La piccola italiana nella scuola
Nella vasta bibliografia su
Don Lorenzo Milani, che
comprende scritti, lettere,
testimonianze e dediche post mortem;
spicca un lavoro ben costruito
ma poco conosciuto e valorizzato
di Fabrizio Borghini (Fabrizio Borghini
“Lorenzo Milani. Gli anni del
privilegio”. Il Grandevetro/Jaca
Book, Milano, 2004, euro 8,00 ). A quarant'anni
dalla sua scomparsa è opportuno ripercorrere, attraverso
questo breve ma intenso saggio, le passioni,
i tormenti e le riflessioni che portarono Lorenzo
Milani Comparetti non solo ad abbracciare il sacerdozio,
ma a svolgere la sua missione pastorale dedicandosi
esclusivamente agli ultimi a al loro riscatto,
attirandosi peraltro le antipatie della stessa Chiesa.
Un'opera strutturata sui ricordi di chi conobbe
bene il priore di Barbiana, che tra i tanti pregi ha
quello di occuparsi della giovinezza di Lorenzo Milani
Comparetti e del percorso intimo che lo portò
non solo alla conversione, piuttosto alla scelta
di povertà. E', infatti, analizzato e messo in luce il
rifiuto del Signorino Milani – così veniva chiamato
dai sui contadini nella tenuta di Montespertoli
– del privilegio, per sposare come uomo e come
prete la causa dei derelitti, dei poveri. Non solo,
quindi Barbiana con la sua storia e le sue battaglie; ma il principio sociale
che accompagnò sempre l'opera e l'impegno di Don Lorenzo. Le testimonianze
ed il delicato lavoro di ricerca che vengono presentati in questo libro
aprono un'importante finestra, fino ad ora mai presa in considerazione, sulle
scelte classiste del prete di Barbiana, sulla sua riflessione giovanile che lo
portò ancor prima di farsi prete a respingere, vergognandosene, la propria
posizione sociale; nonostante la sua famiglia, molto più di altre dell'epoca,
fosse motivata da principi sociali democratici. Lorenzo considerava i suoi
primi venti anni, quelli appunto prima di entrare nel seminario minore di
Lecceto nell'ottobre del 1943 “vent'anni passati nelle tenebre dell'errore”,
proprio perché trascorsi nella sua borghese, ma amata, famiglia.
Il fulcro di questo libro sta dunque nella riflessione che il giovane Milani
fa sull'errore sociale della propria condizione sociale, sulla negatività che
la borghesia porta all'interno della società, sullo sfruttamento economico,
lavorativo e culturale che questa élite esercitava sulle masse. Il testo fa
emergere il lungo percorso giovanile che poi approdò nella scelta classista
di Don Milani che venne inizialmente fatta quasi per riscattare la sua condizione
di privilegio; senza dubbio
questo vincolo assillò pesantemente
Lorenzo nel corso della sua breve
esistenza, memorabile è la sua
frase pronunciata ai suoi allievi in
punto di morte: “In questa stanza
c'è un cammello che passa dalla
cruna di un ago”.
Tuttavia non fu solo l'espiazione
di questo peccato familiare a muovere e sostenere
il percorso socio-educativo di Don Milani; questa
fu piuttosto la spinta che gli consentì di prendere
coscienza dell'ingiustizia sociale della borghesia,
che opprimeva i poveri parassitando dalle loro
fatiche ed umiliazioni. Ragionamenti affiancati ai
principi religiosi ma non mossi esclusivamente da
questi, dal libro, infatti, si percepisce che il rifiuto
interiore verso la ricchezza ed il superfluo venne
mosso soprattutto da un sentimento di ingiustizia
verso queste sopraffazioni sociali che, certo, accompagnarono
di pari passo l'amore per Dio e la
religione cattolica. Borghini bene evidenzia come
l'ambiente sociale di Gigliola, la tenuta di campagna
della famiglia Milani-Comparetti, abbia svolto
ancor prima di Cadenzano e Barbina un ruolo fondamentale
sulla formazione del giovane Milani –
che tramite Don Bensi ebbe lì il suo primo incarico
di Cappellano durato solo pochi mesi (vedi lettere alla Mamma - Mondadori
) per comprendere e rifiutare l'ingiustizia.
