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Lavoro dei neolaureati: disoccupazione +46% al Sud
15 novembre 2011

Sono i dati Istat sull’occupazione a rivelare l’allarmante situazione in cui si trovano oggi i giovani italiani. «Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) nel primo trimestre del 2011 sale a 29,6%, dal 28,8% dello stesso periodo del 2010, con un picco del 46,1% per le donne del Mezzogiorno. Si tratta del tasso di disoccupazione giovanile più alto dall’inizio del 2004, in base a confronti annui». Le conseguenze della disoccupazione sono notevoli ed oggi avere un lavoro sicuro e fisso sembra essere un privilegio e appannaggio di tempi ormai passati. Questo accade perché la crisi occupazionale ha investito tutti i settori e tutte le categorie di lavoratori, siano essi dipendenti o indipendenti. Per contro, l’occupazione straniera è aumenta significativamente, «ma il relativo tasso di occupazione è ancora in discesa rispetto allo stesso periodo del 2010, dal 62,8% al 62,4%». L’attuale condizione vede da una parte chi tenta ostinatamente di trovare un’occupazione che possa favorire una certa autonomia economica e garantire un futuro stabile o perlomeno meno incerto. Dall’altra chi, stanco e sconfitto dai numerosi fallimenti, si rifugia nella propria famiglia rimanendoci anche in età adulta: in tal modo cresce il numero di sfiduciati che hanno provato a cercare un’occupazione e che hanno fallito nel loro intento. A questi si affianca una considerevole percentuale di chi, prendendo atto della scarsità di posti lavoro, non si sforza neppure di cercarlo. Lontani sono ormai i tempi in cui avere il cosiddetto “pezzo di carta” era sinonimo di una quasi certa possibilità di trovare impiego. Infatti, i giovani sono convinti che la generazione dei loro genitori sia stata più facilitata nel trovare un impiego e che con il passare degli anni tutto sia diventato sempre più complicato. Questa condizione è frutto di una partecipazione sempre crescente di giovani a livelli di istruzione molto elevati e qualificati, saturando così il mercato lavorativo che si trova dinanzi a una grande quantità di giovani preparati e formati adeguatamente. Nonostante queste considerazioni, resta evidente che al crescere del livello d’istruzione, migliora anche l’occupabilità e la retribuzione. Secondo dati Istat e O.E.C.D. (Organisation for Economic Co-operation and Development), «i laureati sono in grado di reagire meglio ai mutamenti del mercato del lavoro, perché dispongono di strumenti culturali e professionali più adeguati». Inoltre, nell’intero arco della vita lavorativa, «i laureati hanno presentato un tasso di occupazione di oltre 11 punti percentuali maggiore rispetto ai diplomati (77 contro 66%). Le medesime fonti confermano che anche la retribuzione ha premiato i titoli di studio superiori: nell’intervallo 25-64 anni di età, risulta più elevata del 55% rispetto a quella percepita dai diplomati di scuola secondaria superiore». Malgrado la reale crescita del grado di preparazione dei giovani italiani, un dato negativo riguarda i deboli investimenti in istruzione, ricerca e sviluppo. Stando ai dati pubblicati dal Consorzio Interuniversitario “AlmaLaurea”, «il finanziamento italiano, pubblico e privato, in istruzione universitaria è più elevato solo di quello della Repubblica Slovacca e dell’Ungheria (l’Italia vi destina lo 0,88% del Pil, contro l’1,07 della Germania, l’1,27 del Regno Unito, l’1,39 della Francia e il 3,11 degli Stati Uniti). Né le cose vanno meglio nel settore strategico della Ricerca e Sviluppo: il nostro Paese, nel 2008 vi ha destinato l’1,23% del PIL, risultando così ultimo fra i paesi europei più avanzati». Il servizio “Almalaurea” fornisce anche un altro importante spunto di riflessione, con dati interessanti e significativi sulla situazione occupazionale dei giovani ad un anno dalla laurea. L’indagine riferita all’anno 2010 e condotta su un campione di studenti che ha concluso il percorso di studi nell’anno accademico 2008\\2009, ha evidenziato che il 48,7% ha trovato lavoro a fronte di un 23,7% che è disoccupato. Il dato che più dovrebbe far riflettere è quello inerente a chi non lavora e non cerca nemmeno un’occupazione (27,5%). Da questi indicatori, l’Istat ha segnalato che il tasso di occupazione che emerge da questa indagine campionaria, si attesta intorno al 58,1%, mentre il tasso di disoccupazione è pari al 18,9%. Costante attuale è oggi il fenomeno della disoccupazione, mentre la variabile è rappresentata dai diversi modi con cui, giovani e meno giovani, cercano di far fronte ad una situazione così difficile. Un primo segno di reazione a questa crisi occupazionale potrebbe risiedere nell’autoimprenditorialià. Anche se quando s’inizia a cercare lavoro si pensa subito ad un’occupazione di tipo dipendente, coerente con il percorso scolastico e formativo effettuato, una valida alternativa potrebbe essere quella di crearsi un lavoro autonomo o imprenditoriale. «È necessario sottolineare che diventare imprenditori e in generale lavoratori autonomi non significa, come solitamente si crede, non “avere” padroni o fare quello che si vuole. Vuol dire, piuttosto, essere nel mercato, rispondere ed operare secondo le sue regole, rispettare scadenze e impegni; nonché essere responsabili verso clienti, dipendenti e collaboratori, oltre che verso se stessi. Essere imprenditori quindi richiede alcune doti particolari, perché le sole buone competenze tecniche non possono essere sufficienti per guidare al successo un’impresa». L’alternativa alla creazione autonoma di un’opportunità di lavoro nel proprio Paese, cercando di reinventarsi continuamente, è quella di spostarsi all’estero cercando altrove una gratificazione professionale adeguata alla propria formazione e istruzione. C’è, infine, una categoria di giovani che, mettendo da parte il proprio percorso di studi, cerca di trovare un qualsiasi lavoro pur si sostentarsi in maniera autonoma. E allora la domanda è lecita. È ancora possibile realizzare i propri sogni e raggiungere le proprie aspirazioni lavorative in un Paese nel quale le possibilità occupazionali sono scarse e gli investimenti a favore dei giovani sono inesistenti? Ai lettori l’ardua sentenza.

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