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La corte dei miracoli
15 marzo 2011

Quando pensiamo alla definizione di «nani e ballerine » coniata da Rino Formica e riferita al periodo craxiano con i suoi cortigiani e le gaudenti fanciulle un clima che dominò gli anni Ottanta, non possiamo che paragonarlo a quello del «bunga bunga», che resterà negli anni come la definizione del berlusconismo che, del craxismo e la naturale continuazione ed evoluzione peggiore. Attorno ai due personaggi ha sempre ruotato una corte dei miracoli, composta da soggetti mediocri, che grazie ad un servilismo sciocco da commedia dell’arte (dai personaggi di Plauto ad Arlecchino), riescono a conquistare posizioni di privilegio, posti, prebende, garantite da un potere che non vuole contrasti. I mediocri non disturbano, non ragionano, più sono fedeli e più hanno possibilità di essere accettati e premiati. Ma a questo punto entra in ballo il cosiddetto principio di Peter, che abbiamo richiamato altre volte: «in qualsiasi gerarchia ognuno viene promosso fino a raggiungere il suo livello di incompetenza. Perciò ogni incarico è destinato a finire nelle mani di un incapace». E così l’intelligenza diventa un ostacolo, soprattutto se lo stesso mediocre che è al vertice della piramide, come accade oggi in Italia, possiede al massimo grado una virtù che tutti sentono di avere, ma che non osano confessare: la mediocrità. E quindi quando la mediocrità assurge al ruolo di virtù, merita il potere e crea consenso, perché tutti si riconoscono nel capo e aspirano ad imitarlo anche nei festini sessuali e nel bunga bunga. In questo circo alimentato mediaticamente attraverso la tv, la corte dei miracoli si immedesima nel capo, diventa arrogante e crede di poter fare e dire tutto ciò che le passa per la mente, senza rispetto per gli altri, sicuri di farla franca. E quando qualcuno scopre il gioco, toglie il velo e il servo resta nudo più del re, si arrabbia e sbraita in modo sproporzionato, facendo magari appello alla giustizia e alla magistratura che prima ha criticato, sulla scia delle direttive del capo. E così mentre il premier recita bene la parte della vittima giudiziaria (vessato a suo parere da parte dei giudici che non è riuscito a comprare), affiancato dal leader della Lega Bossi che gira col dito medio alzato (un’altra delle finezze berlusconiane, praticate perfino dalle donne del Pdl) e facendo il gesto dell’ombrello, aumentano i consensi. Quale italiano, infatti, non si sente un po’ oppresso da qualche giudice poco attento e superficiale (ahimè ne esistono: vedi il caso Tortora per tutti)? Di qui la richiesta di approvare la legge sulla responsabilità civile dei giudici, voluta dagli italiani con il referendum e mai varata. Ecco che la corte dei miracoli diventa lo strumento del leader per attaccare e criticare i suoi avversari e tutti coloro che non sono omologati. Sono loro a dover fare il «lavoro sporco», lasciando immacolato il leader che si appella alle masse, giustifica il suo potere senza regole con il consenso popolare, alimentando il populismo antidemocratico che si basa sulla maggioranza dei mediocri che caratterizza la nostra epoca. Accade anche a Molfetta e la corte dei miracoli dell’azzollinismo si agita contro chi osa criticare il sultano, che ha garantito a tutti una prebenda. E così un giornale fuori dal coro come Quindici viene preso di mira da questa corte che non accetta che si tolga il velo al perbenismo di facciata. C’è chi arriva ad accusarci di essere «assoldati per compiere azioni illecite, disoneste e malvagie e, dietro pagamento, a sostenere interessi particolari », roba da codice penale per il malcapitato personaggio che ha fatto queste affermazioni (che sarà perseguito, non tollereremo più questi comportamenti, sperando che “ci sia un giudice a Berlino”). Certo, la verità dà fastidio, come quando si chiede ragione di una strada asfaltata solo fino alla casa dell’assessore di turno, che non riesce nemmeno a trovare una giustificazione valida per settimane (e non ha il coraggio di rispondere direttamente a Quindici, ma si rivolge a qualche altro giornale e sito compiacente) e poi si inventa la favola (buona per gli allocchi) di aver pagato personalmente le opere di urbanizzazione, peggiorando la sua posizione. Come mai per le opere di urbanizzazione che vengono pagate da tutti in anticipo, non si applica lo stesso criterio per tutti, ma ci si ritrova con un pezzo di strada asfaltato, mentre l’altra metà della stessa resta sterrata? L’assessore ritiene che tutti i cittadini siano imbecilli (o che debbano fare gli imbecilli)? Oppure imita il premier quando vuole far passare come vera la storia della nipote di Mubarak con il voto di tutti i parlamentari al suo servizio? Lo stesso assessore sostiene che i lavori sono di pertinenza del settore lavori pubblici per il quale non ha competenza. Certo, altrimenti sarebbe scattato il reato di concussione. Ma il conflitto di interessi resta, perché l’assessore non solo fa parte dell’amministrazione di centrodestra, ma è anche membro della giunta Azzollini. La moglie di Cesare non solo non deve essere colpevole, ma nemmeno sfiorata dal sospetto. Figuriamoci Cesare stesso. Se la stessa cosa fosse accaduta ad un assessore del centrosinistra, sarebbe stato massacrato, con richiesta di dimissioni. Nella corte dei miracoli non si può accettare questo principio, perché se l’assessore fosse dimesso da quella poltrona ricevuta generosamente dal sindaco, verrebbe meno la certezza di impunità per gli altri e quindi crollerebbe tutto l’impianto del consenso. E’ sempre più difficile scrivere la verità, come quando si chiede ragione di una pubblicità applicata su cartelli stradali su via Terlizzi, dove non c’è l’autorizzazione del comandante dei vigili, manca anche quella dell’ufficio tributi e l’operazione, pur dubbia, si fa lo stesso. Ma il destinatario di questo provvedimento quantomeno discutibile, grida allo scandalo e minaccia Quindici di azioni legali, con una pagina a pagamento su un giornale locale, che involontariamente si presta all’operazione, senza rendersi conto che, per le false accuse rivolte a Quindici, risponderà con l’autore dell’articolo di diffamazione e calunnia con relativi risarcimenti danni, per aver insinuato l’esistenza di interessi particolari da parte di Quindici che lo avrebbe perfino ricattato con una richiesta di pubblicità. Siamo alla follia totale! E così questa improvvisata corte crede di rendere un favore al proprio capo, ma danneggia se stessa e la falsa immagine di perbenismo che si vuole creare per la propria parte politica. Quindici non fa politica, né rappresenta la voce dell’opposizione di centrosinistra (da noi criticata anch’essa più volte), certo è l’unico giornale che assume toni critici in una panorama giornalistico omologato al conformismo dominante. Quando abbiamo fondato questo giornale, nel primo editoriale scrivevamo che non pretendevamo di essere migliori, ma diversi ed è quello che abbiamo fatto in 16 anni di vita, orgogliosi di tale diversità, che vuol dire libertà dal potere, dagli interessi economici e da tutte le corti dei miracoli. Sempre fuori dal coro, sempre al servizio della società civile.

Autore: Felice De Sanctis
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