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Molfetta, all'Aneb le relazioni tra cosmologia e filosofia Conferenza del prof. Domenico Picca, ordinario di Fisica presso il Politecnico di Bari
30 gennaio 2011

MOLFETTA - Il prof. Domenico Picca, ordinario di Fisica presso il Politecnico di Bari, nell’ambito delle manifestazioni promosse dall’A.N.E.B. (Associazione nazionale educatori benemeriti), presso l’auditorium don Tonino Bello in Molfetta, ci ha intrattenuto con un argomento piuttosto ostico, ma assolutamente interessante ed affascinante: la cosmologia e le sue correlazioni con la filosofia. Dopo una esauriente prolusione sul significato dei termini, il professore ha descritto con rara chiarezza tutta l’evoluzione storica di questa scienza, dagli albori fino alle ultimissime teorie che, ogni giorno aggiungono conoscenza, però nel contempo pongono altri quesiti ancor più affascinanti e complessi.
Per certi versi, la cosmologia viene considerata come una branca della filosofia, ed infatti nell’antica Grecia, furono per primi i Filosofi classici ad occuparsi di cosmologia per cercare di comprendere l’origine e l’evoluzione di quel meraviglioso spettacolo, che si offre a chiunque oggi alzi gli occhi verso il cielo notturno, che osservavano all’epoca senza alcun ausilio tecnologico. Costoro guardando la volta celeste brulicante di stelle, intuirono che c’era un ordine che doveva essere mantenuto tale da un’entità – il demiurgo – che manteneva quest’ordine perfetto ed immutabile. Quindi gli antichi studiosi si occupavano non tanto di cosmologia ma piuttosto di cosmogonia che è la cosmologia propriamente detta ma non frutto dello studio di fenomeni naturali razionalmente determinati, ma di regole stabilite da un’Entità superiore, il demiurgo appunto, ed in seguito, con l’avvento del Cristianesimo e prima ancora con l’Ebraesimo (Genesi), con regole stabilite dal Dio creatore di TUTTO e di TUTTI.

La cosmologia è la scienza che studia l’origine e l’evoluzione del cosmo; essa è una parola composta di origine greca che sta per studio (dell’) ordine, e ne interpreta i fenomeni che correlano gli astri ed in generale tutti i corpi celesti, con le leggi fisico matematiche che nel corso dei millenni sono state elaborate.
 
Si parte quindi con le nozioni degli studiosi dell’antica Grecia (prima di loro, i Babilonesi e prima ancora i Sumeri si erano dedicati allo studio del cielo e dei fenomeni che si osservavano) che, pur relativamente limitate rispetto alle attuali, consentivano a chi le elaborava di farsi un’idea di che cosa si parlava. L’elaborazione iniziale prevedeva un sistema geocentrico, cioè un cosmo formato dalla Terra al centro e poi tante sfere concentriche che contenevano la Luna, il Sole, alcuni pianeti ed infine le stelle fisse, così come, più o meno, le vediamo oggigiorno (c’è da osservare che l’ultima asserzione non è completamente esatta, perché, come sappiamo l’Universo non è statico: nel corso dei millenni trascorsi, anche le stelle, così dette fisse, hanno subito un pur piccolo spostamento relativo al punto di osservazione dalla Terra).
Questa concezione fu perfezionata da Tolomeo, agli inizi dell’Era cristiana ed è rimasta praticamente indiscussa fino al sedicesimo secolo, quando Galilei e Copernico, quasi contemporaneamente, elaborarono un nuovo sistema cosmologico, nel quale era il Sole al centro di tutto e la Terra, la Luna i pianeti, altro non erano che dei corpi celesti in mezzo a tanti altri corpi che popolano il firmamento stellato. Questa nuova concezione fu fortemente avversata dalla Chiesa che, anche tramite la Santa Inquisizione instauratasi in quell’epoca con lo scopo di contrastare i movimenti di pensiero (contrari alla Dottrina) legati anche alla nascita del Protestantesimo, contrastava anche con la violenza, il nuovo ordine scoperto (notevole è, fra le altre, la condanna ed esecuzione del frate di Nola, Giordano Bruno, oltre le note persecuzioni verso Galilei, il quale per evitare castighi più grandi fu costretto all’abiura, dichiarare cioè che tutto quanto da lui elaborato, non rispondeva a prove scientifiche e che quindi era tutto sbagliato).
 
Si dovette attendere la seconda metà del XVII secolo quando, Isaac Newton avendo elaborato le leggi della Gravitazione universale, diede un nuovo “volto” al Sole, al suo sistema ed a tutti i corpi del cosmo, definendo il Sole uno fra miliardi di corpi simili sparsi per tutto l’Universo; elaborò le leggi della gravitazione e dei suoi effetti su tutti corpi celesti, “estendendo” all’Universo il lavoro perfezionato da Keplero con le sue leggi sulla meccanica del moto dei pianeti intorno al Sole. Fu nel XIX secolo che si potè incominciare a capire la reale struttura e dimensione dell’Universo, quando F.W.Bessel  determinò con sufficiente precisione la distanza dalla nostra, di una stella della costellazione del Cigno.
 
In quegli stessi anni si era trovata la spiegazione del perché si osserva una specie di tenue fascia luminescente che attraversa il firmamento: la Via Lattea. Fu F.W. Herschel (un fisico e musicista) che propose e dimostrò l’esistenza di un grande ammasso di miliardi di stelle, fra le quali si trova la nostra stella ed il nostro sistema. Nacque così l’immagine di un Universo, sempre omogeneo, ma a …blocchi, con un numero imprecisato di queste aggregazioni che furono chiamate Galassie. Oggi sappiamo che ve ne sono a miliardi, raggruppate in Ammassi (costituiti da migliaia di individui) e Superammassi (costituiti da migliaia o milioni di ammassi galattici).
 
