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Le elezioni del 23 marzo 1902: una lezione politica
15 ottobre 2011

Il 26 ottobre del 1913 si svolsero le prime elezioni politiche a suffragio universale maschile. A Molfetta gli elettori da 3.500 diventarono circa 10.000 e Salvemini reputò che l’accesso al voto delle masse popolari, avrebbe potuto determinare un cambiamento nella vita politica italiana. Decise, perciò, di candidarsi nel collegio di Molfetta-Bisceglie dove, avendo operato e avendo contribuito alla nascita di alcune leghe, specialmente contadine, avrebbe avuto maggiori possibilità per essere eletto. Le elezioni, come tutti sanno, si svolsero in un clima di violenza e di brogli e videro l’affermazione del suo antagonista Pietro Pansini. Queste modalità di lotta e di confronto durante le competizioni elettorali, contrariamente a quanto si possa pensare, non erano sconosciute a Gaetano Salvemini anche perché ne aveva avuto un ampio assaggio durante le elezioni comunali del 1902. Egli era riuscito a convincere i socialisti ad aderire alla lista dei partiti popolari, facendo pressione presso gli ambienti democratici affinché fossero messi da parte gli elementi corrotti e compromessi, per sostituirli con uomini nuovi. Contribuì anche alla formulazione del programma elettorale, composto di 14 punti, che comprendeva innanzitutto temi di carattere economico e scolastico come l’abolizione del dazio sulla farina, l’istituzione di scuola serali e la regificazione del liceo, oltre a temi di natura sociale quali l’istituzione di una farmacia municipale e della condotta di due medici per provvedere ai bisogni dei ceti meno abbienti. Le elezioni, che si tennero il 23 marzo 1902 e videro la vittoria della coalizione popolare, si svolsero in un cima di violenza e soprusi. Lo stesso Salvemini scrive: «Fino alla vigilia delle elezioni tutto andò bene. Ma nel giorno delle elezioni il vecchio comitato elettorale giolittiano contrario ai repubblicani saltò fuori e, d’accordo con la polizia, scatenò la malavita. Mi accorsi allora ch’essi avevano la realtà nelle mani, mentre io vivevo nel mondo della fantasia. Dovetti correre su e giù per la città per tentare di evitare le violenze e gli abusi. Ricordo che dovetti accompagnare a casa un ex deputato, Panunzio, mio avversario, per proteggerlo da un gruppo di mazzieri che volevano bastonarlo. Camminavamo, Panunzio ed io, e dietro di me un gruppo di brutti ceffi armati di bastoni. Impedii che Panunzio venisse bastonato, ma lo stesso atto di accompagnarlo a casa per proteggerlo era un abuso». Gli abusi commessi dagli alleati di Salvemini si possono evincere da un documento inedito nel quale tre consiglieri di opposizione (Domenico Palombella, Saverio Calò e Francesco Attanasio), producono un ricorso per l’annullamento delle elezioni amministrative. I tre consiglieri denunciano diversi soprusi da parte dei partiti popolari, gli stessi che Salvemini denuncerà 11 anni dopo, che vanno dal sequestro di persona all’intimidazione alla connivenza delle forze dell’ordine allo strappo delle schede elettorali. I tre consiglieri scrivono che «sin dal giovedì, giorno 2 marzo, furono viste numerose squadre dei partiti popolari armate di nodosi bastoni e mazze spalleggiate altresì da bravacci, nella maggior parte malviventi sconosciuti, assoldati appositamente e fatti venire non solo dai vicini paesi della provincia, ma anche da Napoli... I nostri elettori erano costretti di ritirarsi nelle loro case con minacce gravi contro la loro vita se si fossero permessi di andare a votare; altri venivano perquisiti in pubblica strada dalle stesse squadre e, sotto la vista degli agenti della forza pubblica, strappate le loro schede; altri non avevano neppure la libertà di rincasare, se non raccomandandosi al pretore o ai carabinieri od anche a qualche amico militante nelle file avversarie. I comitati di quasi tutte le sezioni monarchiche furono presi di soprassalto e, cacciati a viva forza gli elettori che vi si trovavano, furono chiusi». Le elezioni furono vinte dalla coalizione dei partiti popolari con uno scarto di 270 voti. La nuova amministrazione, formata da persone di provata fede democratica e difesa dai socialisti, operò perché fosse abolita la cinta daziaria, istituì la tassa progressiva, aprì una farmacia municipale, iniziò un’inchiesta sulle opere pie che permise di scoprire in un monte di beneficenza alcuni disordini gravissimi. Opera quest’ultima di grande importanza, quando si pensi che le Opere pie in Molfetta avevano 40.000 lire di rendita, senza alcun tipo di controllo. Queste riforme non potevano non creare molti malcontenti di cui approfittò la vecchia guardia repubblicana che, per riconquistare il potere, deliberò le dimissioni di alcuni consiglieri. Nelle elezioni parziali del 17 luglio 1904 i socialisti non riuscirono a confermare il successo di due anni prima. Il sindaco Picca e gli otto assessori, seguiti dai due consiglieri socialisti e da due democratici, si dimisero lasciando il Comune in mano ai 22 repubblicani della vecchia guardia e a 5 monarchici. Sindaco fu nominato Vito Balacco.

Autore: Pietro Capurso
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