Il nuovo porto commerciale, ancora lui. Zavorra di cemento nel mare. Sogno di un futuro migliore per l’economia della città e incubo di nuove speculazioni sul territorio. Fardello pesante, fatto di tetrapodi, milioni di euro, incarichi, inchieste. Opera incompiuta, infinita, a tratti immaginaria. Eppure ossessione faraonica che si prende prima la mano e poi il braccio anche della nuova amministrazione. Più di tutto, macchina di soldi: 170 milioni di euro. I famosi “fondi Porto” grazie ai quali a Molfetta si possono fare anche opere sociali, sportive e culturali. L’emendamento Azzollini, la magia più clamorosa della storia parlamentare italiana più recente. Che ha consentito, a onor del vero, al Comune di Molfetta di realizzare opere a ripetizione, senza l’ansia di inseguire troppo i bandi. Ma che ha anche fatto perdere la bussola - talvolta, non sempre - a chi quei fondi ha dovuto assegnarli a opere specifiche, nel tempo. Il sindaco Azzollini, prima, che con i fondi porto arrivò a finanziare le urbanizzazioni primarie nei comparti 1-9: marciapiedi, illuminazione, asfalto. O anche i famosi chioschi della frutta. O ci pagò le indagini aggiuntive sulla tragedia del Francesco Padre. Come se i fondi Porto fossero un “bancomat gold”, da cui poter attingere sempre, in caso di necessità. Il sindaco Minervini, poi, che ai Fondi Porto ha legato la realizzazione di opere di ogni genere: il dog park, il co-finanziamento della mega Velostazione, i lavori a piazza Aldo Moro e a Piazza Immacolata, il Grande Teatro da 7 milioni di euro e molto altro ancora. Con il colpo di scena datato 21 dicembre 2020, alle porte del Natale della seconda ondata Covid e delle nebbie omertose che hanno accompagnato la famosa “verifica amministrativa” post Appaltopoli. Ovvero la nuova delibera sui Fondi Porto, l’atto amministrativo richiesto dal Ministero dell’Interno di rendicontazione delle somme e dell’abbinamento tra le somme delle leggi Porto e le opere da realizzare con le stesse. Cos’è la “delibera di ricognizione sui Fondi Porto”? La delibera sui fondi Porto è stata un atto amministrativo introdotto nella stagione 2013-2016, dopo il sequestro dell’opera e l’interlocuzione, aperta e trasparente, inaugurata con il Viminale per evitare che attorno alla realizzazione dell’opera e delle opere realizzabili con i fondi stanziati negli anni da Azzollini vi fossero ombre circa l’utilizzo improprio ma anche sprechi di pubblico denaro. L’accordo con il Viminale è stato quello di comunicare con un atto di ricognizione gli investimenti legati a quelle cifre. Per ogni euro investito usando i fondi porto, il Viminale doveva sapere quale opera si stava realizzando e quale fosse lo stato di avanzamento dei lavori. Il lavoro di ricognizione dei Fondi Porto, invisibile e faticosissima opera di trasparenza amministrativa e anticorruzione portata avanti nel triennio 2013-2016, aveva anche come scopo quello di non mandare le risorse statali in perenzione. Per quanto, come sempre si è spiegato negli anni, esistono procedure trasparenti e chiarissime per far riemergere cifre eventualmente in perenzione e reimpiegarle. Nel triennio 2013-2016 si chiese all’avvocato amministrativista Vincenzo Cerulli Irelli un parere pro veritate sul corretto utilizzo dei “Fondi Porto”, decidendo in ogni caso di usare quelle somme con logica precauzionale, cioè limitandole alla sola realizzazione del Porto e delle opere sociali, sportive e culturali. Con quei fondi si ristrutturò il Palapoli, il Paolo Poli, il Petroni, i campetti di Via Gramsci, la palestra della Don Cosmo Azzollini. Con quei fondi si completò la Cittadella degli Artisti. Non furono, invece, usati per urbanizzazioni primarie, mai. Né se ne abusò o affrettò l’utilizzo, con l’opposizione azzolliniana, guidata dall’ex assessore Mariano Caputo, sempre pronta a gridare per questo all’immobilismo e allo spreco. Lavori in corso solo sulla carta: stiamo dicendo la verità al Viminale? Qual è stata la scelta di Tommaso Minervini sui Fondi Porto? A leggere la delibera del 21 dicembre, firmata l’8 gennaio 2021 e in via di trasmissione al Viminale, la scelta è quella della corsa all’oro. La febbre dell’oro di Tommaso, per citare Charlie Chaplin, porta il sindaco