Lettera aperta a Tommaso Minervini
Caro Tommaso,
complimenti. Ci sei riuscito. Sei il sindaco di Molfetta. Il compimento della tua vita. Il sogno cui dicevi di aver sacrificato tutto. L’ambìto traguardo del tuo lungo cammino politico. La dimostrazione che la volontà, quando veramente ferrea, prima o poi spazza via gli ostacoli e trionfa. Complimenti davvero.
Peccato però che la tua vittoria ti sia costata tanto. Troppo. Ti sia costata la rinuncia ai tuoi ideali del socialismo, di eguaglianza, di giustizia sociale, quelli per i quali per oltre un secolo tante persone si sono battute fino al dono di sé, della propria esistenza. Fino a qualche tempo fa, non deflettere dalla propria storia per convenienza personale sarebbe stato l’unico motivo di orgoglio possibile. E così anche tu hai dato un buon contributo per dimostrare che la coerenza oggi non paga quanto l’ambizione.
Peccato che per vincere hai titillato il carattere mercantile della città, la sua repressa voglia di opportunismo, di mettersi in vendita, di rivincita del proprio tornaconto su quello di tutti. E così hai commissionato la transazione a un ceto politico che sconcerta, inquieta.
Peccato che hai consentito, pur di raggranellare fenomenali pacchetti di voto, una raccolta del consenso umiliante, degradante su cui perfino la magistratura è il caso ci veda chiaro prima che sia troppo tardi. E peccato che a questo ceto politico stai concedendo di mettere le mani sulla città, di sporcarne nuovamente l’onore, la dignità.
Peccato che il tuo sguardo a testa alta e petto in fuori, volto all'orizzonte ti ha impedito di notare quello che tutti i cittadini hanno visto la domenica del voto e cioè che a presidiare i seggi c'erano anche ceffi davvero brutti.
Peccato, insomma, che per raggiungere il tuo obiettivo hai sacrificato davvero tutto. La tua anima ma anche quella nobile della politica.
Ciò che mi ha colpito della tua vicenda, sin dalle origini del nostro rapporto, è stata la tua capacità di stuprare le parole, di rovesciarne il senso, di camuffarne il significato. Ma nella politica, come nella vita, il tempo è un galantuomo che, magari quando meno te lo aspetti, libera la verità e fa riemergere la sua nostalgia. Arriva sempre il momento della propria coscienza.
Hai frantumato e tradito il centrosinistra e hai detto di volerlo unire. Ti sei consegnato alla tua ambizione in nome di una “passione civile”. Hai dissimulato la capriola nella destra dell’intolleranza e del leghismo con la coperta del “progetto civico”. Il tuo disinvolto trasversalismo è divenuto “governo a rete”. Ora sei a capo di una situazione totalmente indecente e ingovernabile e la presenti come “pace sociale”.
Vedi, Tommaso, l’amarezza del mio risultato sta rapidamente lasciando il passo a consapevolezze più lucide. Sono contento che siamo caduti, nel settembre scorso, negando ciò che tu hai concesso. Che siamo caduti, cioè, in forza di una scelta politica di rigore e di intransigenza. E sono contento che abbiamo subìto una sconfitta chiara e netta, di quelle che non lasciano margini di ambiguità: la città ti ha votato proprio perché non hai fatto scelte, non hai posto discrimini, hai preso tutti e promesso di tutto. Si è stancata di stare alle regole e ha scelto di lasciarsi andare. Ha visto che la tua ambizione miscelava tenacia e spregiudicatezza e ne è stata attratta. Bene.
Noi abbiamo perso le elezioni ma non la nostra anima, la fedeltà al nostro progetto di cambiamento della politica.
Tu le elezioni le hai vinte ma hai perso forse te stesso. So che quando ci si trova dentro la spirale della politica la spinta a sovvertire i mezzi con i fini si fa impetuosa. La vittoria per me non è mai stata un fine ma un mezzo. Il fine è un’idea di futuro, di società. È la realizzazione di un progetto. Non ci credo ancora che occorra vincere ad ogni costo. Come non credevo che si dovesse continuare ad ogni costo. Potevamo mollare uno dei tanti ossi che ora tu stai generosamente cedendo, ma avremmo offeso la città e noi stessi. Cadere in piedi è stato ed è l’unico modo per continuare. Sono sempre stato convinto che la politica ha un senso se cambiando le cose di tutti non smette di lanciare messaggi, educare collettivamente. E per te, che educatore lo sei per professione, una vittoria che esalta il cinismo e l’ipocrisia non ha nulla di invidiabile.
Ed è questa la ragione per la quale non ti invidio, Tommaso. Non deve essere stato bello vincere senza sentire che l’anima della città si identifica in te. Senza avvertire che i sentimenti migliori della comunità sono con te. Senza percepire di essere interprete di un processo di maturazione condiviso. Tanto squillante è stata la tua vittoria quanto emblematicamente fredda la reazione della città. Incredulità. Sconcerto. Ha vinto la spregiudicatezza, ha perso la fermezza.
Ma questo non toglie che tu sia ora, nel bene e nel male, il sindaco della città di Molfetta. A te ora spetta il compito di dimostrare che anche vincendo come tu hai vinto si può amministrare bene. A noi il dovere di dimostrare che la politica quando è deturpata dalla conquista del potere è sterile, arranca, non genera. E non può essere onesta.
Ritorno volentieri a fare il mio lavoro, anche questo, di educatore. Con dignità intatta potrò guardare in faccia i miei ragazzi, non smettendo di incalzarli perché non seppelliscano, in questo mondo troppo cinico e baro, il loro bisogno di verità. E da oggi guarderò, libero da ogni vincolo, anche i miei cittadini cui devo comunque molto di più di quanto abbiano corrisposto nelle urne. Non c’è un solo loro voto verso di noi che sia stato mosso da ragioni diverse dalla stima e dalla fiducia.
Questa è stata la nostra debolezza ma anche la nostra forza.
Infatti, a scuola dei nostri maestri di vita abbiamo imparato che bisogna essere grandi nella sconfitta non nella vittoria.
Buon lavoro
Guglielmo Minervini