Una storia lunga vent’anni. Duecento copertine. Un “film” in bianco e nero caratterizzato agli albori dal gigantismo del famoso “formato lenzuolo” che si evolse a partire dal 1996, riducendo le sue dimensioni. Un passato glorioso che si sposa sagacemente al presente con alla base sempre lo stesso comune denominatore: l’amore per la città di Molfetta e per la libera informazione. Caratterizzato da uno spirito diverso, controcorrente e a tratti anche scomodo è stato megafono sapiente di divulgazione delle notizie locali a partire dal 1994. Un giornale con un percorso così lungo e articolato, ricco di alti e bassi e fucina di un retroterra culturale e politico vivace e mai banale, non poteva non meritare un compleanno speciale celebrato attraverso la Rassegna “20 anni, 200 copertine”, allestita nella suggestiva cornice della Sala dei Templari. La mostra a cura di Daniela Calfapietro si è snodata attraverso le copertine e le vignette politiche di Michelangelo Manente e le fotografie di Molfetta di Francesco Mezzina e Mauro Germinario pubblicate su Quindici. E come un compleanno che si rispetti, a festeggiare lo spegnimento di ormai venti candeline, non sono mancati gli amici di sempre, l’assessore regionale Guglielmo Minervini, il sindaco Paola Natalicchio, il presidente del consiglio comunale Nicola Piergiovanni, oltre a diversi esponenti della politica e della cultura. A rompere il ghiaccio e ad aprire la serata, l’intervento del direttore di Quindici Felice de Sanctis che ha ricordato come il giornale sia nato per esprimere le proprie idee, avendo il coraggio di manifestarle senza nascondersi dietro misere ipocrisie. Coerente e sempre a schiena dritta, la redazione di Quindici ha profuso continuamente un impegno disinteressato e volontario volto a perseguire l’idea di un cambiamento possibile e reale, di uno sviluppo che potesse e dovesse passare necessariamente anche attraverso l’informazione e la conoscenza dei fatti della città. Il direttore di Quindici Felice de Sanctis, ha ricordato come il giornale sia nato per essere diverso, scomodo, controcorrente, fatto da battitori liberi fuori dal coro, ma con le proprie idee e col coraggio di manifestarle, senza nascondersi dietro misere ipocrisie. Ha aggiunto che il quadro che l’artista Grillo ha dedicato alla rivista, riflette perfettamente l’anima di “Quindici”: 20 anni di ragioni e di passioni”, un impegno disinteressato e volontario, motivato solo dall’amore della città e dalla voglia di contribuire al cambiamento e allo sviluppo. Quindici ha stimolato e accompagnato, come sta facendo tuttora, il percorso di cambiamento, con grande coraggio pagando prezzi alti: dalle denunce alle minacce, dalle aggressioni alle querele temerarie costruite ad arte e basate sul nulla, col solo obiettivo di tentare di distruggere un giornale libero. E i 20 anni dimostrano che la sfida è stata vinta e ha reso più forte la testata, grazie al consenso dell’opinione pubblica che ha premiato la grande professionalità e l’impegno di redattori e collaboratori. «Siamo sempre stati per la libertà di tutti, anche di chi non la pensa come noi, purtroppo non abbiamo ricevuto, né riceviamo la stessa tolleranza da chi continua a denigrarci in modo violento e calunniatorio». Il direttore ha quindi ricordato quello che hanno scritto di “Quindici” due valorosi giornalisti, oggi scomparsi, come Antonio Ghirelli, direttore di grandi quotidiani nazionali e addetto stampa del Presidente Pertini e Saverio Barbati, capo ufficio stampa della Rai e per anni presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti nelle prefazioni al primo libro “Affondi” contenente gli editoriali di Quindici (a cui seguirà nei prossimi mesi la seconda edizione con gli ultimi 10 anni): «Gli editoriali e gli articoli di “Quindici” seguono una stella polare che è la