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"La Chiesa Vecchia può rovinare da un momento all’altro" Una lunga storia di degrado e restauro che risale al 1925
15 settembre 2001

di Ignazio Pansini Intorno agli anni venti del Novecento, il Duomo romanico di S. Corrado presentava gravi ed evidenti segni di dissesto. In una relazione autografa sui campanili della Chiesa Vecchia, inviata il 21 febbraio 1925 alla Commissione Monumenti e Piazze di Molfetta, l’ingegnere Sergio Giancaspro scriveva “che è semplicemente inaudito che si sia giunti ad uno stato di simile abbandono”. Il tecnico, che nel 1934 avrebbe redatto un Piano Regolatore di Risanamento del Centro storico, molto discusso, ma non privo di soluzioni oggi condivisibili, si soffermava in particolare sul Campanile di Mezzogiorno, il cui terzo piano “è in condizioni terrificanti, e può rovinare da un momento all’altro”, insieme al resto della torre. Circa due anni dopo, ebbero inizio i primi lavori di restauro, che interessarono anche il corpo della chiesa, soprattutto sul lato settentrionale ed absidale. Dopo un’interruzione di circa quattordici anni, i restauri ripresero nel 1941 per concludersi definitivamente nel 1945. Nel corso di questo secondo intervento, più lungo e complesso, fu demolita la cappella gentilizia centrale, addossata al lato di Ponente, ed il sovrastante bastione, detto la “Galera”, che la inglobava insieme ad altre due laterali, e che per secoli aveva svolto funzioni di guardia e difesa, a diretto contatto con il mare ed il vecchi molo. Si creò allora l’attuale ingresso principale, forse progettato in origine, ma rimasto sempre incompiuto, per ragioni ipotizzabili, ma finora non documentate. Una discreta documentazione su questi lavori, diretti come quelli del ’27 dal Giancaspro, giace presso la Soprintendenza ai Beni Artistici ed Architettonici della Puglia. Ma i guai per i due campanili, drammaticamente denunciati nella citata relazione, hanno una storia antica. Il 24 novembre 1551 il Vescovo informava il Capitolo che la torre Sud, sede delle campane, era stata riparata. Nel 1616, dopo il solito tira e molla tra Curia ed Università, si giunge ad un accordo per il restauro delle due fabbriche, “coeli bellique fulmine quassatas”, come si legge nelle epigrafi scolpite sui cornicioni. Altri lavori furono eseguiti nel giugno del 1790, come testimonia un documento di cui più avanti. Nei primissimi anni del secolo scorso, si murarono alcune bifore e si fasciarono le due fabbriche con cerchiature in ferro. Lavori abbastanza inutili, o comunque insufficienti, se dobbiamo credere alle allarmanti denuncie del Giancaspro, di pochi anni posteriori. Notizie esaurienti su tutto quanto sopra, possono ricavarsi dalle pubblicazioni del Direttore dei due restauri, dal saggio di Gaetano Valente del 1910, e soprattutto dagli articoli che Roberto Pane, incaricato nel 1966 di redigere un Piano particolareggiato di risanamento edilizio e di restauro della Città Vecchia, pubblicò su “Napoli Nobilissima” nel 1967 e ’68. Questi, tra l’altro, non condivide alcune demolizioni degli avancorpi di Ponente: l’intento di ripristinare una supposta facciata originaria, aveva comunque comportato interventi ex-novo, i cui risultati non giustificavano la eliminazione di strutture certamente posticce, ma storicamente ed artisticamente rilevanti. Il problema resta aperto, e non solo naturalmente per il Duomo di Molfetta. L’architetto napoletano lamenta anche la scarsezza della documentazione prodotta o superstite, a fronte di lavori di tanto respiro. Recentemente, il professor Luigi Mongiello, concludendo un suo saggio su S. Corrado, afferma che “iniziano a manifestarsi i segni dell’affaticamento della struttura, che mi auguro continui a fruire della benevolenza dei Santi Protettori”. Sugli accennati lavori del 1790, trascriviamo di seguito un breve documento, probabilmente inedito, riveniente da una collezione privata. Esso si riferisce quasi sicuramente al campanile Sud, ed in particolare a parti del suo terzo ordine, lo stesso che 135 anni dopo l’impavido Giancaspro, nel corso di una ispezione non priva di pericolo, vedeva letteralmente sgretolarsi (“tutta una bifora del lato est è spaventosamente fuori piombo: una buona spinta di una mano robusta potrebbe scaraventarla sulle catapecchie sottostanti”). Di un certo interesse, a parte i particolari strettamente tecnici, interpretabili da uno storico del restauro architettonico, sono i nomi dei muratori, il loro numero, e la spesa complessiva: dieci ducati e 48 grana. Nota di accomodi fatti nel Campanile della Parrocchial Chiesa di S. Corrado, e sono videlicet: Adì 12. Giugno 1790. Si è abbattuto una cantonata coll’arca dello finestrone a mezzogiorno, e rifatta di nuovo, e fatto poi un pezzo di fabrica dentro la scala del terz’ordine, cioè che attacca il detto finestrone; ed inchiamendato da dentro tutti gli chiamendi di detto terz’ordine; si è inchiamendata una porzione di Campanile, cioè alla parte di mezzogiorno. Per giornate 6 di Mastro Pasquale Visaggio; 1:80. Per giornate 6 di Mastro Filippo Breglia; 1:50. Per giornate 6 di Mastro Mauro Sangillo; 1:50. Per giornate 6 di Manipolo Grande a grana 18; 1:08. Per giornate 6 di Manipolo mezzano a grana 15; :90. Per giornate 6 di Manipolo picciolo a grana 12; :72. Per giornate 6 di altro Manipolo a grana 8; :48. Per compra di 5 pezzi per la cantonata, ed arcata, lavoro e trasporto; :70. Per compra di tegole sottile; :50. Per compra di calce, trasporto, e curatura some 4; 1:30. (sul verso della carta): Campanile di S. Corrado. Accommodi nel 1790. Da Mastro Vincenzo Forgia.
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