Tutte le scoperte fatte in questi secoli, non erano sufficienti – abbiamo già precisato che più scoperte si fanno, più interrogativi si aprono – a rendere ragione dei fenomeni osservati, questa volta con l’aiuto di strumenti tecnologici sempre più sofisticati. Infatti nella prima metà del XX secolo, un astronomo americano – E. Hubble – dimostrò che la Via lattea era una delle galassie esistenti, avendo scoperto e misurato dimensione e distanza di un’altra galassia a noi “vicina”: quella che per secoli era stata definita come nebulosa di Andromeda, una galassia poco più grande della nostra e distante da noi circa 2,5 milioni di anni luce*.
 
Fu nel 1915 che Albert Einstein pubblicò il frutto dei suoi studi teorici sulla Relatività, stabilendo e dimostrando con sofisticati calcoli matematici che, la Massa e l’Energia sono intrinsecamente legate fra loro; che l’Universo è omogeneo. Successive elaborazioni dimostrarono che l’Universo sembra in espansione e si scoprì che un oggetto osservato, più è lontano dalla nostra posizione, più è grande la sua velocità di allontanamento da noi. Allora si incominciò a fare ipotesi al contrario, e cioè se i corpi si allontanano l’uno dall’altro, quando è incominciato questo allontanamento e come si è prodotto? Calcolando a ritroso nello spazio e nel tempo, si è riusciti a determinare il “momento” in cui l’Universo era concentrato in un punto estremamente caldo e infinitamente denso (singolarità) nel quale era racchiusa TUTTA la massa della materia e TUTTA l’energia dell’Universo che improvvisamente è esploso: questo momento è stato stimato in circa trenta miliardi di anni fa! La prova provata di questa ipotesi è stata ottenuta negli anni trenta del secolo scorso, da due scienziati della Bell Telephone Company statunitense, i quali impegnati nella ricerca della ragione dell’esistenza di alcune interferenze nelle trasmissioni telefoniche, scoprirono che in tutte le direzioni, vi è una “radiazione di fondo” o radiazione fossile (una specie di brusio elettromagnetico) che è l’eco fossile dell’immane esplosione chiamata “Big Bang”, da cui è nato il tempo, la materia e l’energia dell’Universo attuale, che continua ad espandersi.
E’ ovvio che questa scoperta, insieme con tantissime altre, ben lungi dall’aver risolto i problemi della cosmologia, ne ha creati un’altra enorme quantità, la cui soluzione impegna ed impegnerà fior di studiosi.
 
Noi abbiamo tentato nel nostro modo rozzo e, si spera almeno non eccessivamente impreciso, di sintetizzare quanto esposto durante l’incontro con chiarezza  e “fascino” avvincenti dal prof. Picca (nella foto con Nicola Pio Minervini). Gli argomenti trattati, le divagazioni su altre discipline che l’esposizione di tematiche così sofisticate impongono, hanno polarizzato l’attenzione dell’uditorio per una piacevolissima ora di cultura vera che, speriamo, si possa ripetere quanto prima, su altri affascinanti argomenti di attualità scientifica.
 
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(*) Un anno luce è la misura del cammino che un raggio luminoso compie in un anno, viaggiando in linea retta, alla velocità di circa 300.000 km/sec.. Essa equivale a circa 9.461 miliardi di km.. Poiché le distanze siderali e/o galattiche ammontano a volte a migliaia o milioni di anni luce, gli astronomi, per praticità, usano l’unità di misura del parsec (che sta per parallasse al secondo e che è la distanza dalla quale, un osservatore di fantasia, osserverebbe l’asse maggiore dell’orbita terrestre sotto un angolo di 1 secondo d’arco) che equivale a 3,26 a.l.. Per il parsec valgono i multipli come kpc, Mpc, ecc..
 
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Autore: Tommaso Gaudio
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Nel 1978 un astrologo inglese offrì una ricompensa di 500 sterline a chi fosse stato in grado di dimostrare l'influenza dei segni zodiacali. Il premio non è stato ancora assegnato, mentre non c'è che l'imbarazzo della scelta per darlo a chi riuscisse a smentirla. Nell'agosto del 1968, per esempio, il periodico francese “Science et Vie” mise alla prova l'attendibilità dell'astrologia nel predire la “natura fondamentale” e le “tendenze dominanti” delle persone. Senza far nomi, il periodico inviò la data, l'ora e il luogo di dieci grandi criminali a un'organizzazione che fornisce oroscopi elaborati da un computer. Nella lista c'era un medico, il famigerato Marcel Petiot, ghigliottinato il 26 maggio 1946 per aver ucciso 27 persone che si erano rivolte a lui perché le aiutasse dietro lauto compenso, a rifugiarsi nell'America del Sud durante l'occupazione tedesca. Il viaggio per loro era invece finito in una stanza segreta di casa Petiot dove il medico uccideva le sue vittime e gettava i loro cadaveri nella calce viva. Ecco l'oroscopo di Petiot elaborato dal computer: “Socialmente ben inserito, di sani principi e alto senso morale…….si distingue per la sua sensibilità e il suo amore per l'umanità…..molto altruista e dotato di spirito di abnegazione….”. Le assurdità elaborate dal computer sembrano uno scherzo innocente se confrontate con i molti errori commessi da questa pseudoscienza nel Medioevo. Da quando è nata nell'antica Babilonia, l'astrologia è stata messa sotto accusa da alcuni dei più grandi pensatori dell'umanità. “Non ci da niente – disse il filosofo greco Plotino – ma ci lascia nella condizione di pietre che subiscono il movimento e non di uomini che agiscono di propria iniziativa e secondo la propria natura”. L'astrologia appartiene a un mondo dorato che non si può confondere con la realtà, come le favole della nostra infanzia. Siamo tutti liberi di sognare. Ma non rivestiamo ogni nostro segno col vestito della scienza. Non gli si adatta. -

