza, corruzione, scarsa o nessuna voglia di lavorare.
A Molfetta, dopo qualche ora trascorsa più di un anno fa, ci sono ritornato a fine agosto per due soli giorni, sperando di trasformarli in un supplemento balneare di vacanze. Speranza sciagurata! Ho registrato una città regredita, imbarbarita; dove vivere diviene un vero e proprio sacrificio quotidiano; con ritmi di vita addirittura stressanti. E' a dir poco paradossale che sia un residente nella terza città più industrializzata del Nord a rinfacciare i ritmi stressanti, quando nello stereotipo dell'immaginario del meridionalismo d'accatto Settentrione è proprio sinonimo di stress. Ma non è tanto lo stress che colpisce il visitatore esterno. E neanche l'assenza di luoghi di socialità pubblica organizzata. Ciò che più colpisce è la sporcizia: diffusa massicciamente, visibile a occhio nudo, evidente. La pavimentazione delle strade era un concentrato di sporcizia, di cartacce e quant'altro. Coloro ai quali facevo rilevare la triste realtà, mi replicavano sconsolati e imbarazzati che, sì, era vero, la città sembrava un'immensa pattumiera; ma... si aspettava con ansia la pioggia (non piove da quattro mesi!). Una risposta che avrebbe mandato in crisi anche il più rigoroso osservante dell'inclinazione al pilpul: l'Eterno, che sa fare tutti i mestieri, vuoi che non sappia fare anche lo spazzino? Epperò, era anche una risposta sconsolante, rivelatrice di un ritorno a una visione passiva della cosa pubblica, prima che di sé stessi. Se la città è sporca, tu devi arrabbiarti e protestare; se qualche cosa non funziona, processa - almeno in senso figurato e politico - il pubblico amministratore. La sporcizia di fuori è sempre la pericolosa spia di qualcosa che non va.
C'è però una struttura che, a mio avviso, funziona a Molfetta. L'unica struttura che funziona a Molfetta è il Garden Hotel. Non scherzo, né banalizzo: per chi come me è costretto spesso a girare l'Italia per convegni di studio, il Garden precede, e non di poco, anche il famoso Plaza di Roma. Basti pensare che ha pure l'aria condizionata nelle stanze; e il personale è veramente molto cortese.
Sig. direttore, confesso pubblicamente un piccolo peccato. Nel marzo scorso, in una sera piovosa, mi ero intruppato nelle fila di un corteo che ha tentato di contestare un comizio del noto meridionalista ed senegalese, sen. Umberto Bossi. La solita solfa di botte della polizia (che brutto mestiere, quello di difendere gli otto grandi nani riuniti a Genova, i razzisti in versione postfordista ecc.), fermi, arresti e via dicendo. Io e la mia gentile consorte l'abbiamo sgamata di poco (mi riferisco alle botte). Ebbene, sig. direttore, il peccato confessato non è il tentativo di assalto al comizio del Bossi (qui siamo nel palese tentativo di fare rispettare un dettato costituzionale che notoriamente vieta il razzismo: i poliziotti eravamo noi, e non coloro che difendevano il Bossi), ma ciò che segue. Partiti da Molfetta, sulla via del ritorno, essendo costretti a concederci una sosta, ché io non io, non avendo mai preso la patente di guida, non potevo dare il cambio alla mia gentile consorte, fermatici a un pulito autogrill dalle parti di Cremona, siamo esplosi in un rabbioso brindisi alla Padania.
Mi conceda, sig. direttore, tutte le attenuanti di questo brindisi; non è il famigerato Selbsthass tante volte rimproverato ad alcuni intellettuali ebrei in vena di antisemitismo. Consideri quel brindisi una legittima quanto rabbiosa difesa per avere visto una città sporca, sporchissima, riavviatasi all'imbarbarimento. E la prego di non preoccuparsi: quale penitenza per quel brindisi, continueremo imperterriti a dare gli assalti ai palchi dei comizi dei razzisti. E siccome ciascuno deve svolgere il proprio mestiere, mentre continuerò a cercare di far tacere i razzisti, qualcuno pensi a lavare le strade di Molfetta e a renderla un po' più vivibile.
Mi creda suo
Giorgio Sorelli
Purtroppo, possiamo solo sottoscrivere la sua lettera, condividendone i contenuti e girare interrogativi e osservazioni all’amministrazione comunale, che sembra più intenta a dividersi le poltrone che a pulire la città.