Le mani sulla città
Si è rotto il giocattolo dell’edilizia a Molfetta. Un giocattolo con cui si sono divertiti per decenni costruttori e politici. Sull’edilizia si sono fatte campagne elettorali, si sono costruiti consensi, si sono realizzati affari anche sporchi, è prosperata l’usura. “Un quadro scandaloso. Responsabilità di politici e costruttori. Denunce ignorate, colpevoli silenzi, giri di affari miliardari, arricchimenti illeciti, speculazioni e ricatti, saccheggio del territorio, prezzi alle stelle, riciclaggio, rendite parassitarie e l’ombra dell’usura. E’ questo il quadro scandaloso della casa a Molfetta (...) In questi anni sono accadute cose incredibili: costruttori che hanno comprato suoli a quattro soldi, convinti chissà perché e chissà come, che sarebbero diventati edificabili e poi questo è puntualmente avvenuto. Grazie anche alla loro pressione sui gruppi politici? Intanto continua la richiesta di versamenti in nero, con incredibili ricatti, grazie a un monopolio che è quasi un controllo del territorio da parte di costruttori che sono una vera forza a Molfetta. Una forza economica e di potere”. Questo scrivevo nel 1994 sul primo numero di “Quindici”, continuando una battaglia solitaria contro la speculazione edilizia e il mercato drogato della casa che hanno distrutto l’economia di questa città: una ferita aperta da sempre nella carne e nel portafoglio dei cittadini. E queste denunce abbiamo continuato a farle per anni senza che accadesse nulla. E tale indifferenza ha portato alla situazione attuale: la certezza dell’impunità ha fatto lievitare l’arroganza, frantumatasi in un pianto di coccodrillo al momento della resa dei conti. Oggi siamo al redde rationem? Non lo sappiamo. C’è chi crede che finirà tutto in una bolla di sapone. Ma, se i fatti oggetto di indagine da parte della magistratura saranno confermati, per la prima volta dal dopoguerra, tranne qualche sporadico caso, ci troveremmo di fronte ad uno scandalo di vaste proporzioni, mai avvenuto o quantomeno mai esploso pubblicamente. Distrazione, sottovalutazione del fenomeno in passato? Tutti sapevano e tutti tacevano, per interesse o per paura e chi osava cantare fuori dal coro, veniva zittito bruscamente. Come considerare un sistema omertoso di questo tipo? Oggi l’indignazione popolare cova sotto la cenere, ma non si verificano ancora a Molfetta fenomeni come quello di Parma, dove la gente indignata protesta sotto il Comune chiedendo a furor di popolo la cacciata degli amministratori. Come mai? Se lo chiedono in molti. E’ evidente che prevale la paura, il timore di esporsi. Ma torniamo allo scandalo definito “Mani sulla città” dalla Procura di Trani, un titolo emblematico che ricorda il film di Francesco Rosi del 1963 che ha per protagonista proprio un imprenditore edile che “scende” in politica per difendere i propri interessi e non esita a far costituire il figlio, dopo lo scandalo del crollo di una palazzina a Napoli, per aprirsi la strada alla nomina di assessore comunale all’urbanistica. Non ci schieriamo dalla parte dei colpevolisti, ma nemmeno da quella degli innocentisti. Stiamo ai fatti che sono emersi e a quelli che emergeranno che, salvo prova contraria, sono gravissimi. Ci auguriamo anche che gli indagati possano dimostrare la loro estraneità ai fatti contestati e comprendiamo umanamente la difficile situazione delle persone costrette alla custodia cautelare e dei loro familiari. Ma la giustizia deve fare il suo corso. Forse se le nostre perplessità sulla nomina dell’ing. Rocco Altomare a dirigente dell’Ufficio Territorio del Comune, pur avendo uno studio privato nel settore dell’edilizia, fossero state tenute presenti, non si sarebbe arrivati a questo punto, con una pesante rilevanza penale da richiedere l’arresto in carcere del presunto responsabile di quello che è stato definito dai magistrati il “Sistema Altomare”. Siamo stati facili profeti anche quando abbiamo manifestato perplessità sulla trasformazione dell’Hotel Tritone da albergo a edilizia residenziale, e per di più con un possibile conflitto di interesse fra il progettista dello studio A&D legato allo stesso