1° Parte. - L'idea che il nostro destino sia influenzato dagli astri ha sempre affascinato, sin dai tempi più antichi, la fantasia degli uomini. In passato, quando poco si conosceva del nostro Universo, gli astri erano infatti considerati delle divinità, degli dei che dallo spazio sorvegliavano e regolavano le faccende terrestri. Giove, marte, Saturno, Venere, Mercurio potevano dall'alto proteggere o ostacolare gli amori, gli affari, la salute. Era quindi naturale credere che nascere sotto una certa costellazione o sotto un certo segno astrale potesse influenzare i destini degli individui. Oggi però conosciamo meglio l'Universo, e sappiamo che il Sole non è guidato dal carro infuocato di Apollo; sappiamo anche che i fulmini non sono dardi della collera di Giove, ma soltanto fenomeni atmosferici. Naturalmente è sempre affascinante rifarsi a questa mitologia e credere che, malgrado tutto, questi astri abbiano comunque un'influenza sui nostri destini, sugli amori, sugli affari. Alcuni, oggi, cercano ad esempio di dare all'astrologia una interpretazione di tipo fisico e cosmico, formulando un'ipotesi di questo tipo: nel mondo ogni cosa è influenzata da un'altra cosa, e noi siamo immersi in un universo pieno di onde e di energie non conosciute, quindi è possibile che questi corpi celesti intorno ai quali noi ruotiamo, o che ci ruotano intorno, con le loro masse e i loro spostamenti, finiscano davvero per avere un'influenza sui nostri umori. Specialmente se riteniamo che ognuno di noi porti una specie di impronta personale dovuta alla posizione degli astri al momento in cui è venuto al mondo, e che i vari spostamenti di questi astri producano quindi un'eco nel nostro modo di reagire e comportarsi. (continua)
2° Parte. - Un tale modo di vedere le cose può avere un qualche fondamento scientifico? Cioè quello che sappiamo oggi dell'astronomia, della fisica, della chimica, della biologia, della psicobiologia, dell'elettromagnetismo ecc. può lasciar pensare che esista una tale possibilità? La risposta a questa domanda l'hanno data recentemente 186 scienziati di fama internazionale, tra cui 18 Premi Nobel, che rappresentano le più diverse discipline scientifiche. Si tratta di una dichiarazione apparsa sulla rivista americana “The Humanist” nel numero di ottobre 1975. Eccola. 1.- Coloro che vogliono credere nell'astrologia devono sapere che essa non ha alcuna validità scientifica. 2. – Oggi possiamo renderci conto di quanto infinitesimale siano gli effetti di gravitazione o di altra natura prodotti su di noi dai pianeti e dalle stelle. E' semplicemente un errore credere che le forze esercitate dalle stelle e pianeti al momento della nascita possano in qualche modo influenzare il nostro futuro, o possano favorire certe compatibilità o incompatibilità tra gli individui, o possano rendere certi giorni o periodi più favorevoli di altri. Dobbiamo renderci conto che il futuro risiede in noi stessi, e non negli astri. In un'epoca di diffusa educazione e conoscenza non dovrebbe neppure essere necessario parlare di queste magie e superstizioni. Ma dobbiamo constatare che, attraverso giornali, settimanali, mezzi di comunicazione, la credenza nell'astrologia viene largamente disseminata nelle nostre società. Questo fatto può solo contribuire alla crescita dell'irrazionale e dell'oscurantismo. - 3. – Pensiamo che sia giunto il momento di denunciare, con forza, le affermazioni pretenziose dei ciarlatani dell'astrologia. - 4. – Bisogna che coloro che continuano a credere in queste cose sappiano che non vi è alcuna base scientifica per tali convinzioni, e che anzi esistono forti prove del contrario. - E' una dichiarazione che non lascia dubbi. (fine)

Quando si osservano le migliaia di stelle che illuminano la notte, non è difficile immaginare come fin dalle età più antiche le fantasie dei popoli si sbizzarrirono nell'individuare in cielo forme e figure attingendo dalle proprie tradizioni. - LE MAPPE CELESTI. Padre della moderna cartografia celeste è il tedesco Giovanni Bayer, che nel 1603 pubblicò l'URANOMETRIA, 51 carte celesti incise su rame da Alexander Mair nelle quali per la prima volta le stelle di ogni costellazione sono indicate con le lettere dell'alfabeto greco in ordine di luminosità decrescente da Alfa a Omega. Nell'Uranometria le costellazioni sono 60 per un totale di 1706 stelle, mentre nell'antichità Tolomeo aveva elencato 48 costellazioni e identificato 1022 stelle: ciò si deve al fatto che al tempo del Bayer erano già state create da Pieter Dirkszoon e Frederick de Houtman le 12 costellazioni per il cielo australe, scoperte grazie alle esplorazioni dei grandi navigatori nei mari del sud. Altri atlanti celesti di notevole importanza storica furono quelli del polacco Johannes Hevel che introdusse le costellazioni dei Cani da caccia, della lucertola, del Leone Minore, della Linee, dello Scudo, del Sestante e della Volpe e quello di Nicolas Louis de Lacaille, che nel 1754 creò altre 14 costellazioni per il cielo australe. I confini tra le costellazioni furono ufficializzati soltanto nel 1930 da una apposita commissione insediata a Leida due anni prima dall'Unione Astronomica Internazionale. Il più recente e preciso catalogo stellare è stato completato nel 1993 per mezzo del satellite Hipparcos dell'Agenzia Spaziale Europea. Comprende 120 mila stelle la cui posizione è stata misurata con la precisione di 2 millesimi di secondo d'arco ( l'angolo sotto il quale si vedrebbe dalla terra un uomo sulla Luna).
Anche i più grandi sbagliano, inciampano in errori madornali. Albert Einstein era convinto che l'universo fosse stazionario e nella sua Teoria della Relatività Generale inserì un parametro arbitrario per far quadrare i conti. Ma aveva torto. Einstein presentò la Teoria della Relatività Generale nel 1916. Questa nuova ed elegante teoria della gravitazione aveva una conseguenza che per il suo ideatore era sconcertante: prevedeva infatti che l'universo si trovasse in una condizione di espansione oppure di contrazione. Poiché il fisico tedesco era invece convinto che l'universo fosse stazionario, cioè “fermo”, introdusse arbitrariamente un nuovo parametro, la costante cosmologica. Una soluzione poco elegante e che si sarebbe rivelata anche sbagliata. Infatti di lì a qualche anno Edwin Hubble (leggi i Topi non avevano nipoti) dimostrò che la maggior parte delle galassie sembra allontanarsi da noi. Un chiaro indizio dell'espansione del cosmo. Insomma Einstein aveva avuto torto, ma seppe ammetterlo sportivamente, riconoscendo che la costante cosmologica era, per dirla con le sue parole, “il più grande errore della mia carriera”. Infatti l'espansione avrebbe potuto essere predetta sulla base della Relatività Generale, se soltanto il fisico tedesco avesse avuto il coraggio di portarla alle sue estreme conseguenze. Edwin Hubble dimostrò che l'attuale universo è in espansione, poiché le galassie si allontanano progressivamente. In realtà, la Teoria della relatività prevede esattamente questa circostanza, ma per Einstein era troppo assurda. -

