Molfetta chiamata “Manchester del Sud” da re Umberto
Nella serata di domenica 22 agosto l’Associazione Eredi della Storia, l’A.N.M.I.G. e le Associazioni Combattentistiche e d’Arma di Molfetta hanno presentato, presso la sede associativa, l’evento culturale “La Manchester del Sud – Cenni di storia industriale della città”. Durante l’incontro sono intervenuti come relatori l’ingegner Andrea de Gennaro e il Cav. Sergio Ragno, moderati dal prof. Luigi Campo. Il relatore principale ha ricordato come gli ingenti investimenti sul porto da parte del Re Ferdinando II di Borbone, la successiva inaugurazione della linea ferroviaria Bologna - Bari (voluta dai Savoia a partire dal 1865) e l’espansione edilizia crearono le condizioni ottimali per il decollo dell’industria e per lo sviluppo economico e demografico della città. Alcuni intrepidi molfettesi ebbero l’intuito di investire capitali per la costruzione di nuove imprese quali pastifici, oleifici, saponifici, cementifici, fonderie, industrie del legname, opifici ed officine meccaniche. La prima zona industriale era dislocata in gran parte nei pressi della stazione ferroviaria, tanto da impressionare il Re Umberto I di Savoia che, transitando in treno, la definì “Manchester delle Puglie”. Il Cav. Ragno ha, in seguito, raccontato l’evoluzione delle più importanti realtà industriali dell’epoca, come: la ditta “Sancilio”, vetreria, produttrice di pasta ed esportatrice di olio d’oliva e mandorle, operativa fino agli anni Sessanta; il pastificio, oleificio e biscottificio “Pansini & Gallo”, che riforniva il Regio Esercito con la produzione di gallette e viveri per i soldati durante la Grande Guerra; il mattonificio di Enrico de Lillo e figli fondato nel 1894. Nel primo Novecento grande impatto ebbero il cementificio “De Gennaro & Girolimini” che produceva ed esportava il cemento Portland in tutta Europa ed il laterificio di Luigi Gambardella, proprietario anche di altri stabilimenti per la produzione di generi alimentari. Inoltre vi erano altri due stabilimenti per la produzione di pasta, oli e vino: il pastificio “Caradonna” che ha lavorato fino agli anni Sessanta e lo stabilimento “S.a.p.a.” (Stabilimento anonimo pasta e alimentari), gestito da una cooperativa di pastai americani, sito su via Terlizzi. Lo sviluppo industriale comportò l’azzeramento della disoccupazione e l’aumento del benessere generale. L’industria molfettese subì un durissimo colpo durante la Seconda Guerra Mondiale, quando, le nostre imprese furono requisite prima dai tedeschi e poi dagli angloamericani. Esse, inoltre, subirono gravi danni per via del saccheggio e della distruzione dei macchinari da parte di delinquenti locali. Tali crimini rimasero, purtroppo, impuniti. Terminò così l’avventura della prima zona industriale di Molfetta che, come il resto della nazione, uscì distrutta dal conflitto. Gli ingenti investimenti della Cassa del Mezzogiorno furono perduti nei meandri della burocrazia e della corruzione. Quasi tutte le imprese che avevano fatto di Molfetta la Manchester del Sud, chiusero tra gli anni Sessanta e Settanta. Parallelamente, i cantieri navali riuscirono a riorganizzarsi ed a superare la crisi grazie al lavoro incessante dei nostri concittadini. In quei decenni i cantieri Tattoli, Pansini, Ragno, De Ceglia, Salvemini, Uva e Giovine fecero rifiorire il comparto dei servizi al settore marittimo. Attualmente, di tutto ciò, resta ben poco. Il settore industriale e commerciale conobbe una svolta negli anni Settanta, quando si scelse di creare una nuova zona industriale da localizzarsi tra Molfetta e Bisceglie. Nacque così la seconda zona industriale, che crebbe di dimensioni a partire dagli anni Novanta sino ai giorni nostri, specializzandosi sul settore dei servizi ed in minima parte nel settore meccanico e tessile. Ricordiamo l’industria tessile “Le tre campane” dei fratelli Angelo e Vito Ranieri (sita su via Bisceglie). Ancora oggi le nuove aziende molfettesi, così come le poche imprese meridionali, sono di piccole dimensioni e si presentano economicamente deboli dinanzi ai distretti industriali e alle grandi imprese del resto d’Italia e d’Europa. Esse soffrono maggiormente la concorrenza con quei Paesi esteri che non applicano gli stessi diritti nostrani ai lavoratori dei comparti produttivi. D’altronde, il disinteresse e la miopia della classe dirigente nazionale e locale sui progetti infrastrutturali, sulla disoccupazione e sull’emigrazione (soprattutto giovanile) continua a penalizzare la città e il Sud Italia, che resta arretrato ed incapace di avviare una nuova industrializzazione con delle strategie competitive verso gli altri stati europei. In conclusione, ci vorrebbe una nuova classe dirigente, innamorata della propria terra, coraggiosa come fu quella dei nostri padri e dei nostri nonni, attenta ai bisogni dei cittadini ed alle esigenze del territorio. Giuseppe Pisani