e la sua giunta a elencare come opere con “lavori in corso” lavori pubblici fermi, non realizzati e non certo in corso! Basta scorrere la delibera 250, da poco pubblicata in Albo Pretorio – e firmata da tutta la giunta, tranne che dall’assessore Pietro Mastropasqua, assente – per rendersi conto del grande bluff proposto al Ministero dell’Interno guidato da Luciana Lamorgese. Secondo la delibera, lavori in corso sarebbero attivi sul Grande Teatro da 7 milioni di euro (grazie al cielo fermo, anche per divisioni interne alla maggioranza), così come sui Cantieri Navali (area su cui insistono ben tre diversi progetti, di cui uno assai controverso di cementificazione e avanzamento della banchina di Spiaggia Maddalena, anche questi completamente fermi), così come su Digestore Anaerobico e revamping dell’impianto della plastica. E la lista potrebbe continuare. Perché si è scelta la strada della bulimia da asfalto e cemento e dell’elencazione di opere su opere dichiarate peraltro “in corso”? Per saturare l’intera somma dei 170 milioni di euro ed evitare con un bluff la perenzione delle cifre? Evidentemente sì. Ma il Comune è nelle condizioni di progettare, dirigere, mandare a gara, supervisionare una tale quantità di opere a farsi? E quanto consumo di suolo cubano queste opere? Quale impatto ambientale sul territorio? A che modello di sviluppo della città rispondono? Sono state adeguatamente discusse con la città? Sono state considerate prioritarie nell’ambito di processi partecipativi che hanno coinvolto i cittadini? Le domande potrebbero continuare. Con un dossier a parte che meriterebbe l’opera al centro dello stanziamento: il Nuovo Porto Commerciale. I lavori sembrano essere ripresi e, nelle prossime settimane, proveremo a raccontare nel dettaglio in cosa consiste questa ripresa delle opere. Quel che sembra certo, dalle carte, è che riguardano la messa in sicurezza dell’opera, unica parte del progetto che ha avuto il pieno via libera di ANAC e Consiglio superiore dei Lavori Pubblici. Ma che ne sarà del completamento? Ovvero: il Nuovo Porto Commerciale entrerà davvero in funzione? Con il completamento del molo di sopraflutto e anche del Centro Servizi necessario alla gestione delle nuove banchine? E quale porto stiamo costruendo? Un porto per le merci rinfuse, per le Ro-Ro, per i container? Non è dato avere risposta a queste domande, poiché le nebbie sono da tempo tornate a circondare l’opera. E l’Amministrazione non parla, non spiega, non presenta un business plan, né un vero cronoprogramma. Manda avanti, intanto, anche qui in un silenzio inquietante, progetti complementari. Quello sui nuovi pontili galleggianti a Molo San Corrado e il tris di progetti non integrati tra loro sui Cantieri Navali, ad esempio. Ma anche opere “al servizio” del Nuovo Porto (che ancora non c’è), che sembrano andare avanti più velocemente del Nuovo Porto stesso. Come il nuovo Terminal Ferroviario a valle della zona industriale. Opera da 70 milioni di euro proposta dalla Istop Spamat srl di Vito Totorizzo. Il cui procedimento amministrativo non sta in piedi. L’atto d’impulso Minervini - Totorizzo: l’interesse pubblico dov’è? Come avevamo anticipato per primi nei numeri precedenti e sul nostro sito web, un progetto monster incombe sul territorio, nella zona a valle dell’agglomerato industriale, nel lato campagna dell’area adiacente agli orti costieri di via Bisceglie, non lontano né da Torre Calderina né dalla Basilica della Madonna dei Martiri e dalla tappa francigena dell’Ospedaletto. Si tratta di un terminal ferroviario di collegamento del Nuovo Porto Commerciale, che ha lo scopo di collegare l’opera alla rete ferroviaria nazionale. Accanto al terminal, un’area a servizio della logistica delle merci. Il progetto (60 pagine) disegna un intervento che coinvolge 12,5 ettari di campagna, con un investimento stimato attorno ai 70 milioni di euro. Un desiderio espresso nella notte di San Lorenzo, come abbiamo già scritto, visto che è stato protocollato da Istop Spamat il 10 agosto scorso e pochissime settimane dopo, il 23 settembre, già approvato dalla giunta comunale (assente solo l’assessora Pd Gabriella Azzollini), con tanto di particelle per gli espropri già individuate. La