libertà e la democrazia, hanno aiutato e aiutano i lettori più qualificati di Molfetta a riflettere pacatamente sui problemi della città di Salvemini e di Muti e sulle possibili soluzioni per risolverli… La funzione della stampa libera nelle città lontane dai centri di potere e di accumulazione della ricchezza, è fondamentale per creare un’opinione pubblica matura, abituandola a ragionare sul concreto» (Ghirelli). «In Italia esistono vari modi di esercitare la nostra professione. Si può fare il giornalista in modo algido, impiegatizio, attento all’orario di lavoro oppure riscrivendo pigramente le notizie di agenzia o, infine, dedicandogli la vita in modo appassionato, insonne, totalmente al servizio del lettore», come fanno i giornalisti di “Quindici” (Barbati). Un altro prezioso intervento è stato quello di Gianni Antonio Palumbo, giornalista, scrittore e redattore della periodico molfettese. Con la sua grande ars oratoria ha condotto il pubblico in sala in un affascinante viaggio in giro per luoghi e momenti storici che hanno caratterizzato la Molfetta degli ultimi vent’anni (vedi articolo con la relazione completa alle pagg. 14-15-16). Dal problema della disoccupazione giovanile ai tagli alla sanità, dalle battaglie per il porto a quelle contro un’edilizia scriteriata, da episodi di criminalità a quelli di cronaca nera, Palumbo ha tracciato il percorso civile del giornale sottolineando la presenza di eventi tenuti insieme dal filo rosso di una contemporaneità fatta di corsi e ricorsi storici. Fotogramma dopo fotogramma, la rassegna ha fornito un contributo pregiato, una chiave di lettura importante che ha rimarcato la capacità di Quindici di «sapersi trasformare in una vera e propria sonda capace di leggere la rotta della città». Il sindaco di Molfetta, Paola Natalicchio, ha ricordato il suo esordio giornalistico a “Quindici” che le «ha cambiato la vita» ed ha riportato alcuni episodi che descrivono con quanta passione e impegno professionale i giovani lavoravano nella redazione, un «lavoro molto appassionato e operaio, un giornale pensato, dalla grafica all’impaginazione, e soprattutto ai contenuti». «Abbiamo un panorama giornalistico in questa città – ha aggiunto la Natalicchio – che è in apparente espansione anche importante: da quando sono sindaco sono nate 4 testate e questo mi lusinga moltissimo ed è, senza ombra di dubbio, un progresso. Quindici è ormai una testata storica alla quale esprimo la mia gratitudine, la mia simpatia e un grande incoraggiamento a questi giornalisti che si impegnano seriamente. Molti ragazzi hanno preso il tesserino di giornalista con questa testata e si impegnano nel loro lavoro, non facendo il copia e incolla, né confezionando insieme i commenti di Facebook. Quindici non è un giornale da bar, non è il megafono delle voci del bar, ma è qualcosa di serio, è un vero e proprio giornale. E questa mostra lo conferma. Come sindaco ho apprezzato questo percorso storico che ci parla del modello di città che si sta cercando di costruire da 20 anni e dei conflitti fra due modelli di città. Lasciatemelo dire: se una cosa mi ha insegnato Quindici è che le cose bisogna dirle». Il sindaco ha parlato dei due modelli di sviluppo della città: quello del ’94, che si basa su un modello di sviluppo economico che tende a sviluppare e valorizzare alcune sue vocazioni tradizionali, cercando contemporaneamente nuove strade e quello vecchio, basato sull’edilizia e sulle grandi opere come il porto, che ha rimpicciolito la visione di sviluppo nata 20 anni fa. E le copertine di Quindici raccontano questo fallimento, attraverso la storia amministrativa di questi anni: il porto delle nebbie, come lo definiva il giornale nel ’95, è ancora lì, le nebbie non si sono diradate, i magnifici posti di lavoro sono solo 9 e quegli operai sono venuti da me a chiedere