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Le Terre libere dei Giardini di Avalon La Distruzione della ragione di Gyorgy Lukàcs
15 novembre 2015

Le sue due opere principali sono Storia e coscienza di classe (1922) e La distruzione della ragione. Nelle due opere le categorie del marxismo vengono utilizzate per analizzare l’evoluzione della cultura filosofica borghese nell’Ottocento e nel Novecento. Ne emerge una visione globale dello scontro in atto nel mondo fra ideologia borghese e ideologia proletaria dopo gli eventi rivoluzionari dell’Ottobre russo nel 1917. Seguendo Lukàcs il pensiero borghese ha avuto una fase espansiva quando la borghesia doveva liberarsi dai vincoli feudali, una fase regressiva e reazionaria quando nella scena della storia è comparso il proletariato, ma nonostante gli sforzi della scienza borghese, diventa sempre più difficile uccidere il marxismo col silenzio; in modo sempre più chiaro gli ideologi che guidano la borghesia sentono che ivi è la linea difensiva sulla quale devono concentrare il grosso delle loro forze.” La natura dello scontro in atto in quegli anni era così violenta che si tentò di soffocare la rivoluzione sovietica con la contro-rivoluzione degli eserciti bianchi. Nel fronte dell’imperialismo recepirono come una minaccia continua l’esistenza di uno stato in cui era stato realizzato il comunismo, mentre sul fronte sovietico intellettuali come Leon Trotskij proponevano la rivoluzione permanente in tutti i paesi del mondo. Il materialismo storico e dialettico (Diamat) ha costituito la forma prevalente di pensiero degli intellettuali del blocco sovietico tanto che in alcune fasi è diventata una forma di dogmatismo, ma nell’opera di Lukàcs questo non avviene perché quell’opera è segnata dal momento costitutivo, dal farsi della nuova concezione del mondo del proletariato. I protagonisti storici erano cambiati, alla cultura accedevano non solo soggetti di stampo borghese, ma esponenti della nuova classe operaia e le figure titaniche del pensiero occidentale venivano vagliate in base alla nuova concezione del mondo. Il primo ad essere chiamato in causa fu H. Bergson e il suo intuizionismo perché rappresentava una pericolosa introiezione del momento conoscitivo che invece avviene in uno spazio sociale. L’intuizione bergsoniana si volge verso l’esterno in quanto tendenza a distruggere l’obiettività e la verità della conoscenza scientifica; si volge verso l’interno in quanto introspezione dell’individuo parassitario dell’età imperialistica, isolato e staccato dalla vita sociale. Il pensiero di Bergson aveva influenzato buona parte della filosofia continentale di fine secolo, la nouvelle philosophie, una filosofia nuova che si presentava come alternativa spiritualistica al pensiero del tardo-positivismo e attraverso il machismo (E.Mach) si propose come quadro di riferimento generale della nuova atmosfera culturale agli inizi del secolo. Vi furono delle conferenze tenute insieme da Bergson ed Einstein che pur partendo da punti di vista diversi, confermavano la centralità del soggetto nella conoscenza del mondo circostante. In effetti, la memoria di A. Einstein sulla Elettrodinamica dei corpi in movimento del 1905 (Teoria della relatività speciale) non presentava elementi di soggettivismo, ma riducendo il soggetto a un sistema di riferimento inerziale era facile ricondurre il postulato relativistico al soggetto che osserva. Tutti gli esempi prodotti dai manuali sull’osservatore in stato di quiete e l’osservatore in movimento su un treno possono indurre all’ipotesi che il mondo è un continuo, un insieme di punti, un insieme di orologi costruito dal soggetto. Quello che, tuttavia, Einstein pensava era che anche quel soggetto era sottoposto a coordinate spazio-temporali oggettive e più volte, nel corso degli anni, ribadì che era stato un errore definire la sua ipotesi come Teoria della relatività, mentre più opportuno sarebbe stato chiamarla Teoria degli invarianti. Lukàcs riteneva che il soggettivismo, nuove forme di idealismo e di personalismo avevano invaso il pensiero occidentale e che le nuove classi, il proletariato, non potevano condividere il pensiero alto-borghese. Il bergsonismo reclutava quelle frange della borghesia tagliate fuori dal processo di espansione imperialistica, tendenti a porre l’interiorità quale dimensione assoluta e originaria in grado di definire il senso della storia. Il soggettivismo e l’irrazionalismo erano i baluardi che la borghesia tendeva ad opporre alla concezione materialistico-dialettica della realtà. Per irrazionalismo bisognava intendere quel movimento di