L'eco della radiazione cosmica del Big Bang si può ascoltare anche col proprio televisore? Una seccatura, invece fruttò loro il premio Nobel. Arno Penzias e Robert Wilson, ricercatori dei Bell Laboratories che nel 1964 lavorando a un radiotelescopio, non riuscivano a eliminare un persistente rumore di fondo. Alla fine capirono che il segnale era reale e aveva un'origine cosmica. Ed era proprio il tipo di segnale che, nel 1948 l'astronomo russo George Gamow (1904-1968) aveva previsto come “eco” del Big Bang. La radiazione primordiale, liberatasi circa 300 mila anni dopo la grande esplosione iniziale, si raffreddò e si disperse nell'universo, riempiendolo completamente. Secondo Gamow, osservando il cielo dovremmo riuscire a riceverne un segnale uniforme, proveniente da tutte le direzioni e corrispondente a una temperatura pari a pochi gradi Kelvin. Ed è proprio il segnale che Penzias e Wilson rivelarono, consentendo alla teoria e all'osservazione di incontrarsi e fornendo una delle prove più solide della teoria del Big Bang. La radiazione di fondo, alla temperatura di 2,7 gradi Kelvin, si trova nel dominio delle microonde e per riceverla non serve un radiotelescopio. Se sintonizziamo il nostro televisore su una frequenza “vuota”, nella quale non si trova alcuna stazione, il rumore di fondo che si trasforma in formicolio di immagini è composto per l'1 per cento dalla radiazione cosmica: dal Big Bang al nostro salotto. Un problema rimaneva aperto: la radiazione era troppo uniforme. Se l'universo è omogeneo come lasciava pensare questa uniformità, come si sono formate le galassie? Si apre la caccia alle minuscole increspature che dovrebbero essere l'indizio della mancanza di omogeneità del cosmo primordiale. La caccia si concluse nel 1992, quando il satellite Cobe trovò irregolarità nella radiazione di fondo esattamente corrispondenti a quelle previste dalla teoria del Big bang: sono i “semi” da cui sono nate le prime galassie. E in esse le stelle, i pianeti, la vita. -
1° Parte. - Nel leggere queste “trascrizioni” di natura scientifica, la tentazione è stata come scivolare in un “buco nero” e vado a rileggermi uno speciale Newton del maggio 2000. - Dalla nascita dell'universo, cioè dal Big Bang, fino a oggi, sono trascorsi 13 miliardi di anni. Un attimo dopo il Big Bang il cosmo era molto differente da come lo vediamo ora. Per esempio, era caldissimo: protoni e neutroni non esistevano e la materia era una specie di “brodo” di particelle subatomiche come quark gluoni. Inoltre, nei primi 300 mila anni di vita dell'universo materia e radiazione erano inestricabilmente accoppiate fra loro. Oggi vediamo invece un universo freddo, nel quale la massa è concentrata in grandi strutture, le galassie. In che modo è avvenuta questa evoluzione? In particolare, come sono nate le prime galassie centinaia di milioni di anni dopo la grande esplosione iniziale? Fino a pochi anni fa, c'era il buio più fitto sul periodo che va da 300 mila a un miliardo di anni dopo il Big Bang. La ricostruzione della storia dell'universo ricominciava con i periodi successivi, quando le più antiche galassie si erano già formate. Addirittura, fino a circa 80 anni fa non si avevano idee precise neppure sulla composizione di queste gigantesche strutture stellari. Qualcuno sosteneva che fossero nubi di gas, altri che si trattasse di sistemi di stelle in formazione. Il problema è che nessuno sapeva davvero quanto fossero lontane e quanto antiche. Soltanto negli anni Venti del secolo scorso si comprese che le galassie sono esterne alla Via Lattea e che la nostra è solo un esemplare, neppure molto significativo, di una miriade di sistemi stellari simili. (continua)
2° Parte. - Il merito della scoperta va attribuito all'astronomo americano Edwin Powell Hubble, che dall'Osservatorio di Monte Wilson identificò un tipo particolare di stelle variabili, le cefeidi, all'interno della Galassia di Andromeda, note anche con la sigla M31. Questi astri hanno una curiosa proprietà: misurando il periodo di variazione della loro luminosità, è possibile risalire alla loro distanza. E il risultato fu sorprendente per quell'epoca: le cefeidi, e di conseguenza la galassia M31, distano circa un milione di anni luce da noi. Una stima che oggi sappiamo essere sbagliata per difetto, perché la Galassia di Andromeda è lontana 2 milioni e 300 anni-luce. Ma l'importante era l'ordine di grandezza della distanza: Hubble aveva ampliato le dimensioni dell'universo. E oggi sappiamo che le galassie più lontane si trovano a centinaia di milioni di anni-luce da noi. – La carriera forense: questo avrebbe dovuto essere il destino di Powell Hubble (1889 – 1953) se avesse proseguito nella professione che il padre aveva previsto per lui. Ma per fortuna, dopo una laurea in legge nel 1911 e un periodo di tirocinio presso un tribunale nel 1913, Hubble fu folgorato dalla passione per l'astronomia. Appese la toga al chiodo e si laureò in astronomia, conseguendo il dottorato nel 1917. Nel 1919 raggiunse l'Osservatorio di Wilson con l'entrata in servizio di un nuovo telescopio da 2,5 metri, si trovò a essere l'uomo giusto nel posto giusto. La sua scoperta della distanza della Galassia di Andromeda pose fine alla polemica fra le due scuole che animavano la comunità degli astrofisici: coloro che pensavano che quelle nebulose fossero parte della nostra galassia e quelli che invece immaginavano che si trattasse di strutture analoghe alla nostra, presenti a enorme distanza da noi. - (fine)