Lì nella campagna del Chianti, il Padrone si sentiva estraneo, emarginato
da quel Popolo con cui, invece, già da allora voleva vivere. Da questo senso
di ingiustizia deriva il principio che pone la didattica come mezzo per ridistribuire
la sua unica ricchezza, quella culturale, ai poveri trasformandolo in
mezzo per il loro riscatto sociale. La cultura, la padronanza della parola, del
sapere, è l'unica chiave per aprire ogni porta. Don Milani lo spiegò bene a
Luigi Tassinari, che in quel periodo era Direttore dell'Avviamento al Lavoro
a Borgo San Lorenzo e che con la moglie lo aiutava nella preparazione
dei giovani montanari: “Questi sono figli di contadini, per secoli sono stati
esclusi dalla cultura; io voglio riportarli a un livello per cui possano competere
con il figlio dell'avvocato o del dottore”.
Questo testo, che esce dalle consuete biografie sul prete di Barbiana, aggiunge
un importante tassello, un punto di vista differente che arricchisce
il non facile tragitto personale e culturale vissuto da Don Milani e che egli,
con il suo tenace impegno, volle condividere con tutti i suoi ragazzi.
Fabrizio Borghini: Lorenzo
Milani. Gli anni del privilegio
È stato pubblicato il libro “La piccola italiana
nella scuola del Duce a Molfetta”
18° volume della benemerita collana
“Quaderni della Biblioteca Centro Culturale
Audiutorium”. L'autore è Antonio Balsamo,
illustre collaboratore di Quindici e del
quale abbiamo già apprezzato vari articoli di
storia e costume locale.
Il Balsamo ha al suo attivo numerose pubblicazioni
che spaziano dagli studi danteschi,
nei quali ha interpretato in modo originale
e innovativo il pensiero del somma poeta
in contrasto con la critica tradizionale, a
vari saggi letterari (è anche autore di una raccolta
antologica di letteratura italiana). Con
Giovanni De Gennaro ha curato uno studio
sull'Università popolare molfettese e ha scritto
anche un romanzo (Bella e maliosa estate).
A conferma della varietà dei suoi interessi
culturali, ha composto anche una pregevole
silloge poetica che non ha ancora pubblicato,
e i motivi francamente mi sfuggono.
Il suo impegno, come si vede, è stato dedicato
per lo più alla letteratura. Quasi
come una novità appare quindi il libro che,
dall'esame di cinque quaderni di alunne della
scuola elementare di Molfetta, negli anni
1938 – 40, risale all'impostazione didattica
della scuola nell'epoca fascista.
I quaderni esaminati sono cinque, redatti
due da Maria (5a elementare nell'anno scolastico
1938 – 39), due da Angela (3a elementare
nel 1939 – 40) e uno da Anna (5°
classe nel 1939 – 40).
Confesso che quando l'autore mi accennò
al suo intento di scrivere il saggio, ebbi delle
perplessità. Non era il campione troppo limitato?
Poi mi resi conto che punto centrale
del lavoro non era il contenuto degli scritti di
tre bambine, ma la metodologia usata dalle
maestre per indottrinare le future donne fasciste,
secondo i dettami del regime.
Scrive infatti l'autore “Meno importante
per il fine di questo lavoro (é) parlare delle
scolare che hanno redatto manualmente le
scritture dei cinque quaderni. Quello che veramente
importa di loro è constatare il modo
in cui venivano istruite”.
Fossero stati i quaderni cinquanta o cinquecento,
nulla sarebbe variato nell'analisi.
Si sa che un regime totalitario (ad eccezione
forse di Pol – Pot che usò metodi più
spicci) tende per prima cosa ad ottenere il
consenso tramite l'indottrinamento, sopratutto
plasmando il pensiero dei più giovani. A
tale regola non sfuggì il regime fascista.
Così apprendiamo da Maria che la maestra
“...ci insegna ad amare il nostro Duce, ad
amare il Re. C'insegna il rispetto alla Religione
e obbedienza alle gerarchie dello Stato”.
Commenta l'autore “Interessante la gradazione
lessicale nei verbi e sostantivi esprivmenti
le azioni e i sentimenti prescritti: amare
le due persone poste ai vertici dello Stato...
solo rispettare la religione (al regime e alla
sua scuola non importava che la si amasse o
la si obbedisse)”.
Bisogna dare atto alle maestre di aver svolto
il loro insegnamento non con fanatismo,
ma con il massimo equilibrio possibile in un
sistema politico teso al rimbambimento dei
cervelli. Ad esempio, scarso interesse viene
effettuato nel controllare che le bambine
apponessero, accanto alla data tradizionale,
quella imposta dal fascismo decorrente dalla
marcia su Roma, forse perchè le stesse maestre
si rendevano conto della stupidità della
doppia datazione.
Concisione e chiarezza, qualità che raramente
si trovano abbinate, caratterizzano la
presentazione del libro da parte del presidente
del Centro Culturale “Auditorium” Damiano
d'Elia. Il libro è di gradevole lettura,
scorrevole nella forma, interessante per i riferimenti
storici sia nazionali che locali.