Altomare? Ne abbiamo ricevuto in cambio un’aggressione da parte del responsabile del cantiere e una querela per aver solo riportato la cronaca del consiglio comunale, osando esprimere dubbi e perplessità. Da questa vicenda riemerge in tutta la sua rilevanza la questione morale che noi di “Quindici” agitiamo da tempo, preoccupati dal consolidamento di un sistema economico e di potere che rischia di accantonare le regole e agire al di sopra della legge. La Tangentopoli molfettese, attesa da tempo, è esplosa con grande fragore grazie all’impegno dei magistrati che hanno messo insieme un corposo impianto accusatorio di oltre 500 pagine e ai coraggiosi vigili del settore edilizia e del Corpo forestale dello Stato. Ora la gente chiede al sindaco Antonio Azzollini e all’assessore all’Urbanistica avv. Pietro Uva (l’unico con delega e l’unico in carica ininterrottamente dal oltre 10 anni) di assumersi le proprie responsabilità politiche. Nessuno lancia accuse di colpevolezza, ma tutti ritengono che entrambi non potevano non sapere. Quindi la loro responsabilità è quantomeno politica per aver affidato quell’incarico ad Altomare, e, presumibilmente, per avergli lasciato carta bianca. Le strade sono due: o sapevano quello che accadeva nell’Ufficio Territorio e annesso Studio A&D legato agli Altomare e quindi devono dimettersi per una responsabilità quantomeno politica, oppure non sapevano nulla e devono comunque rimettere il mandato per manifesta incapacità. Tertium non datur (una terza possibilità non è concessa), insegnavano i latini. L’arroganza di Rocco Altomare, sempre stando alle indagini, era arrivata a tal punto da continuare nella sua azione criminosa, pur essendo già indagato, forse perché si sentiva troppo sicuro di sè e di quello che è stato definito “sistema Altomare”. Ci chiediamo come mai il sindaco Azzollini non abbia revocato prima l’incarico al suo uomo di fiducia, di fronte alle indagini della magistratura? E non ci venga a raccontare le solite balle sul garantismo (quando conviene) e sull’attesa della sentenza definitiva (come ha fatto con l’altro assessore in carica, Palmiotti, rinviato a giudizio). La sentenza definitiva può arrivare anche dopo 10 anni e se alla fine l’indagato risulta colpevole? La città si è tenuta come assessore e come responsabile di un ufficio delicato come quello all’urbanistica, persone che non dovevano occupare quegli incarichi. Ma scherziamo? E questo vale anche per le spese dell’avvocato, anticipate dal Comune ad Altomare. Certo, l’ente pubblico in caso di condanna potrà rivalersi. Ma fra 10 anni? E chi governerà all’epoca, sicuramente non Azzollini, che avrà scaricato scorrettamente la patata bollente al successore, dovrà provvedere anche al recupero forzoso della somma, nel caso l’interessato non intendesse restituirla. Non si può giocare così con i soldi dei cittadini, come avviene con i risarcimenti del porto. Non si può, come fa il suo capo Berlusconi, utilizzare il Comune o lo Stato come una proprietà privata. Tra l’altro avendo “blindato” il Comune, con l’assessore all’urbanistica, il dirigente dell’UTC, il responsabile della ragioneria, il city manager e quant’altri di sua fiducia, Azzollini controlla la macchina comunale e non può tirarsi fuori quando c’è da assumersi le proprie responsabilità. Perché il sindaco tutela Altomare? Ha qualcosa da nascondere? Perché è andato a trovarlo in carcere cercando di parlargli da solo? Chi ha consigliato ad Altomare di non rispondere alle domande dei giudici? Il delirio di onnipotenza gioca brutti scherzi, e Azzollini non può reagire maldestramente (dimostrando palesemente di essere in seria difficoltà), accusando la stampa di non tacere. Il re Azzollini è ormai nudo, tragga le conclusioni e la Regione Puglia, di fronte alle deformazioni del piano dell’agro e quindi allo stravolgimento del Piano Regolatore generale, come emerge dall’inchiesta, intervenga decisamente con un commissario ad acta, per riportare la situazione alla legalità. Il bene comune deve restare sempre il fine ultimo della politica, come ammoniva don Tonino. Senza eccezioni.
Autore: Felice de Sanctis