Il cosmo è dilaniato da immani esplosioni, possenti getti di materia, lampi con l'energia di miliardi si Soli, galassie divoratrici. Ma è questo a permettere la sua, e la nostra esistenza. E' una meravigliosa serata. La volta celeste è punteggiata da miriadi di stelle e fra tutte risalta il grande fiume bianco della Via Lattea. Ma la quiete è solo illusione. Questa visione idilliaca è stata spazzata via dalla scienza moderna, che ci ha mostrato eventi di una violenza inaudita: eruzioni solari, urti fra pianeti e asteroidi, esplosioni di stelle morenti, atti di cannibalismo fra galassie, buchi neri che inghiottono materia. Oppure fenomeni lontanissimi, alla portata solo degli strumenti più sensibili della ricerca scientifica. O ancora episodi nella storia del cosmo che per svolgersi richiedono decine di milioni di anni, cosicchè a noi paiono statici. In tutti, però, viene sviluppata una grande quantità di energia. Certo il cosmo non sembra un posto adatto alla vita, e in particolare a quell'animale fragile e delicato che è l'essere umano. Basterebbe una supernova a poche decine di anni-luce per spazzarci via. Eppure noi abbiamo uno strumento unico e prezioso, l'oggetto più complicato dell'universo: il cervello. Grazie a esso, con la capacità propria della scienza di gettare uno sguardo razionale e disincantato sulla realtà, l'umanità ha saputo vedere il cosmo per quello che è veramente. Raccogliendo pazientemente osservazioni, trascorrendo ore per ricavarne ipotesi e teorie, abbiamo capito quanto piccole e delicate siano le nostre esistenze. Siamo atomi che ragionano sugli atomi, cellule che conoscono le cellule. E se anche fra cinque miliardi di anni il Sole si gonfierà fino a inghiottire la Terra, ne sarà valsa la pena. Come ha scritto Steven Weiberg, premio Nobel per la fisica, “lo sforzo di capire l'universo è tra le pochissime cose che innalzano la vita umana al di sopra del livello di una farsa, conferendole un po' della dignità di una tragedia”. -
Quale destino per l'Universo? Fra le idee che più recentemente si sono affermate nella cultura umana vi è quella di evoluzione, cioè la consapevolezza che la realtà non è statica e immutabile, ma si trasforma. Cambiano gli individui, le culture e le nazioni, le specie viventi, i pianeti e le stelle. E cambia anche il cosmo nel suo insieme. L'ultimo tentativo di immaginare un universo uguale a se stesso in ogni luogo e anche in ogni tempo risale agli anni Quaranta quando Hermann Bondi, Thomas Gold e Fred Hoyle proposero il modello dello stato stazionario, nel quale l'espansione cosmica veniva compensata dalla continua creazione di materia. Un modello che ricevette il colpo di grazia negli anni Sessanta, con la scoperta della radiazione di fondo e la spiegazione della formazione degli elementi più leggeri durante il Big Bang. Da più di trent'anni sappiamo che l'universo ha avuto origine, che è nato insieme allo spazio e al tempo. Ma se c'è stato un inizio è inevitabile chiedersi se ci sarà anche una fine, e come sarà. L'evoluzione della cultura ha visto domande e temi propri della filosofia finire per diventare oggetto di indagine scientifica: dello spazio e del tempo si è occupata la fisica, dell'origine la biologia, della coscienza la neurologia e la psicologia. L'origine e il destino del cosmo, sui quali generazioni di filosofi hanno speculato, sono ora appannaggio dell'astrofisica e della fisica delle particelle. Che aprono scenari sconcertanti e ipotizzano in un gran botto analogo a quello dal quale è nato, oppure in un freddo e in un vuoto crescenti e inesorabili, o perfino con una morte improvvisa e inattesa, magari domani stesso. Una risposta ancora non c'è, e certo dipende dalla massa totale, un parametro intorno al quale fervono gli studi, soprattutto per capire cos'è la misteriosa massa oscura e quanta ce n'è. Quello sul destino del cosmo è uno degli enigmi più affascinanti del nostro presente. -
Gli INCA. - Non disponendo né di codici né di incisioni, le uniche fonti di cui disponiamo per lo studio dell'astronomia degli Inca sono gli orientamenti dei monumenti e gli scritti lasciati dai cronisti della conquista europea. Tra questi ricordiamo Garcilaso de la Vega, che nei suoi Commentarios Reales (1609) ci narra che le torri di Cuzco erano osservatori astronomici, usati per traguardare i punti in cui sorgeva il Sole nei giorni degli equinozi e dei solstizi, e Felipe Guamàn Poma de Ayala che ci testimonia che gli Inca usavano “osservatori con finestre” per seguire il moto del Sole, in base al quale stabilivano le epoche in cui effettuare le principali opere agricole. La nostra stella era molto importante per gli Inca, tanto che il loro sovrano era considerato figlio del Sole. Inoltre, avendo notato che, nell'attuale città di Quito (che si trova sull'equatore), al mezzogiorno dei giorni prossimi agli equinozi, le colonne non producevano ombre, gli Inca ritenevano che il Sole si sedesse su quei luoghi, e per tale motivo li ritenevano sacri. Essi avevano stabilito un rito preciso da effettuarsi nel giorno del solstizio invernale, che, nell'emisfero sud, cade il 21 giugno. Temendo che il punto di levata del Sole continuasse il percorso verso nord (siamo nell'emisfero sud) e che l'astro si perdesse, il sacerdote del Sole, tramite una catena d'oro, tentava di ancorare la nostra stella a una roccia opportunamente predisposta, l'Intihuatana (ormeggio del Sole). Una di tali rocce è ancora osservabile nei resti da Machu Picchu, la celeberrima città fortificata, dove si trova il più importante osservatorio degli Inca, il Torreon, o Torrione, tramite il quale era possibile osservare, tra gli altri, il punto di levata del Sole nel giorno del solstizio invernale e il punto di levata della Pleiadi, la cui levata eliaca, avvenendo 10-15 giorni prima del solstizio invernale, lo annunciava.-

