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"Meno giornali meno liberi", a rischio 200 testate e 3.000 posti nell'editoria non profit al via la campagna nazionale "meno giornali meno liberi" per la riforma del settore e il pluralismo dell'informazione
Duecento testate, 3.000 posti di lavoro di giornalisti, grafici e poligrafici, 300 milioni di copie in meno: se Governo e Parlamento non ripristineranno i contributi per l'editoria 2013 (tagliati retroattivamente a bilanci già chiusi) e 2014 sono questi i numeri del disastro che si abbatterà sull'editoria non profit italiana, con costi per lo Stato più alti del valore del fondo. Nel 2014 chiuse 30 testate storiche, hanno perso la propria occupazione circa 800 giornalisti. Espulsi dal mondo del lavoro anche mille grafici e poligrafici. ACI Comunicazione, Mediacoop, FILE, FISC, FNSI, Articolo 21, SLC-CGIL, ANSO e USPI lanciano oggi la campagna "Meno Giornali = Meno Liberi"
14 febbraio 2015
ROMA
- Una palla di giornali malamente accartocciati: è il simbolo della campagna di comunicazione "Meno Giornali = Meno Liberi" lanciata oggi da 9 associazioni e sindacati del settore (Alleanza delle Cooperative Italiane Comunicazione, Mediacoop, Federazione Italiana Liberi Editori, Federazione Italiana Settimanali Cattolici, Federazione Nazionale Stampa Italiana, Articolo 21, Sindacato Lavoratori Comunicazione CGIL, Associazione Nazionale Stampa Online, Unione Stampa Periodica Italiana) per salvaguardare il pluralismo dell'informazione e per una riforma urgente dell'editoria. Il primo atto è una petizione, pubblicata sul sito
www.menogiornalimenoliberi.it
e su tutti i social network con l'hashtag #menogiornalimenoliberi, con cui si chiede di mettere mano ai tagli immotivati del contributo diretto all'editoria e di avviare subito un Tavolo di confronto sull'indispensabile riforma dell'intero sistema dell'informazione (giornali, radio, tv, internet). Sono oltre 200 le testate non profit che rischiano di chiudere sul territorio nazionale, lasciando sul campo 3.000 posti di lavoro tra giornalisti, grafici e poligrafici. Quotidiani locali, riviste di idee, periodici di comunità, settimanali cattolici, organi di informazione delle minoranze linguistiche, ma anche giornali nazionali di opinione. È questo il mondo messo in crisi dal taglio dei contributi 2013 (dimezzati retroattivamente a bilanci già chiusi) e 2014. Sono 300 milioni di copie distribuite in meno ogni anno, 500mila pagine di informazione che verranno a mancare, con danni gravissimi per l'indotto (tipografie, trasporti, distributori, edicole) e le economie locali. I promotori calcolano che i costi per lo Stato saranno largamente superiori al valore del Fondo per il contributo diretto all'Editoria, individuabile, per il 2015, in circa 90 milioni di euro. Nel corso dell'ultimo anno hanno chiuso una trentina di testate, tra cui alcune storiche come "Il Salvagente", e hanno perso la propria occupazione circa 800 giornalisti. Duramente colpita anche la categoria dei grafici e poligrafici, più di mille dei quali sono stati espulsi dal mondo del lavoro. Il paradosso è che in questo modo le cooperative e le realtà editoriali senza scopo di lucro pagheranno due volte gli abusi che si sono verificati in passato e che giustamente sono stati denunciati a più riprese: prima perché c'erano soggetti che ricevevano indebitamente i contributi, ora perché la battaglia per l'abolizione dei finanziamenti pubblici portata avanti da alcune forze politiche rischia di farle scomparire per sempre. I promotori ricordano invece che la Carta fondamentale dei Diritti dell'Unione Europea impegna ogni Paese a promuovere e garantire la libertà di espressione e di informazione, mentre lo Stato italiano è agli ultimi posti in Europa per l'investimento pro capite a sostegno del pluralismo dell'informazione. Un richiamo, quest'ultimo, fatto proprio anche dal Presidente Mattarella, che nel suo discorso di insediamento ha ricordato come garantire la Costituzione significhi «garantire l'autonomia ed il pluralismo dell'informazione, presidio di democrazia». «Senza questi giornali - scrivono i promotori nell'appello - l'informazione italiana sarebbe in mano a pochi grandi gruppi editoriali e in molte regioni e comuni rimarrebbe un unico soggetto, monopolista di fatto, dell'informazione locale e regionale. Senza questi giornali, impegnati da sempre a narrare e confrontare con voce indipendente testimonianze e inchieste connesse a specifiche aree di aggregazione sociale e culturale e ad affrontare con coraggio tematiche di particolare rilevanza a livello nazionale, l'informazione italiana perderebbe una parte indispensabile delle proprie esperienze». © Riproduzione riservata
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E - PAPER
15 Febbraio 2015 alle ore 23:25:00
TROPPA CARTA IN GIRO E TROPPO DANNO ALL'AMBIENTE!!!LE TESTATE D'OLTREOCEANO HANNO NOTEVOLMENTE RIDOTTO LA CARTA A FAVORE DEL DIGITALE: E' IL MOMENTO DI CAMBIARE IL MODO DI DIVULGAZIONE DELL'INFORMAZIONE UTILIZZANDO I NUOVI MEDIA!!!
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Postcard from Molfetta
15 Febbraio 2015 alle ore 19:30:00
Ho l'impressione si stia generalizzando sul problema. A parte i posti di lavoro da discutere, fermatevi davanti e una edicola e vi accorgerete che ci sono tanti ma tanti "giornali" inutili, altri non si capisce bene cosa dicono e vogliono, altri ancora sono per "spennare polli", altri sarebbe bene farne spazzatura. Non voglio dire di chiuderli tutti, ma cercare di non confondere la gente, magari migliorarli senza pensare alla quantità ma alla qualità. La TV spazzature ne è un esempio. La "LIBERTA'" di espressione è altro. "Meno Giornali = Meno Liberi"? Da discutere con calma e serenità, senza pregiudizi e interessi.
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