pensiero e quell’insieme di atteggiamenti che nacque sulla base della produzione capitalistica e delle sue specifiche lotte di classe, in un primo tempo nella lotta progressiva della classe borghese contro il feudalesimo e la monarchia assoluta, e successivamente nelle sue lotte difensive e reazionarie contro il proletariato. Il periodo che va dalla Comune di Parigi del 1870 alla fine del secolo viene considerato da Lukàcs l’apertura di un fronte della lotta di classe nella teoria e nella cultura, aperta dai movimenti rivoluzionari del 1848 e prolungata negli anni seguenti in tutti gli stati europei. Le filosofie che in quel periodo si presentarono sulla scena erano la risposta che gli intellettuali davano al processo di marginalizzazione messo in atto dai padroni del carbone e del ferro. Se precedentemente la filosofia di F. Hegel e la visione educativa di W.von Humboldt avevano garantito un assetto delle strutture formative (scuole e università) congruente al piano del comando imperiale, i movimenti rivoluzionari stavano mettendo in atto l’estensione della cultura e dell’alfabetizzazione al quarto stato (i proletari), contaminando la compattezza del fronte borghese. Quegli affondi nella coscienza che la filosofia del periodo proponeva, erano il risultato della riflessione ambigua che alcuni intellettuali svolgevano, guardando con paura dalla finestra di un quinto piano le folle violente che invadevano i centri delle città europee. Come in Germania, in quasi tutti i paesi che occupano posizioni preminenti nel periodo imperialistico l’irrazionalismo raggiunge forme altamente sviluppate. Ciò avviene col pragmatismo nei paesi anglosassoni; con Boutroux, Bergson, ecc., in Francia; con Croce in Italia. Queste forme, pur nella loro affinità quanto ai fondamenti ultimi del pensiero, presentano una diversità estremamente varia, che è determinata in ciascun paese principalmente dal carattere dell’intensità e dell’asprezza della lotta di classe, e poi anche della tradizione filosofica ricevuta e delle posizioni di pensiero con cui direttamente si polemizza. La nouvelle philosophie in Francia e il crocianesimo in Italia furono le filosofie che dal 1870 al 1945 dominarono nei due paesi. La prima aggregata intorno al paradigma dell’élal vital e del tempo vissuto, la seconda con la scansione fra sfera del concetto e sfera del pseudo-concetto, segnano la priorità del pensare rispetto al pensato, del pensiero a-tematico rispetto al pensiero che diventa tema, dell’atto costituente rispetto al discorso costituito. Una proposta diversa veniva avanzata dai pragmatisti che si diffusero negli Stati Uniti e che avrebbero segnato una cospicua presenza nello scenario europeo nel Congresso di filosofia ha tenuto a Ginevra nel 1908 per poi influenzare il secondo Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche. Introdotto in filosofia da Ch. Peirce quasi agli inizi dell’Ottocento con la successiva elaborazione di J. Dewey, il pragmatismo verrà assunto dalla Filosofia analitica, dalla filosofia del contesto-linguaggio che ormai domina le università americane e il resto del mondo. L’analisi del linguaggio, infatti, viene oggi divisa nella scansione classica di Sintassi, Semantica e Pragmatica. L’ultimo settore, come si deduce dalla parola stessa, è l’analisi del linguaggio in uso a cui hanno dato notevoli contributi i pragmatisti. Secondo Lukàcs il Pragmatismo è una visione riduttiva perché la prassi, l’azione, la prassi storica non è quella quotidiana svolta dai lavoratori dell’impero, ma le lotte di liberazione che le classi subalterne hanno svolto nel corso dei secoli. Il carattere generale del pensiero pragmatista riuscì ad investire settori culturali che sembravano non compromessi con la nuova concezione del mondo della borghesia nel periodo di espansione imperialistica. Anche le discipline formali, e fra queste la logica, non furono esenti da una serie di condizionamenti che i maggiori pensatori dell’epoca esercitarono; alla base degli stessi processi di normalizzazione si presentano, anche se in forma meno evidente, alcuni aspetti dell’irrazionalismo, basti pensare all’intuizionismo di Bouwer ed Heyting. Ne consegue una svalutazione generale della ragione, quale strumento interpretativo della struttura del reale e una valorizzazione dell’intuizione e degli istinti vitali. La svalutazione dell’intelletto e della ragione, l’aristocratica gnoseologia, il ripudio del progresso storico-sociale, la creazione di miti, ecc. sono motivi che ritroviamo praticamente in ogni pensatore irrazionalista. Un ruolo importante, oltre ad alcuni pensatori del secolo precedente (Nietzsche, Schopenhauer, Kiekegaard) svolgevano indirizzi culturali e scientifici che si ritrovano alla base delle più importanti elaborazioni degli inizi del secolo. Il machismo ebbe una influenza oltre che sulla Teoria della relatività speciale (TRS ) nella struttura dell’apparato teorico della Meccanica quantistica e, ricollegandosi ad esso, il neo-positivismo condizionerà fortemente tutti i settori del pensiero occidentale. Bergson rappresenta, ad un certo livello, la sintesi di queste tendenze rimaste a volte confuse ed inespresse, la sua filosofia, pertanto, si inserisce anzitutto in quel movimento internazionale volto a distruggere l’obiettività della scienza della natura che, iniziato da Mach e Avenarius, ebbe nel periodo imperialistico rappresentanti molto importanti anche in Francia; basta ricordare Poincaré e Duhem. Dopo la fine della II Guerra mondiale lo scenariomondiale era destinato a cambiare e gli accordi di Yalta fra i tre grandi della terra (Roosevelt, Churchill, Stalin) sancirono la divisione del mondo in due blocchi contrapposti, la guerra fredda e la corsa agli armamenti. Lukàcs nel Poscritto a La Distruzione della ragione scritto nel 1953 ebbe coscienza della mutata situazione storica e del ruolo che le democrazie occidentali erano destinate a svolgere nel controllo militare e politico del pianeta sotto l’egemonia statunitense. Le democrazie erano, a suo parere, il volto nuovo che assumeva l’imperialismo una volta deposto l’orrendo aspetto del totalitarismo nazista e fascista. Anche la cultura e l’ideologia dovettero registrare questo cambiamento d’atmosfera a partire dall’economia politica, la scienza che studiava le leggi del mercato e lo sviluppo dei cicli economici. Il marginalismo e il keynesismo diventarono gli strumenti investigativi delle dinamiche economiche nei paesi a capitalismo avanzato dopo il crollo del ‘29 e la pianificazione economica, le politiche di piano, le nuove forme di politica economica, di governance, in tutti i paesi del mondo. In campo filosofico diventò, come si è detto, dominante il Pragmatismo che in varie forme aveva fatto la sua comparsa agli inizi del secolo (Papini e Prezzolini). I will to believe, la volontà di credere era uno degli slogan del circolo dei pragmatisti fiorentini, guardati con benevolenza in una certa fase anche da Benedetto Croce. Tutta la semantica negli Stati Uniti, il machismo, le filosofie di Wittgenstein e Carnap, l’ulteriore sviluppo del pragmatismo ad opera di Dewey, sono determinati socialmente senza eccezione da questa nuova tendenza. Questa fa pure sì che quegli indirizzi filosofici non assurgano a ideologie dominanti, ma possano esplicare la loro azione come teorie della “terza via”; così, per esempio, l’esistenzialismo francese. In modo chiarissimo questa tendenza si riscontra in Dewey per il quale la filosofia non deve essere uno sguardo sulla realtà, ma interpretazione delle azioni, degli atti performativi, degli atti linguistici in una realtà ritenuta immutabile nella sua essenza. La stessa cosa avviene nella Semantica e nel Neo-machismo con la variante che la filosofia non è più analisi delle sensazioni, ma dei significati verbali e delle strutture sintattiche. La semantica indaga sistematicamente i concetti generali della vita sociale ed economica, giungendo alla conclusione che i termini generali non hanno significato, non denotano (l’ascetismo estensionalista). Alle stesse conclusioni perviene il più acuto dei filosofi anglosassoni, il tenebroso viennese emigrato a Cambridge, L. Wittgenstein, figlio di uno dei più ricchi magnati viennesi con una casa in cui vi erano sette pianoforti (il film di D. Jarman) che nel Tractatus logico- philosophicus sosteneva: Le proposizioni possono rappresentare l’intera realtà, ma non possono rappresentare ciò che in esse deve essere inteso insieme alla realtà - affinché questa rappresentazione diventi possibile - cioé la forma logica. Le proposizioni non possono rappresentare la forma logica, essa si rispecchia nelle proposizioni. Ciò che si rispecchia nel linguaggio non può essere rappresentato dal linguaggio. Ciò che si esprime nel linguaggio, noi non lo possiamo esprimere col linguaggio. Le proposizioni indicano la forma logica della realtà, la mostrano... Ciò che si può indicare non si può esprimere. La filosofia di L. Wittgenstein è stata uno degli eventi più importanti sul piano intellettuale del secolo scorso. Come in varie circostanze sostenne lo stesso autore, la filosofia del Tractatus coniugava misticismo e logica. Erede della tradizione logicista di G. Frege e B. Russell, il filosofo viennese