Secondo i babilonesi, i pianeti erano gli “interpreti”, cioè coloro che comunicavano direttamente agli uomini il volere delle divinità. Gli sforzi osservativi nei confronti di Giove erano notevoli in quanto si riteneva che il futuro del re fosse legato al suo moto. Inoltre, i babilonesi, avevano individuato 36 stelle, o costellazioni, principali. Tra queste avevano poi elevato a rango maggiore le dodici costellazioni zodiacali. Per i babilonesi, Sin, la luna, era un astro estremamente importante. Di conseguenza, il calendario, che doveva tenere conto del periodo sinodico, risultava notevolmente complesso. L'inizio dei mesi veniva stabilito con l'apparizione della prima falce di Luna. Naturalmente in questo modo dopo dodici lunazioni non era ancora trascorso un anno e ogni circa tre anni avanzava un mese. I babilonesi rimettevano quindi in corrispondenza l'anno con il periodo lunare introducendo, ogni tre o quattro anni, un mese intercalare. Tuttavia, questo inserimento avveniva in modo non troppo regolare. Solo a partire dal 747 a.C. Nabu-Nasir decise di introdurre un periodo di 19 anni caratterizzato dall'introduzione di 7 mesi intercalari, distribuiti nel corso del periodo. Nel dettaglio, i babilonesi usavano il seguente metodo. Essi avevano individuato alcune stelle principali, delle quali osservavano la levata eliaca. A ognuna di esse era stato associato un mese lunare. Quando la levata eliaca di una di tali stelle avveniva in un altro mese, significava che era ora di inserire un mese intercalare. Conosciamo anche il rito che veniva celebrato in occasione delle eclissi di Luna, che i babilonesi ritenevano causate da sette essere malvagi: il sacerdote si poneva di fronte a un altare e, indirizzando canti rituali alle forze della natura, provvedeva a mantenere costantemente acceso un fuoco. La gente raccolta attorno a lui piangeva e gridava, coprendosi la testa con le vesti, fino alla fine dell'eclisse.-
1° Parte. - “Vidi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell'Abisso e una gran catena in mano ecc., ecc..” Da questi pochissimi versi, scritti da Giovanni l'Evangelista, nacque una psicosi, nota come il “millenarismo”, che sconvolse l'intero genere umano: credenti e non credenti vissero gli ultimi giorni del X secolo come peggio non si poteva. Tutto il genere umano trema per la paura. “Mille e non più Mille” urlano i predicatori nelle chiese e ognuno racconta la fine del mondo come peggio non la si poteva immaginare: l'arrivo della Morte con la falce, i cavalieri dell'Apocalisse con le trombe, le locuste feroci, i cavalli verdi, gli esseri mostruosi provenienti da altri pianeti, le voragini che si aprono sotto i piedi dei peccatori, le zanzare giganti che svolazzano sui moribondi, le fiamme altissime che avvolgono gli esseri umani, i dannati bruciati a fuoco lento perché possano soffrire più a lungo senza mai consumarsi. Insomma un inferno ancora più brutto dell'Inferno. San Giovanni ce la mette tutta per farci mettere paura e al capitolo 13 annuncia: “Vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, ecc., ecc.”. Ora, premesso che Apocalisse non vuol dire “catastrofe” ma “rivelazione”, pare che l'umanità non sia mai stata così buona come in quegli ultimi anni dell'anno Mille. Le chiese erano sempre gremite di fedeli, i predicatori tuonavano dai pulpiti, i confessionali avevano file interminabili di peccatori, i ricchi regalavano i vestiti ai poveri, i sani assistevano i malati e non vennero segnalati casi di omicidi e di furti. (continua)