di salvare il posto di lavoro messo a rischio dallo scandalo e dal blocco del cantiere. E quell’infingimento, quell’illusionismo degli ultimi 10 anni è lo stesso che raccontano le copertine: non siamo andati oltre, non abbiamo visto la realizzazione delle promesse. Stesso discorso sull’edilizia, con il velenoso dibattito che si è sviluppato, considerando questa l’unica fonte di sviluppo, ma in realtà rimane povero e fa danno agli stessi operatori del settore. Ci si avvita attorno a questo schema: le gru, quelli delle gru, quelli che bloccano le gru. E rinunciamo a fare un discorso più ampio, più bello e appassionante sull’urbanistica non sull’edilizia, sulla pianificazione dei nostri spazi, del nostro waterfront, di una città moderna che connette le periferie al centro. Bisogna puntare ad una nuova centralità non fermarsi alla semplice gestione, ma decidere dove portare Molfetta. Quindici e gli editoriali e gli “Affondi” di Felice de Sanctis hanno avuto sempre questa visione, hanno sempre avuto questa onestà e questo respiro: la voglia di indicare una direzione verso cui questa comunità potesse mettersi in cammino. Ecco perché dobbiamo invertire la tendenza: Molfetta è una bella città, con grandi prospettive, ma se resta sempre nel suo bozzolo, non riuscirà mai a diventare farfalla. Infine il sindaco Natalicchio ha raccontato dei suoi viaggi a Milano per l’Expo 2015 e del suo impegno a fare la Pr della città a cambiare la sua immagine negativa che abbiamo dato finora per colpa degli scandali edilizi e del porto, per gli arresti e la corruzione, augurandosi che anche il dibattito giornalistico di tanta stampa locale possa disintossicarsi da quello attuale tossico, soffocante, doloroso che danneggia la città proiettandone solo un’immagine negativa. Insomma, basta con l’immagine di città litigiosa e condominiale, proviamo a volare alto. Come, del resto, Quindici ha sempre raccomandato e auspicato, invitando alla collaborazione fra le forze politiche, all’abbandono dei toni violenti, dell’odio, del fango e dei veleni. Un intervento di alto profilo, molto apprezzato dal numeroso pubblico presente, è stato quello dell’assessore regionale Guglielmo Minervini che ha analizzato la situazione sociale, politica ed economica di Molfetta nel corso degli anni e il ruolo che la borghesia ha avuto, nel bene e nel male, nella città. Dalle rimesse dei marittimi e degli emigranti che hanno trasformato Molfetta rendendola una città opulenta, alle mancate occasioni di sviluppo degli ultimi anni. La ricchezza proveniva dall’esterno, nessuno, perciò, aveva pensato di guardare in prospettiva, coltivando le risorse del territorio. Negli anni successivi la borghesia non si era accorta che il mondo stava cambiando, che la città aveva la febbre, come diceva all’epoca il vescovo don Tonino e che essa era chiamata per la prima volta a ripensare se stessa dall’interno del territorio, dove anche risorse storiche come la pesca e l’agricoltura erano in crisi. La sequenza storica delle copertine di Quindici, secondo Minervini ci dà la possibilità di fare il punto della situazione: «Quindici è un giornale che è entrato nelle contraddizioni, non limitandosi semplicemente a fotografare la realtà, ma ha tentato di ricostruire la storia politica di Molfetta e della sua borghesia, quella che quando doveva assumersi la responsabilità di costruire una prospettiva di futuro, si è ritratta logora e stanca, lasciando emergere l’altra borghesia, quella che nei confronti dello spazio pubblico ha avuto sempre la sensazione del rapporto parassitario, rapace». E così, per soddisfare i propri interessi, questa borghesia – come Quindici ha più volte denunciato – ha dimenticato quelli della città, l’ha depredata per soddisfare le proprie frustrazioni. Sono nati così i nuclei di affari che hanno pensato solo