cosa più inquietante, recentemente emersa grazie all’accesso agli atti presentato dalle consigliere dell’opposizione di sinistra Paola de Candia e Silvia Rana, è che tra l’istanza del 10 agosto e la delibera del 23 settembre c’è un atto intermedio, francamente inquietante sul piano amministrativo, di completa iniziativa del sindaco Minervini, che è poi l’atto che originerà la delibera di giunta. Si tratta di un “Atto di impulso e indirizzo per l’attivazione delle procedure di legge”, un vero e proprio accordo bilaterale su carta intestata del Comune che porta la firma del Sindaco e la controfirma “per accettazione ed impegno” del proponente, il capitano Vito Totorizzo. Prima ancora di proporre il progetto all’organo collegiale esecutivo, ovvero la giunta comunale, il Sindaco decide per tutti e vincola l’Amministrazione all’impegno con Totorizzo su un progetto ad altissimo impatto, che come abbiamo ripetuto insiste su un’area ad alto rischio idrogeologico, ad alto valore paesaggistico, completamente ignorando gli strumenti di pianificazione e i vincoli esistenti. In tre pagine il Sindaco impegna il Comune e sostanzialmente dà parere positivo all’operazione. Non solo non consultando la città, non solo non consultando i tecnici comunali, non solo non consultando le commissioni consiliari competenti, ma scavalcando anche la Giunta Comunale, che chiamerà ex post a ratificare una decisione già presa e sottoscritta nel tempo-lampo di un mese. Esiste un chiarissimo sospetto di illegittimità del procedimento amministrativo, poiché si vincola un’area estremamente vasta e peraltro fragile del territorio senza passare né dal vaglio tecnico delle autorità competenti, né da alcuna consultazione né tecnica né politica su scala comunale, né da alcuna formula di evidenza pubblica o partenariato pubblico-privato codificata dalla normativa vigente. Al di là di questo, la gravità anche politica del metodo scelto da Minervini è notevole. Siamo all’accordo diretto tra il Sindaco della città e un’impresa. È bastata una nota protocollata dell’impresa e una contro-nota di tre pagine a firma del Sindaco e controfirmata dall’imprenditore proponente per chiudere l’operazione che la giunta ratificherà due settimane dopo. Un precedente francamente inquietante di autoritarismo sindacale e di sospensione delle procedure democratiche, che si svolge peraltro nel cuore della campagna elettorale per le elezioni regionali. Il tutto nel nome della sostenibilità, della riduzione dell’inquinamento assicurata dal trasporto su ferro (e il consumo di suolo? E l’attacco alla campagna e al paesaggio? E il grave rischio idrogeologico?) e dell’interesse pubblico, viste anche le stime di ricaduta occupazionale. E in nome anche dell’economicità: “Il Comune non pagherà un euro”, va ripetendo Tommaso Minervini nei corridoi ai cittadini che rischiano di subire un esproprio inspiegabile e insensato. Insomma, stiamo ricevendo anche un regalo e dovremmo ringraziare la coppia Minervini-Totorizzo perché, come sempre, le magnifiche sorti e progressive sono alle porte. La cittadinanza attiva, però, non ci sta. E prepara azioni politiche e legali, attorno al neonato Comitato No Terminal, che ha aperto una pagina Facebook e una newsletter e promette battaglia. Con un mistero attorno alle carte del progetto. Esisterebbero delle tavole progettuali allegate alla relazione di 60 pagine, ma gli uffici comunali non le hanno ancora trasmesse alle consigliere comunali e alle forze politiche che si sono attivate. Forse per timore che possano essere trasmesse all’Autorità di Bacino, alla Regione, alla Soprintendenza e la grande cavalcata verso il “nuovo affare” possa incontrare i primi seri ostacoli sul suo cammino. La consigliera Silvia Rana ha inviato due pec e un sollecito, ricevendo in cambio solo silenzio. La tensione, quindi, su questa vertenza, è destinata a salire. E potremmo essere davanti al primo banco di prova della riorganizzazione delle forze civiche e politiche dell’area progressista per iniziare a costruire l’alternativa alla coalizione trasformista a guida Tammacco-Minervini, che nel Porto potrebbe vedere il suo naufragio e nel terminal ferroviario potrebbe il suo capolinea. © Riproduzione riservata