Non sempre la filosofia è andata d'accordo con la cosmologia e altre credenze. E' il caso di Averroè, o Ibn Rushed, arabo ma di cultura occidentale. Nacque in Spagna, a Cordova, nel 1126. Era un ammiratore di Aristotele e fece carte false perché tutti se ne innamorassero. Era convinto che a questo mondo esistono più razze di comunicatori: i filosofi che parlano tra di loro, i teologi che parlano agli allievi e i predicatori che parlano alle masse. Averroè cominciò come medico di corte. Conosceva benissimo la teologia, la giurisprudenza, la matematica e la filosofia. Due sono le idee che distinguono Averroè dagli altri filosofi: l'idea della non nascita dell'Universo e l'idea della compatibilità della filosofia con il Corano. La prima è quella secondo la Quale Dio e l'Universo sarebbero nati insieme, nel medesimo istante, o, per meglio dire, non sarebbero nati affatto. Per capire meglio questo principio bisogna accettare l'idea che l'eternità non è una dimensione che ha a che fare col tempo: non è un film che inizia con i titolo e finisce con la parola FINE. Come è sbagliato dire “prima di Dio”, così sarebbe sbagliato dire “prima dell'Universo” giacchè né Dio né l'Universo hanno un “prima” e un “dopo”. La seconda idea, e cioè la compatibilità tra il Corano e la filosofia, fu più dura e combattuta. D'altra parte tutti quelli che credono nell'Aldilà (di Dio, di Jahvè o di Allah, non ha importanza) e quindi nel Paradiso, nel Purgatorio e nell'Inferno, non possono accettare una filosofia che sottrae ai sacerdoti tutti gli strumenti necessari per ricattare i fedeli. In mancanza di un Aldilà, nessuno avrebbe più potuto dire a un peccatore: “Pentiti, figlio mio, e chiedi perdono a Dio, altrimenti dopo saranno guai”. Gli integralisti islamici gli si scagliarono contro, accusandolo di essere un “infedele”, cinico, dalla doppia fede e doppia lingua. Alla fine fu esiliato in Marocco, a Marrakech, dove morì a settantadue anni con grande soddisfazione dei suoi avversari. -

Il filosofo medioevale Maimonide, per l'anagrafe Mòsèh ben Majmòn nato a Cordova agli inizi del XII secolo, cercò di conciliare la filosofia con il Corano e le Sacre Scritture. Ovviamente non ci riuscì. Pur tuttavia, dal momento che si rivolse esclusivamente ai filosofi, creò quanto meno i presupposti perché certi problemi si potessero discutere in pubblico senza essere per questo definiti miscredenti o eretici. Diceva che la scienza, la filosofia e la religione potevano convivere come se fossero sorelle. Poi aggiungeva: “Non ci sono motivi per non ipotizzare un Creatore all'origine di tutte le cose, e un Creato venuto fuori a partire da un certo istante. Che l'Universo sia eterno non vuol dire che non possa aver avuto un inizio anche lui”. Nota la sua avversione per gli astrologi e i maghi in genere. Un giorno, in risposta ai dubbi di una comunità ebraica residente in Francia, secondo cui tutte le azioni umane sarebbero state già stabilite dalle costellazioni, lui rispose: “Non diciamo fesserie: la responsabilità delle azioni umane è solo di coloro che le commettono, e soltanto gli stupidi, o gli imbroglioni, possono attribuirne la colpa agli astri”. Maimonide era convinto che in Cielo esistano dieci sfere intelligenti di grandezza crescente e che la decima, da lui definita Intelletto Agente, sia il massimo dell'intelligenza possibile. Sotto le dieci sfere, poi, vivrebbe il nostro mondo, quello sublunare, dove ogni essere avrebbe cinque facoltà: la nutritiva, la sensitiva, l'appetitiva, l'immaginifica e l'intellettiva. Come dire che si nasce animali e si muore uomini, ovviamente chi più e chi meno. – Che nostro Signore tenga conto della bontà d'animo di Maimonide e che gli perdoni le perplessità. Sono convinto che il giorno in cui si è presentato in Paradiso Dio gli abbia detto: “Hai visto che ci sono?”. E lui abbia risposto: “Si, e mi fa piacere, ma soprattutto per lei”. – ( Luciano De Crescenzo – Storia della filosofia Medioevale)
Tra gli antichi testi astronomici cinesi, abbiamo lo Shu-Ching e il Che-King, probabilmente risalenti al IX secolo a.C., ove sono descritti gruppi di stelle che dovrebbero coincidere con le attuali Acquario, Boote e Pleiadi. Fondamentale è poi il Chou-Li (Rito di Chou), probabilmente scritto, nel secolo IV a.C., dall'astronomo Chou-Kong, fratello dell'imperatore Won Wang. Grazie a esso sappiamo tra l'altro che, fin da tempi antichissimi, i cinesi facevano uso di quadranti solari. Il più antico calendario cinese era lunare ed era basato su alcune date di riferimento, chiamate Tchong-Ki. L'anno, che iniziava al solstizio d'inverno, quando le ombre dello gnomone al mezzogiorno erano più lunghe, veniva diviso dagli Tchong-Ki in dodici parti uguali. Le lunazioni non coincidevano con gli Tchong-Ki. Quando avveniva che un'intera lunazione fosse compresa tra due successivi Tchong-Ki, allora si considerava quel periodo come un mese intercalare. Ma la caratteristica più importante dell'astronomia cinese consiste nel suo aspetto totalmente equatoriale. Infatti, fin dal 1° millennio a.C., i cinesi avevano stabilito gli Hsiu, punti di intersezione dei circoli orari con l'equatore. Gli Hsiu erano designati con i nomi di costellazioni, caratterizzate dalla presenza di stelle determinate. Secondo uno dei diversi modelli cosmologici, i cinesi ritenevano che l'universo presentasse la forma di un carro, con la terra come sfondo e il cielo come baldacchino. Tutta la Terra era circondata da quattro mari che la separavano da una terra fantastica, abitata da divinità. La volta celeste era sostenuta da otto altissimi pilastri, che affondavano le loro basi ai confini del mondo. Un'antichissima catastrofe aveva rotto un pilastro e quindi il cielo fu costretto a inclinarsi verso il pilastro più basso. Così le stelle, non trovandosi più in posizione di equilibrio, si misero a ruotare, con centro di rotazione non coincidente con lo zenit. -
Cosmologia dei MAYA. – Molteplici i geroglifici incisi sulle pareti dei templi e sulle numerosissime steli rinvenute, pur non essendo ancora stati completamente decifrati. Purtroppo, gran parte dei codici, manoscritti, a colori, tracciati sul fondo vegetale opportunamente preparato con fondo generalmente di stucco, è andata distrutta. Solo alcuni si sono salvati, tra i quali il codice Dresda, dalla città in cui è conservato. Altre informazioni si possono ottenere dai Chilàm Balàni, libri scritti nel periodo della conquista degli europei e contenenti profezie rituali e cronache storiche narrate in chiave mitica, e dal Popol Vuh (Libro dei consigli) redatto nel 1530 d.C., che ci informa sulla religione, sulla cosmogonia e sulla storia centroamericana. Infine disponiamo delle cronache dei conquistadores. Per i Maya, la Terra, era una superficie quadrata, piatta, con l'asse principale che coincideva con il percorso del Sole. Il cielo era sostenuto da quattro divinità, i Bacab, che, poste ai punti cardinali, sostenevano sulle loro spalle il carico della volta celeste. A esse erano associati quattro alberi sacri (Celba); inoltre, a ogni punto cardinale, e alla relativa divinità, veniva associato un colore, mentre il colore attribuito alla Terra era il verde. All'est veniva associato il rosso, al sud il giallo, all'ovest (che veniva chiamato Chi Chin, letteralmente “il Sole divorato”) il nero e al nord il bianco. Il cielo era diviso in tredici livelli, mentre il mondo sotterraneo ne comprendeva nove. Ogni livello era considerato la dimora di una divinità. La superficie terrestre era considerata la schiena di un enorme coccodrillo (mostro terrestre), mentre il mondo celeste veniva ritenuto un grande serpente con una testa a entrambe le estremità del corpo. La divinità creatrice era Gugumatz, seguita per importanza dalle divinità astrali.: Kin (il Sole), Uh (la Luna), No Ek (Venere) e Xaman Ek (le stelle del nord).