doveva misurarsi con la problematica dei fondamenti della logica e della matematica. A questo livello le ipotesi infinitarie avanzate da G. Cantor nella teoria degli insiemi e sui numeri transfiniti esercitarono un ruolo importante nelle prime assunzioni del Tractatus dove si parla di tutti gli stati di cose possibili. L’ipotesi di molteplicità infinite non costruttive sostanzia l’ontologia implicita nella prospettiva filosofica. Alla base di essa l’uso non limitato dell’assioma di comprensione secondo cui una volta definita una proprietà vi è un insieme sotteso ad essa sul pino estensionale. Ad esempio, data la proprietà ‘numero primo’ ad essa corrisponde l’insieme di tutti i numeri primi. La situazione diventa problematica quando si tematizza l’insieme sotteso alla ‘proprietà di tutte le proprietà’ che acquista un senso solo in un contesto platonico in cui le datità oggettuali non sono relative alle condizioni teorico-linguistiche in grado di caratterizzarle. La proprietà di tutte le proprietà non può essere una proprietà perché crea circolarità nella sua stessa definizione e genera antinomie. Questa ontologia inibita attraversa le prime proposizioni del Tractatus ed instaura una omomorfia fra struttura del reale e la sua immagine, il linguaggio, la picture theory. Il linguaggio raffigura il reale, noi possiamo accedere agli stati di cose, ma solo con un linguaggio costruttivo e finito, al più con un linguaggio infinito numerabile. L’intrascendibilità del linguaggio instaura una corrispondenza fra le proposizioni del linguaggio e gli stati di cose. Nel Tractatus non è rinvenibile alcuna proposizione del tipo ‘A crede p’, ‘A ritiene p’ che faccia riferimento a contesti opachi o indiretti. La logica adottata è di tipo assertorio e i contesti intensionali sono rigorosamente riferiti a insiemi denotati al punto che qualcuno ha parlato di ‘ascetismo estensionalista’. Lo stesso ascetismo che solleciterà l’ammirazione degli aderenti al Circolo di Vienna per l’uso antimetafisico accordato al postulato della estensionalità e al rasoio di Occam che nel pensiero occidentale aveva anticipato le posizioni dei viennesi. Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem - Gli enti non si devono moltiplicare senza necessità - aveva sostenuto Guglielmo d’Occam e pertanto enunciati che contengono termini astratti come ‘uomo’ non denotano una realtà ontologicamente esistente; solo i termini singolari denotano ed è possibile istituire una corrispondenza fra termine denotante e oggetto denotato. Gli enunciati scientifici sono pertanto solo quelli in cui compaiono termini rigorosamente denotanti in una corrispondenza biunivoca che potenzialmente può essere spinta fino all’infinito. Le altre proposizioni legittime sono quelle tautologiche che costituiscono l’armatura logica in cui i dati empirici devono essere iscritti, ma che non dicono nulla sul mondo perché in esse il predicato inerisce al soggetto con necessità - predicatum inest subjectum praeter necessitatem. Le due postulazioni teoriche, enunciati analitici ed enunciati sintetici, la stessa legittimità loro accordata, costituiscono la base della teoria della conoscenza nei primi trent’anni del secolo. Tutte le altre proposizioni vengono considerate prive di significato. Deriva da questo un’altra importante conseguenza che è la necessità di liberarsi dalle oscurità del linguaggio. Nella prima fase del suo pensiero Wittgenstein riteneva che esistono due tipi di linguaggio, un linguaggio simbolico perfetto, l’armatura logica del mondo e un linguaggio comune, ricco di ambiguità. Questa tesi venne fortemente ridefinita nella seconda fase della sua ricerca quando il linguaggio fu interpretato come una forma di vita. Il Tractatus fu una delle prime espressioni delle ricerche operative sui linguaggi. Nelle Ricerche filosofiche l’itinerario teorico di Wittgenstein si articola nella ridefinizione dei due linguaggi in un solo linguaggio, il linguaggio in uso del senso comune che diventa il terreno di investigazione della Filosofia analitica. Ancora oggi nelle librerie accademiche dei paesi anglosassoni sono in circolazioni dei breviari, dei lessici, delle sintesi per la comprensione del pensiero del secondo Wittgenstein. L’analisi del linguaggio come luogo specifico del filosofare e la natura terapica dell’interrogazione vengono associate ad una convinta adesione al pragmatismo. L’essenza è espressa nella grammatica e il pragmatismo sembra costituire la più fedele traduzione in campo gnoseologico. Per questo i riferimenti a W. James non sono pochi nelle Ricerche filosofiche, sempre accompagnati da