a se stessi e non alla crescita della città, che oggi si ritrova povera e in crisi, ancora alla ricerca del suo futuro, mentre i giovani tornano ad emigrare e il benessere è rimasto un’illusione, dopo la crisi dei marittimi e la fine delle rimesse. C’è poi una terza borghesia, quella seduta e passiva, come l’ha definita Minervini, che non vuole sporcarsi le mani e resta alla finestra, mentre la città muore. Le copertine di Quindici fotografano la realtà con grande lucidità e laicità, offrono uno spaccato della storia politica, sociale ed economica delle borghesie della città, avvertendo che il mondo è cambiato e occorre fare i conti con la nuova realtà globalizzata. «Con le stimolazioni di questa mostra, molto bella nei suoi contenuti, sulla storia della città, Quindici si è assunto il compito di mantenere il bandolo della matassa, per non farlo lasciarlo sfuggire». «Ma vorrei ringraziare Quindici per un’altra ragione – ha concluso Guglielmo Minervini – che molti presenti notano questa sera, che il giornale è stato una specie di fucina, di laboratorio di giornalismo per tanti giovani, è stata una scuola. Felice de Sanctis è stato il capostipite, il maestro di una scuola, di ragazzi che magari partendo per gioco o per volontariato, come si fanno queste cose nelle città, hanno poi scoperto di avere dei talenti. E Quindici è diventata una scuola di talenti. Da questa redazione abbiamo tanti ragazzi che si stanno affermando in giro per l’Italia con tante competenze, tante professionalità. Ed è molto bella questa cosa. Quindici è stata una straordinaria opportunità, per questa tenacia, per questa ostinazione, in alcuni casi pervicacia con cui Felice ha portato avanti questo obiettivo e vorrei ringraziarlo pubblicamente. E vorrei ringraziarlo anche per un’ultima cosa. Salvemini diceva che l’imparzialità non esiste, può esiste l’onestà con cui si raccontano le cose, ma nessuno di noi è imparziale. Quando scrivi anche un fatto, in fondo ci metti te stesso. L’impegno è quello di essere onesto in tutto quello che racconti. Credo che la grande lezione che Quindici ha dato al giornalismo molfettese in questi 20 anni, è stata una lezione di onestà intellettuale, non di imparzialità. Direbbe Salvemini: odio i parziali che si dicono imparziali, solo per artificio retorico, per estrema forma di menzogna. Ce ne sono tante in alcuni giornali molfettesi, che nascondono la loro presa di parte, dietro un’insopportabile finta imparzialità. Ma ringrazio Felice de Sanctis perché in questi anni ha dimostrato con costanza che l’onestà nel giornalismo conta, l’onestà intellettuale con la quale si prende parte alle cose, dicendo quello che si pensa e battendosi per le proprie idee. Credo che sia questo il contenuto più importante alla crescita culturale, civile e sociale che Quindici ha dato alla nostra città in questi 20 anni». Una rassegna ben fatta e che – a detta della curatrice Daniela Calfapietro – rappresenta un vero e proprio pezzo d’arte capace di muoversi tra i sentimenti e analizzare attraverso le immagini, momenti salienti e cruciali della vita sociale, politica, culturale ed economica di Molfetta. Un mix di arte e cultura che si traduce nel linguaggio universale del visivo che è «la forza motrice e portante di tutto». La Mostra, della quale si sono occupati tutti i media, ha avuto un grosso successo di pubblico: inizialmente programmata dal 26 gennaio al 7 febbraio, a grande richiesta è stata prorogata fino al 22 febbraio. A Quindici va l’augurio di poter spegnere ancora tante altre candeline senza la pretesa di possedere l’imparzialità o la verità assoluta, ma con la promessa di mantenere sempre le peculiarità che lo hanno distinto nel corso degli anni: l’onestà nei confronti del lettore e la battaglia nel perseguire le proprie idee, senza scendere mai a patti con nessuno.