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La caduta del sovrano
15 febbraio 2018

Fa un certo effetto non leggere il nome di Antonio Azzollini fra i candidati al Senato, alle prossime elezioni politiche. Senatore per ben 21 anni, Presidente della Commissione Bilancio del Senato in più legislature, sindaco di Molfetta per due volte, Azzollini ha inciso in maniera potente sulla politica nazionale e locale degli ultimi due decenni. L’ho criticato e contestato per tanti anni, su tante questioni ci siamo trovati su fronti opposti, sulle barricate. Questo è stato possibile perché Azzollini aveva una visione di città, che ha portato avanti in maniera spregiudicata, forzando le regole del gioco, facendo valere la politica come decisione. Si è trattato di una visione totale, sistematica, centrata sulle grandi opere - a partire dal nuovo porto - come volano dell’economia e come fattore eminente di coesione sociale. Azzollini è stato l’unico politico molfettese, negli ultimi anni, a non limitarsi all’amministrazione dell’esistente, ma a sfidare regole e realtà decidendo sul futuro della comunità, assumendosi tutte le responsabilità delle scelte. È il Politico di Carl Schmitt, è il sovrano che dà forma alla società, che organizza la moltitudine dall’alto verso il basso, al di là della mediazione dei corpi intermedi. Questo anche grazie ad un carisma particolare, frutto di un radicamento genuino nella cultura popolare molfettese, nelle sue tradizioni, nello spirito della comunità. Azzollini non recita quando parla col popolo: quel gergo è suo, gli appartiene forse ancor più del registro alto da utilizzare in Parlamento. Azzollini è uno del popolo, che sa cosa significa emozionarsi portando le statue durante le processioni della Settimana Santa, che conosce le stanze spoglie ma piene di vita dei quartieri popolari, dove si gioca al ramino e al tressette, che sa che la domenica mattina Molfetta è il porto, dove la comunità si incontra attorno al mare, con le chiese sullo sfondo. Delle volte davvero tutto sembrava tranne che un leader della destra. Piuttosto, molto identificabile, nei modi e nei costumi, con il militante comunista che era stato, prima del grande salto. La visione di Azzollini, quella del sovrano, dell’uomo solo al comando, è divenuta allora la visione di una comunità. Azzollini ha costruito il suo popolo, o meglio lo ha costruito lasciandosi cullare dai suoi costumi, dai suoi riti, che sono quelli in cui è nato e cresciuto, che hanno cucito la sua identità su quella della sua città. Nel frattempo, la città è divenuto un affare privato, da gestire facendo ricorso alle risorse che derivavano dal suo ruolo a Roma. L’asse Roma-Molfetta, i lavori di quell’opera gigantesca del nuovo porto, quella visione che si faceva realtà, grazie al suo potere e alle sue capacità. La sinistra avrebbe potuto rivendicare, in questi anni, un altro modo di fare politica. Avrebbe dovuto opporre la forza dei molti a quella di uno solo, la partecipazione dal basso all’assolutismo del sovrano, perché il potere, anche quando illuminato, è sempre un inganno. Invece ha corso sul suo stesso terreno, perdendo la partita, perché Azzollini era più bravo, sapeva come giocare a quel gioco. Nel migliore dei casi, le opposizioni si sono limitate all’ordinaria amministrazione, senza azzardare, senza sfidare il reale. Azzollini non è stato sconfitto dalle opposizioni, né dalla giustizia. Alle ultime elezioni Forza Italia è stata ancora la lista più votata a Molfetta, anche senza che lui si fosse candidato. È stato fatto fuori dal suo stesso partito: a far cadere il sovrano sono stati proprio i corpi intermedi, i soggetti collettivi. Forse sono stati piegati al capriccio di qualcuno, ma è questo il rischio che si paga quando si trasforma la politica in un affare privato. Si chiude un’epoca. Per me Azzollini, nei primi anni della mia formazione culturale e politica, è stato un simbolo: il potere, il nemico da contestare e da battere, la visione da decostruire. È stato un nemico importante, perché univa la profondità e l’audacia teorica al radicamento popolare: era una sfida ardita, perché mostrava come il potere, quando astuto e “illuminato”, non è mai coercitivo e unilaterale, ma entra nelle teste della gente, fino ad essere esercitato dalle persone su se stesse. Azzollini è stato un buon nemico, anche quella sera in cui, in Piazza Municipio, dopo il concerto di Piovani, urlò contro di me in quel dialetto autentico e sanguigno che le questioni era abituato a risolverle faccia a faccia. Fu un momento di ira, forse generato da un equivoco, ma ci consentì di affrontarci a viso aperto. A suo modo, rimarrà nella storia di Molfetta. Adesso si apre un’altra stagione, ma non c’è da consolarsi: all’orizzonte si vedono solo amministratori, burocrati e sovranetti. Forse Azzollini ci ha insegnato com’è il potere dall’alto, è adesso l’ora di provare a capovolgere la piramide, e a scrivere per Molfetta un’altra storia, che sia quella di tutti. © Riproduzione riservata

Autore: Giacomo Pisani
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