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La settimana santa degli anni '50 Un inedito manoscritto di Franco Poli
15 marzo 2004

di Giovanni Antonio del Vescovo Alcuni anni fa, il pittore Franco Poli mi raccontò i ricordi della Settimana Santa della sua infanzia e giovinezza, "dipingendo" un quadro fatto di personaggi di epoca, di priori, di vecchi confratelli, di sagrestani e di tante altre "icone". A poco meno di un anno dalla sua scomparsa, quegli appunti "fermati" per sempre sulla carta sono pubblicati in suo ricordo: Giovanni, ti racconto di qualche figura tipica del periodo pasquale, che ha fatto molta Settimana Santa. Ricordo Enrico Scardi, per noi Don Enrico, per il suo comportamento signorile e per la sua eleganza raffinata. Conosceva tutto lo Statuto dell'Arciconfraternita e durante le assemblee era sempre pronto a mettere a tacere quei confratelli che volevano fare polemiche fuori posto. Era un priore molto severo e deciso nelle sue cose. Ricordo ancora quando lo incontravo a Cortina con Gilda e fu tutta una rievocazione di Molfetta e di tutti quei nostri periodi vissuti intensamente nel periodo della Settimana Santa. È stato un priore dell'ordine e di un grande attaccamento alle tradizioni. Ricordo ancora come un sogno, in un periodo molto lontano, il sagrestano Pasquale di temperamento burbero e molto bravo per le faccende della chiesa. Non voleva che gli altri mettessero mano nell'allestimento dei sepolcri e guai a contraddirlo. A noi giovanissimi confratelli ci faceva paura e qualche volta lo temevamo. Domenico Calvario, detto "la duen", fu un priore simpaticissimo. Bonario, disposto a farci fare tutto. Ci ascoltava tutti e prendeva sempre in considerazione tutte le proposte dei confratelli. Per tutto l'anno io, Peppino, Leonardo Balacco, Angiulino Gadaleta, Mario Polignano, Onofrio Annese ed altri, andavamo a trattenerci la sera nel suo ufficio che si trovava in mezzo al borgo. Una sera ci fece questa proposta: il mio sogno era che ai lati del Cristo dovevano presenziare quattro magistrati in frac per dare più prestigio alla statua. Noi tutti, con sorrisi appena abbozzati, dovevamo insistere su questo argomento con la speranza che il suo sogno potesse avverarsi. Un sogno che per lui non s'è mai realizzato. Un priore che difficilmente dimenticheremo. I cocchieri: si presentavano in processione in alta tenuta e cioè con cibus in testa, con frac e con bottoni di oro. Peppino, mio fratello, si divertiva con la sua aria sornione ad intervistarli. Rispondevano con queste testuali parole: "mia moglie, ogni anno, prima di uscire alla processione, pulisce i bottoni con il sidol perché devono luccicare al sole e dopo la processione tutto il vestimento lo va a stipare in un cassone per tenerlo in ordine". Ogni anno Peppino, che godeva con risate sane, voleva intervistarli per sentirsi ripetere le stesse frasi. Quanta semplicità ed autenticità si notava in questi tre cocchieri! Non si sono più visti alla processione. "Morudde du temmurre" era il più vecchio del quartetto ed era solito suonare il tamburo ed il fischietto e ci diceva sempre che dopo la sua morte avremmo finito di ascoltare questo motivo con tutto il sentimento. Zio Gabriele era tanto legato alla Settimana Santa e ci raccontava tante belle e brutte storie dei confratelli. Noi giovani lo stavamo a sentire con tanto entusiasmo e direi con amore. Ci raccontò, un Giovedì Santo in sacrestia, tante storie di portatori, di priori, di vecchi confratelli e di assemblee molto tumultuose. Il Giovedì Santo, a casa sua, allestiva il sepolcro con sue vecchie statue, con tanti piatti di grano e tante candele. Dopo aver contemplato il sepolcro usava offrire tazze di cioccolate e biscotti e tante marce funebri. È uno zio che difficilmente io dimenticherò. Peppino, mio fratello, era un altro patito della Settimana Santa e quando portava la statua di Cristo Morto usava mettersi un fulard grigio per difendersi dal sudore. Era un tipo e tutto l'anno si continuava a parlare delle stesse cose con tanti bozzetti e tante risate sane. Giovanni il sagrestano è un personaggio che tutti conosciamo. Amico di tutti. Ci sopporta tutti ed è buono con tutti: conosce uomini e cose. Non vuole avere commenti specialmente quando deve fare il sepolcro. Racconto un ricordo simpatico: quando deve uscire la statua del Calvario la domenica mi dice sempre: "Don Franco, quando si mette la statua del Calvario si sente già l'odore del calzone" (io mi diverto tanto a sentirlo). L'ufficio delle tenebre era per noi una giornata particolare. Quanti ricordi. Quante voci di confratelli anziani che cantavano quelle lezioni con tanto sentimento e passione. Quando avveniva il terremoto in chiesa, si spegneva tutto e si rimaneva con una sola candela accesa. A noi bambini ci faceva tanta paura. Vardino era il sagrestano per eccellenza; voleva sempre comandare, specialmente quando era impegnato a fare il sepolcro nel Purgatorio. Solo lui poteva sistemare le statue, mettere i fiori, le candele, il grano. Dopo tanti e tanti anni non si è più visto in chiesa. È un personaggio che ricordo volentieri perché faceva molto Purgatorio. I più bei sepolcri che ricordo erano quelli di S. Bernardino e della "Chiesa Nuova": si mettevano tanti lumini, tanti addobbi e tanto oro. Di solito la veneziana si prendeva a "Cozzolicchio": era per noi così profumata e buona che diventò per anni una tradizione. Si gustava sempre dopo la funzione della Cena Domini, la mattina del Giovedì Santo. Faceva molto Giovedì Santo. Ricordo ancora i "pizzarelli" così croccanti e profumati di tonno. Ho ancora il ricordo di quell' odore di storace che si metteva il Giovedi Santo nel sepolcro e guai se non si sentiva quell' odore; odori e profumi che sono rimasti ormai un ricordo. E che dire di quel passaggio delle processioni in Molfetta Vecchia. Mi ricordo che quando passavano le statue da Molfetta Vecchia, su tutti i balconi si accendeva un lumino quando passava Cristo. Uno spettacolo così mistico. C'era tanto raccoglimento e tanta devozione. Il sepolcro che si faceva nella Chiesa della Morte era un sogno. Stavano tutte le statue vecchie con tanti lumini a terra. Mi ricordo che, quando passava l' "Addolorata", si apriva la chiesa e noi tutti andavamo a vedere il sepolcro. Un dolce ricordo della mia infanzia e della mia prima giovinezza. Giovanni, chiudo con nostalgia questo racconto ricordando sempre le nostre vecchie tradizioni, le nostre emozioni, le nostre sensazioni. Franco Poli
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