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La cattiva educazione
15 settembre 2019

Quando quest’estate, visitando Urbino, ho concepito l’irrefrenabile desiderio di trasferirmi in una delle più belle “Città del silenzio”, inizialmente ho pensato fosse ascrivibile alla volontà di dialogare, ogni qualvolta ne avessi avuto voglia, con gli affreschi dei fratelli Salimbeni all’Oratorio di San Giovanni Battista o con le opere di Piero Della Francesca, Raffaello e Tiziano esposte presso la Galleria Nazionale delle Marche. Poi è bastato rientrare a Molfetta per comprendere meglio le ragioni di quell’innamoramento improvviso, in realtà figlio di un malessere profondo. Di un’insofferenza, oserei dire. Viviamo in una città in cui la cattiva educazione impera, ma vi siamo così assuefatti che a volte la gentilezza ci rende persino sospettosi. Questa cattiva educazione ritengo sia imputabile a molteplici fattori, ma il primo è senz’altro l’egotico narcisismo che ci induce ad anteporre le nostre esigenze personali a quelle di chiunque altro, sposando la nostra comodità a discapito della civile convivenza e di quella che Stefano Guazzo definiva la “civil conversazione”. La sporcizia è il biglietto da visita del malcostume diffuso. Alcune strade, come via Volpicella (ahimé, la via in cui ho veduto la luce, anche se, oggi come oggi, non ne vado fiero) sono impraticabili perché, a parte il guano, divengono ricettacolo di rifiuti di ogni genere e di escrementi canini al punto che meglio per il pedone sarebbe camminare lungo la carreggiata e non sul marciapiede. E che dire del vicolo Giuseppe Garibaldi, alla domenica mattina pavimentato da cocci di bottiglie infrante o abbellito da lattine o rifiuti in bella mostra? Forse – e qui la colpa, perché di questo si deve parlare, è delle famiglie – bisognerebbe insegnare a queste selvatiche generazioni di adolescenti, e magari non soltanto a loro, che esistono appositi contenitori di rifiuti e che il ‘superfluo peso del ventre’, per scomodare Boccaccio, dovrebbero deporlo in apposite strutture denominate water e non nel bel mezzo della scalinata di via Ugo Bassi, ancora una volta mal ‘concimata’ nella prima settimana di settembre. Per non parlare del recente monumento a don Tonino Bello; piuttosto che, non essendo in contatto mediatico col suo spirito, scervellarci per domandarci se gli sarebbe piaciuto o meno, forse dovremmo cominciare a mantenerlo pulito, evitando di farne il bivacco di comitive di teenagers, ma anche di gente più attempata, con annessi depositi di plastica e vetro. Magari non lamentandoci se qualche residente, giustamente, domanda, per esempio, di porre un freno allo schiamazzo sulla muraglia, perché concedersi una piacevole passeggiata al chiar di luna in uno degli angoli più belli di Molfetta sarà anche romantico, ma è opportuno non dimenticare il rispetto di chi abita negli stabili circostanti. Eppure, nella città della cattiva educazione, il rispetto, che implica l’accoglienza dell’altro, sembra un’opzione del tutto fuori moda. Portare a passeggio i propri amici a quattro zampe è cosa buona e giusta, ma continuiamo a insistere (e lo faremo sino allo sfinimento, nostro e del lettore) sulla necessità di provvedere alla raccolta delle deiezioni del proprio Fido. La città è indecente e maleodorante. Se si reputa un’operazione disgustosa la raccolta di feci dell’animale domestico di cui ci si occupa (e potrei essere anche concorde in merito; infatti, non ho in casa alcun cane), forse è bene interrogarsi sull’amore che si nutre per queste creature, senz’altro spesso più intelligenti dei rispettivi proprietari. Per non parlare, poi, della maleducazione di lasciar scorrazzare botoli ringhiosi magari in presenza di bambini (spesso irritanti per certe categorie di adulti, ma non per questo da sopprimere); è ormai un classico la scena del cane di turno che abbaia e sembra volersi avventare sul piccolo, mentre il proprietario, serafico, ti risponde, non tranquillizzandoti affatto: “Non abbia paura: è buonissimo!”. Per non parlare dell’antigalateo stradale. Mai avere incertezza sulla strada da intraprendere o tantomeno fermarsi un secondo per cercare di parcheggiare. Partirà automaticamente la strombazzata del gentile signore di turno, che avrà immancabilmente la funzione di innervosirti e farti sbagliare la manovra. Un’altra moda, poi, è quella di lasciare l’automobile in sosta, ovviamente con le quattro frecce, nel bel mezzo di strade a doppio senso di circolazione (via Baccarini, via Tenente Fiorino, per fare giusto qualche esempio), perché il tempo incalza. Non ci si può soffermare a cercare parcheggio e allora si abbandona, per così dire, la vettura dinanzi all’esercizio in cui bisogna recarsi a fare la spesa o al panificio, quando non si tratta del caffè in un bar (qui la doppia fila è d’obbligo). Questo perché il nostro tempo è talmente prezioso e insostituibile da non consentirci di sprecarne nemmeno un secondo a chiederci se questi nostri comportamenti possano arrecare disagio. A Pesaro, quest’estate, mi sono stupito del rispetto mostrato dagli automobilisti ai pedoni che attraversano sulle strisce. Questo garbo a Molfetta è generalmente assente; certo, i nostri pedoni non rappresentano la facciata virtuistica del codice stradale, dato che, ormai, proprio perché le strisce appaiono un po’ a tutti ininfluenti, irrompono sulla carreggiata da ogni direzione, sposando la strategia del cosiddetto attraversamento selvaggio. La cosa che più ci rattrista è che più volte, dalle pagine del nostro giornale come dai social, sono emerse richieste di segnali forti alla popolazione. Per ottenere un po’ d’ordine non è necessaria una dittatura. Inorridisco nel sentire certe signore che, in interviste sulla crisi di governo, chiedono si conferisca il potere a ‘uno’, come se quella cosa chiamata democrazia non fosse costata vite e vite umane in Italia. In fondo, scherzando, lo faceva notare anche Troisi quando affermava che, se l’obiettivo da conseguire era la puntualità dei treni, sarebbe bastato nominare Mussolini capostazione. Riteniamo sia sufficiente avviare una sistematica campagna di multe, perché, dove non arriva la civiltà – nella maggior parte dei casi assente –, possa risultare incisiva almeno un’efficace coercizione. © Riproduzione riservata

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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