Curiosiamo. La cosmologia degli antichi. I SUMERI. Le decine di migliai di tavolette d'argilla rinvenute nella striscia di terra tra Il Tigri e l'Eufrate ci informano a proposito della civiltà che si svilupparono in questo fertile territorio. Tra le più antiche vi è quella dei Sumeri, che vivevano in città stato, quali Ur, Uruk, Eridu, Larsa, Teli Habuba e Nis. Secondo la cosmologia sumerica, all'inizio esisteva il mare primordiale, la dea Nammu; essa generò la Montagna Cosmica, che comprendeva An, il Cielo, e Ki (o Enki) la terra, riuniti e distinti. Dalla unione di An e Ki, nacque Enil, l'Aria, che separò Cielo e terra. Così i Sumeri immaginavano che in qualche indefinita parte dell'universo, esistesse una sfera sospesa, divisa in due parti; la parte superiore era costituita da An, il Cielo, sul quale si muovevano tutti gli astri, mentre nella parte inferiore si collocava il mondo sotterraneo, ove si trovavano gli Inferi (Kur). Tra i due emisferi si trovava un grande disco di acqua dolce, chiamato Apsu (o Abzu). Su di esso galleggiava un altro disco, la terra, attorno al quale si ergevano immense montagne. Molto importanti poi presso i Sumeri erano le divinità astrali: da An , infatti, venne generata Nanna (o Zeun), la Luna, incaricata di fissare il tempo e depositaria del destino degli uomini. Dalla luna a loro volta nasceranno “Inanna”, Venere, e Utu (o Ud), il Sole. Per quanto riguarda invece il calendario dei sumeri, si può osservare che per loro l'anno iniziava all'equinozio di primavera: la festa del nuovo anno era la più importante e più solenne, anche perché era caratterizzata da un rito particolare. Dato che i sumeri credevano che la natura rinascesse ogni anno e che tale rinascita avvenisse attraverso un'unione tra il dio della vegetazione, Dumuzi, e la dea dell'amore, Inanna, il sovrano e la sacerdotessa della stessa dea celebravano tale matrimonio sulla Terra e da esso traevano auspici per l'anno a venire.-
2°Parte. - L'universo geocentrico di Aristotele era eterno e supponeva che tutti i corpi celesti si muovessero intorno alla terra lungo orbite circolari. Nel II secolo d.C. lo schema aristotelico fu ripreso da Tolomeo che lo strutturò in una serie di sfere concentriche, fatte di quintessenza e di epicicli. Il modello di Tolomeo fu infine incorporato da san Tommaso d'Aquino nella visione cristiana del mondo, fino a quando Buridano mosse nel trecento una prima critica, sostenendo che il moto delle stelle non era mantenuto dall'intelligenza divina, il dantesco “amor che muove il sole e le altre stelle”, bensì dalle stesse leggi che governano il moto dei corpi materiali della Terra. Un'altra crisi fu aperta da Giordano Bruno e da Diggs con la transizione dell'universo infinito e privo di centro; lo stesso Bruno pagò con il rogo questa e l'idea che le stelle fossero solo dei posti a grandissime distanze. Il sistema eliocentrico, cioè il sistema che pone il Sole al centro del mondo, fu proposto in forma anonima dal canonico Niccolò Copernico nel 1514 e successivamente venne sostenuto sia da Galileo che da Keplero, nonostante alcuni difetti. Nel 1609 Galileo, usando il cannocchiale, scoprì i satelliti di Giove e inflisse un colpo mortale al sistema tolemaico. - Contemplando il cielo viene spontaneo chiedersi se anche al di fuori del nostro pianeta, o addirittura al di fuori della nostra Galassia, ci siano altre forme di vita. L'uomo non può far altro che andare alla ricerca di questa vita. (fine)


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