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La biologa Emilia Favuzzi vince la medaglia di Beddington 2018
15 marzo 2018

Emilia Favuzzi, figlia di Mimmo Favuzzi, già senatore della Repubblica e fra i protagonisti di “Comitando” e della stagione della sinistra al governo della città con Paola Natalicchio, ha ricevuto la medaglia di Beddington, encomio di BSDB (la società britannica che promuove la biologia dello sviluppo) per i giovani biologi promettenti, premiato per la migliore tesi di dottorato in Biologia dello sviluppo, difesa nell’anno precedente al premio. La medaglia di Beddington è la più importante onorificenza della Società Britannica di Biologia dello Sviluppo (BSDB) conferita a giovani promettenti biologi per la migliore tesi di dottorato in biologia dello sviluppo difesa nell’anno precedente al premio. Rosa Beddington era uno dei più grandi talenti nel campo della biologia dello sviluppo e, per onorare il suo enorme contributo, la BSDB decise di istituire un monumento commemorativo permanente a suo nome. Il design della medaglia, topi su una elica di DNA stilizzata, è opera di Rosa stessa. La BSDB scrive sul suo sito ufficiale: vorremmo congratularci con il vincitore del 2018 della medaglia di Beddington, Emilia Favuzzi, e cogliere l’occasione per dare una breve panoramica della sua carriera e del suo progetto di dottorato per il quale ha ricevuto la medaglia di Beddington. Emilia si è laureata nel 2008 con 110 e lode in Scienze Biologiche presso la Sapienza Università di Roma; nel 2008 ha iniziato il suo internato di tesi specialistica in Neurobiologia nel laboratorio di Sergio Nasi presso l’Istituto di Biologia e Patologia Molecolare del CNR di Roma e nel 2010 ha conseguito la Laurea magistrale in Neurobiologia, sempre presso la Sapienza Università di Roma, con votazione di 110 e lode. Nel 2011 ha iniziato il Dottorato di Ricerca lavorando nel gruppo di Beatriz Rico presso l’Istituto di Neuroscienze di Alicante in Spagna e si è poi trasferita nel 2014 con lo stesso gruppo presso il Centro di Neurobiologia dello Sviluppo (CDN) del King’s College di Londra, dove ha completato il suo progetto. Nel 2017, l’università Miguel Hernandez di Elche in Spagna le ha conferito il Dottorato di Ricerca in Neuroscienze con una valutazione finale di summa cum laude. Dal 2017 lavora nel laboratorio di Gordon Fishell presso la facoltà di medicina di Harvard e il Broad Institute di Harvard e MIT. Beatriz Rico, il suo supervisore di dottorato, ha detto di lei: “Emilia è un regalo per un supervisore: ti precede, tecnicamente e concettualmente, e ti spinge in avanti. È una persona geniale, estremamente motivata e creativa. Ha lottato e superato tutte le difficoltà che ha incontrato durante lo sviluppo del suo progetto, non ha mai mollato. Emilia persegue i suoi obiettivi con un’efficienza impressionante. È estremamente indipendente e lavora duro. Si dedica con tutta sé stessa alla scienza, un sogno per un supervisore”. Durante il suo dottorato di ricerca, Emilia ha lavorato a due progetti entrambi volti a identificare i meccanismi molecolari alla base della formazione delle connessioni tra i neuroni del nostro cervello, durante lo sviluppo e l’apprendimento. Il nostro cervello è costituito da una complessa rete di cellule nervose ed è proprio questa complessità che rappresenta il fondamento delle nostre straordinarie capacita cognitive. Una delle caratteristiche più stupefacenti dei circuiti nervosi è la specificità con cui ogni neurone forma connessioni nervose. Queste connessioni non sono casuali. Ogni neurone è in grado di riconoscere con quale partner comunicare. Lo sviluppo del cervello è una fase estremamente delicata e, quando qualcosa va storto, in genere gli effetti persistono anche nell’adulto, come dimostrano le gravi conseguenze di un mancato riconoscimento tra neuroni durante lo sviluppo: disabilità intellettiva, autismo, epilessia o schizofrenia. Una delle ragioni per cui è particolarmente difficile curare o prevenire queste patologie risiede nella nostra mancata conoscenza dei meccanismi con cui tutti i neuroni si riconoscono ed entrano in contatto durante lo sviluppo. Comprendiamo che i cavi non sono connessi in modo corretto ma, non sapendo come sia successo, non siamo in grado di evitare che succeda di nuovo. Il primo progetto a cui Emilia, in collaborazione con altri membri del suo laboratorio, ha lavorato durante il suo dottorato ha permesso di indentificare le molecole che gli interneuroni, un gruppo di neuroni particolarmente colpiti in diverse malattie psichiatriche, usano per formare specifiche connessioni nervose. Il lavoro, che sarà presto inviato per essere pubblicato, rivela i meccanismi chiave con cui gli interneuroni formano “sinapsi nervose” in modo altamente regolato: specifiche molecole, diverse in tipi diversi di interneuroni, indicano la strada. Emilia e i suoi colleghi hanno identificato queste molecole e hanno dimostrato che prendere una molecola da un tipo di interneuroni e metterla in un altro tipo non porta a nessun effetto ma inserire la molecola corretta permette di promuovere la formazione di connessioni nervose in modo specifico e corretto. Nonostante l’importanza fondamentale di ciò che accade durante lo sviluppo cerebrale, una delle proprietà più rimarchevoli del nostro cervello è la sua capacità di percepire e interpretare complesse informazioni riguardo l’ambiente che ci circonda. Per far ciò, i circuiti nervosi vanno continuamente incontro a un processo chiamato “plasticità nervosa” che è alla base della nostra abilità di apprendere e memorizzare. La plasticità del nostro cervello si riduce con l’invecchiamento ed è alterata in vari disturbi neurologici e psichiatrici e l’identificazione dei meccanismi alla base di questa forma di plasticità può aprire la strada a nuovi trattamenti. Il secondo progetto a cui Emilia ha lavorato durante il suo dottorato ha portato a un’importante scoperta nel campo della plasticità nervosa, rivelando un meccanismo molecolare che permette alle connessioni nervose di cambiare come risultato della nostra interazione con l’ambiente. In particolare, Emilia e i suoi colleghi hanno scoperto una proteina (chiamata Brevican) che è in grado di mediare tale adattabilità. Infatti, la perdita di questa proteina causa difetti nella memoria spaziale a breve termine, la parte della memoria che, tra molte altre funzioni, ci permette di ricordare dove abbiamo parcheggiato la nostra auto poche ore prima. La scoperta, pubblicata lo scorso luglio sulla prestigiosa rivista “Neuron”, ha lo straordinario potenziale di rivelare nuove strategie terapeutiche per disordini neurologici e psichiatrici, come Alzheimer e schizofrenia. Emilia riceverà la medaglia di Beddington al congresso primaverile della BSDB che si terrà il prossimo aprile a Warwick nel Regno Unito e, in occasione del quale, Emilia è stata invitata a tenere una conferenza sul suo lavoro. Un’altra figlia di Molfetta che si fa onore all’estero e alla quale vanno le congratulazioni per i risultati raggiunti e gli auguri per maggiori affermazioni.

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