“La mia prima volta ad Assisi”
Testimonianza di una signora molfettese
C'ero anch'io domenica 14 ottobre a marciare per la pace.
Insieme a tanti altri (la cifra stimata è di trecentomila persone) facevo parte di quel serpentone nonviolento che, intorno alle ore 9,00 si snodava compatto dai Giardini del Frontone a Perugia per raggiungere Assisi, formando un corteo colorato lungo parecchi chilometri.
Era la mia prima volta.Credo che mi resterà impressa nella mente e nel cuore.
Volti, colori, musica, striscioni, slogan… Fantasia, armonia, calore, unione, pace…queste le sensazioni e le emozioni provate.
Traspariva lo sconcerto per la violenza, per il terrorismo, l'orrore nei confronti dell'atrocità della guerra, la convinzione che non può esistere una guerra giusta, intelligente, chirurgica e che pace non è solo assenza di guerra ma desiderio di giustizia.
Credo che il popolo pacifista non si sia mosso così numeroso solo per dire il suo no al terrorismo ed alla guerra.
Ha invaso la città umbra per dire il suo no alla disuguaglianza, all'ingiustizia, allo sfruttamento, alla povertà, alla fame, ai diritti violati, per gridare la sua voglia di un mondo più equo, per una ridistribuzione delle ricchezze, per un'economia rispettosa dell'ambiente e delle persone.
Sì, perché non c'è pace senza giustizia! Non c'è pace se qualcuno, in qualche angolo della terra, non ha il minimo per vivere, anzi per sopravvivere, e qualcun altro, da qualche altra parte, conduce una vita all'insegna dello spreco e dello sperpero!
Non c'è pace se bambini e ragazzi dell'età dei nostri figli sono abbandonati a se stessi, non possono frequentare la scuola perché costretti a lavorare per racimolare quanto basta per tirare avanti o ad impugnare le armi per combattere.
Non può esserci pace se donne, uomini e minori del Sud del mondo devono lavorare in condizioni precarie, disumane, nelle piantagioni o nelle fabbriche gestite dalle Multinazionali per permettere l'arricchimento di pochi; né può esserci pace se manca la libertà di pensiero, di parola, di stampa.
Il popolo pacifista a Perugia ha avuto l'occasione di mostrare il suo vero volto.
Senza strumentalizzazioni di sorta, senza spaccature, senza dubbi, con i metodi che lo contraddistinguono e le modalità comunicative che molti uomini di potere non conoscono (pacatezza, ascolto, confronto, creatività, accettazione della diversità), ha fatto sentire la propria voce.
Ora non potranno accusarlo, come hanno fatto a Genova, di essere quello che non è!
Arroganza, violenza, vendetta non sono parole facenti parte del suo vocabolario.
Forse è fragile…Deve crescere. Certo! Può farlo e vuole farlo, sulle strade della nonviolenza, a partire da quello che hanno insegnato i padri della nonviolenza.
Penso a Capitini che affermava che la scelta nonviolenta non può essere episodica, legata ad un fatto a o ad una situazione contingente, essa è una convinzione e deve farsi scelta di vita, scelta di campo.
E non si tratta – come evidenzia Melandri, invitando a riprendere seriamente la riflessione sulla nonviolenza e sulla pace -di un cammino semplice, bensì di definire una nuova antropologia basata sull'idea che l'altro non è un nemico da distruggere, ma donna e uomo come me, con cui confrontarmi e misurare la mia identità.
L'altro, il “diverso” è una persona con cui dialogare, da conoscere, “capire”, non da uccidere.
Sarebbe opportuno, forse, rileggere Gandhi quando affermava che “la nonviolenza è la forza più potente del mondo, è forza dello spirito, si accresce continuamente ed è infinita, risiede in tutti gli esseri umani, uomini, donne e bambini, a prescindere dal colore della pelle.In alcuni è assopita, ma può essere risvegliata con un'adeguata educazione” e riscoprire la sua idea di nonviolenza come disobbedienza civile, organizzata, politica, come capacità di contrapporsi ad un sistema per cambiarlo, migliorarlo.
Bisognerebbe, forse, non dimenticare quanto don Tonino, il nostro amico vescovo, con la sua testimonianza e la forza delle parole e dell'esempio ci ha comunicato.
“In piedi costruttori di pace!” Se fosse stato qui tra noi l'avrebbe gridato a chiare lettere e, a Perugia, come me, avrebbe gioito per aver visto la città, come in un sogno, “sperimentare un traboccamento di pace”.
Margherita Bufi