entusiastiche affermazioni di apprezzamento. I filosofi analisti, soprattutto G. Ryle, trarranno le più radicali conseguenze da queste posizioni: accertata l’incongruenza di un duplice livello fra verità scientifico- formali e linguaggio gergale, la conseguenza naturale era il riassorbimento del primo nella molteplicità dei modi di impiego nel secondo. Il Behaviorismo costituisce il riquadro sostanziale in cui queste analisi si muovono, determinando la definizione intersoggettiva ed accertabile di concetti introspettivi quali anima, io, coscienza, ecc. Quando i filosofi usano una parola - sapere, essere, oggetto, io, proposizione, nome - e tentano di cogliere l’essenza della cosa, ci si deve sempre chiedere: questa parola viene mai effettivamente usata così nel linguaggio nel quale ha la sua patria? Noi riportiamo le parole dal loro impiego metafisico al loro impiego quotidiano. Come il Pragmatismo anche l’esistenzialismo di Heidegger, Jaspers e Sartre e il nichilismo di Nietzsche, Camus e Kafka sono filosofie che esprimono la crisi del pensiero occidentale e la rinuncia alla ragione. I primi tre non hanno denunciato l’atroce situazione dei campi di sterminio, limitandosi a registrare l’assurdità dell’esistere, mentre gli altri sono stati gli interpreti della disperazione nichilista. Secondo Lukàcs tutta la letteratura, il pensiero e l’arte che si presentò nel blocco occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale possono essere ricondotti alla funzione apologetica dell’imperialismo capitalista e alla generalizzazione dello stile di vita americano (the american style of life). I films sul gangsterismo e quelli dei ragazzi ribelli dei sobborghi metropolitani, la rabbia degli esclusi, la fame dei senzatetto (the homeless), il sorriso delle prostitute, la condizione dei miserabili sono dimensioni omologhe al pensiero definito anticonformista. Sartre per esempio era tollerato fin quando scriveva La nausea o L’Essere e il nulla tanto da attribuirgli il premio Nobel, fu criticato quando cominciò ad aderire al marxismo e scrisse Critica della ragione dialettica. Del resto questa enfatizzazione, l’assoluto cercato negli istinti contro la ragione, l’immediatezza dell’istinto, della sessualità non fa che relegare gli individui nelle loro storie minori, storie di miseria e di silenzi, storie di disperazione, storie che non diventano storie di popoli. Il coito di Enea e Didone è simile a quello di Romeo e Giulietta, mentre le differenze dei sentimenti erotici socialmente e culturalmente condizionati hanno creato in essi imperiture e autentiche individualità. Le filosofie di Heidegger e di Camus sono state per Lukàcs forme sofisticate di adesione al regime imperiale; la prima nel periodo del nazismo, la seconda nel dopoguerra. La responsabilità principale deve essere individuata nella rinuncia alla comprensione dello scontro in atto e alla volontà politica degli Stati Uniti di proporsi come gendarmi del pianeta. Il vero movimento alternativo che Lukàcs vedeva crescere in quegli anni, gli anni cinquanta, era il movimento per la pace. Nelle pagine finali de La distruzione della ragione scriveva, citando Faulkner: “Non esistono più problemi spirituali oggi, vi è soltanto la domanda: quando salterò in aria”. Dal 1953 sono passati più di sessant’anni e le domande che ponevano Lukàcs e Faulkner sono di struggente attualità se per un solo momento si considerano le tante battaglie sostenute dal movimento per la pace e dai no global. E’ opportuno, pertanto, concludere con le sue stesse parole: Il movimento per la pace ha iniziato la sua campagna con uno schieramento di seicento milioni di uomini, è in procinto di mobilitarne altre centinaia di milioni, è la prima grande sollevazione delle masse contro la follia dell’irrazionalismo imperialista. Le masse, combattendo per la ragione, hanno proclamato sulla strada il loro diritto alla codeterminazione del destino del mondo. Esse non rinunceranno più a questo diritto, all’uso della ragione nella loro propria causa, nella causa dell’umanità, al diritto di vivere in un mondo retto dalla ragione e non nel caos della follia guerresca. La concezione del mondo oggi, nel terzo millennio, è cambiata: ai due aggregati omogenei che costituivano gli strumenti interpretativi del secolo scorso (borghesia e proletariato) si è sostituito un soggetto molecolare e proteiforme con una molteplicità di figure intermedie alla ricerca di una collocazione di classe, il cittadino dell’impero, le nude vite che sono in attesa di una nuova narrazione.

Autore: Marino Centrone
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