Le primarie del Pd e il destino di Molfetta
Cosa c’è dietro le primarie che il partito democratico celebrerà il 25 ottobre? Il leader del centro sinistra alternativo a Berlusconi e il segretario regionale che condurrà la prossima campagna per le elezioni regionali pro o contro Nichi Vendola? Se si fermasse qui sarebbe un grande risultato, soprattutto se il vincitore sarà legittimato da una vasta partecipazione di cittadini che darebbero ai nuovi segretari l’autorità di operare scelte coraggiose nell’opposizione a un Berlusconi vicino alla deriva, autoritaria o autolesionista, e nella costruzione della nuova coalizione che si ricandida al governo della Puglia. Ma il vero interrogativo è un altro, che Pd uscirà dalle primarie del 25 ottobre? In questa vicenda congressuale, nella quale è coinvolto anche il molfettese Guglielmo Minervini, candidato alla segreteria regionale per la mozione Franceschini, c’è uno scontro per nulla solo interno a un partito, ma che riguarda molto più la collettività di quanto possa sembrare. Nelle candidature del segretario uscente, Dario Franceschini, e del vincitore della prima fase riservata agli iscritti, Pierluigi Bersani, ci sono due idee di partito, due stili e due prospettive di futuro. Non lasciatevi ingannare dalle provenienze, non si parla più di Margherita e Ds, o guardando più indietro di ex democristiani e ex comunisti. In qualche modo entrambi sono proiettati in avanti, ma secondo prospettive diverse, ben sintetizzate dai loro slogan. Bersani, con le spalle ben coperte da D’Alema, ha scelto “un senso a questa storia”, Franceschini, con il sostegno di Fassino, “liberiamo il futuro”. Il senso della storia che Pierluigi Bersani cerca è quello di riallacciare le fi la con la tradizione dei grandi partiti del Novecento, e in particolare con quello di una certa sinistra ben raccontato da Tornatore in Barìa, con il militante che si riconosce nel partito- comunità, e si batte per esso salvo che poi le decisioni vengano prese lontano dalle periferie o solo con primarie interne. Il futuro che intende liberare Dario Franceschini è quello incompiuto di Romano Prodi e Walter Veltroni, quello di una grande forza riformista che chiama i cittadini ad attivarsi perché da sola la politica non può più rispondere alle grandi sfi de che la crisi ha fatto emergere. Un partito aperto, dove non contano le appartenenze o i gradi dei militanti ma la voglia di partecipare alla costruzione di una visione comune, anche attraverso le primarie. Inoltre il Pd che nasce deve rispondere anche alle domande di laicità poste dal terzo incomodo, Ignazio Marino, che sta dimostrando che soprattutto tra i giovani ci sono temi cui occorre prendere delle posizioni chiare. Sui primi risultati nei circoli che hanno visto l’aff ermazione di Bersani sono piovute le sferzate di Massimo D’Alema sul Riformista: “L’unico rischio che corre Bersani è che alle primarie voti un campione non rappresentativo del nostro elettorato”. Ma se invece Franceschini dovesse farcela? “Sarebbe uno scenario paradossale. Le regole sono queste. Certamente i dirigenti le rispetteranno. Gli iscritti non so. Ma adesso l’importante è che si impegnino a essere protagonisti anche alle primarie”. Insomma dice ai cittadini impegnatevi ora, ma poi lasciate a noi le prossime decisioni. E in Puglia? I contendenti sono diventati tre. C’è Sergio Blasi, sindaco di Melpignano, noto per i successi della Notte della Taranta, scelto da D’Alema per dare un volto nuovo a una mozione che tra i suoi sostenitori ha il discusso senatore Alberto Tedesco, implicato nella sanitopoli pugliese con responsabilità ancora tutte da accertare e l’ex assessore regionale Sandro Frisullo, reo di essersi concesso altre distrazioni… Michele Emiliano, segretario uscente, che senza l’appoggio di nessuna mozione nazionale, fresco del recente successo elettorale di Bari città, è pronto a farsi ancora carico di un impegnativo doppio incarico, convinto di rappresentare meglio il volto di un partito a vocazione maggioritaria ma con la personale ambizione di essere l’espressione di una nuova classe politica del sud in grado di sfondare a livello nazionale. E infi ne Guglielmo Minervini, assessore regionale che ha riacceso le speranze dei giovani pugliesi con Bollenti spiriti e che ha lottato, prima di Brunetta, per restituire effi cienza e trasparenza nella macchina amministrativa e soprattutto ha dimostrato che la cittadinanza attiva deve essere il valore aggiunto della politica. Così ha accolto la sfi da di Franceschini perché: “è giunto il tempo di parlare, è giunto il tempo di non affi dare al leaderismo la propria responsabilità”. Di qui è nato il senso di rifare la politica. Perché come ha scritto presentandosi sul suo sito “c’è un rapporto non risolto tra politica e gestione del potere. E tra politica ed economia. Nella cena elettorale di Tarantini c’erano tutti: la politica, la gestione sanitaria e poi un pezzo di economia, quella più parassitaria, quella che si alimenta di trasferimenti di risorse pubbliche. Ci interessa parlare di questo per dire, chiaro e tondo: mai più”. La prima fase anche in Puglia ha visto Blasi prevalere. Ma alle primarie tutto potrà essere invertito con il voto dei cittadini. Le aspettative vanno da 150.000 a 200.000 partecipanti. E a Molfetta? I risultati delle ultime elezioni hanno restituito un quadro politico del centro sinistra frammentato e ancora minoritario. Il Partito democratico, nel quale convivono le due anime nazionali con quella minerviniana ancora maggioritaria, deve ancora radicarsi nella società intuendone i bisogni emergenti: nuovi quartieri e scarsità di sevizi, cemento e problemi ambientali, aree industriali e commerciali che si sovrappongono disordinatamente, disagio sociale e criminalità. Occorre che il “partito nuovo” dimostri la sua presenza in una città che sta cambiando volto, oltre la puntuale e rigorosa opposizione che i suoi rappresentati stanno facendo in consiglio comunale. Il percorso è in salita. Perché tante energie devono tornare della partita, preferendo sporcarsi le mani piuttosto che continuare con le autoanalisi. Perché c’è soprattutto da colmare un vuoto di fi ducia. Questa è la vera distanza che separa il centrosinistra dal sindaco del centrodestra Antonio Azzollini e dai molfettesi. C’è il tempo per farlo. Quattro anni sono un tempo suffi ciente, complice anche l’incapacità di governare fenomeni complessi che questa amministrazione sta dimostrando. Come a livello nazionale non occorre partire dal leader ma dall’idea di città. E su questa cominciare a costruire una alleanza. Perché non basta un accordo, che magari può andare bene per vincere o provarci come nelle ultime amministrative. Occorre una visione di città condivisa da una vasta alleanza e dai cittadini, perché le alleanze si fanno per governare. Dunque il 25 ottobre capiremo se il Pd sarà un partito che snaturerà gli obiettivi per i quali è nato o se il prossimo leader saprà trovare quella giusta sintesi, necessaria a creare un partito plurale in grado di candidarsi per governare l’Italia. Perché è questa l’ambizione che il più grande partito della sinistra deve tornare ad avere, anche a Molfetta.