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La Biblioteca Comunale di Molfetta dal 1868 al 2005 Frammenti di storia
15 febbraio 2005

di Marco I. de Santis Centro Studi Molfettesi) Per un curioso scherzo del destino la Biblioteca civica è tornata là dove un tempo era sorta. Infatti nella seconda metà dell'Ottocento Molfetta aveva una sua Biblioteca municipale, allogata presso le scuole comunali di San Domenico. La maggior parte dei suoi volumi provenivano dai conventi e monasteri soppressi con la legge del 7 luglio 1866. Tale Biblioteca era già esistente nel 1868 e risulta censita nel 1894 dal “Bollettino delle Biblioteche” del Ministero dell'Istruzione. In séguito fu lasciata in abbandono. L'odierna Biblioteca Comunale fu fondata dall'arcidiacono Giovanni Panunzio, preside del Regio Liceo di Molfetta. Panunzio era un prete intelligente e colto, ma inguaribilmente affarista. La sua figura attende ancora di essere storicamente analizzata sia per la sua lungimiranza e le sue aperture mentali sia per il suo spregiudicato e interessato appoggio all'avvocato tranese Pietro Pansini, deputato prima radicale e poi repubblicano. Con testamento pubblico rogato dal notaio Lorenzo Germano il 18 aprile 1913, sette mesi prima di morire, don Giovanni Panunzio legò al Comune di Molfetta una dotazione di quasi 13.000 volumi, i gabinetti scientifico e fisico-chimico del Liceo-Ginnasio e tre caseggiati, con l'obbligo di costruire ampi locali per una biblioteca pubblica. Quando Panunzio morì – il 22 novembre 1913 – a ottantacinque anni di età, si era da poco consumata, in un clima di continue violenze, la sconfitta elettorale di Gaetano Salvemini a vantaggio di Pietro Pansini, àscaro giolittiano. Dopo quello scandalo, la vittoria nelle elezioni comunali del 25 ottobre 1914 toccò alla “Lista Civica per Molfetta”, in cui figuravano molti salveminiani. Quando la nuova Giunta rivelò al Consiglio comunale gli oneri finanziari del legato Panunzio, si era nel pieno della crisi economica della prima guerra mondiale. Allora la situazione debitoria del defunto, le passività finanziarie, le elargizioni da farsi, lo stipendio da assegnarsi al bibliotecario e altri vincoli rendevano antieconomica l'accettazione del legato. Perciò il Consiglio comunale, all'unanimità, nella seduta dell'8 febbraio 1916, rifiutò il legato. Finita la Grande Guerra, toccò al regio commissario avv. Gerardo Palmieri aprire le trattative con gli eredi Panunzio per assicurarne alla città la copiosa libreria, ma la depressione economica postbellica si era tutt'altro che attenuata. Si dovette quindi attendere il 26 febbraio 1921 perché il Consiglio Comunale deliberasse l'istituzione della Biblioteca civica. Dopo varie trattative con la famiglia, finalmente l'8 aprile 1922 il Comune di Molfetta acquistò i due gabinetti scientifici e il fondo librario del Panunzio per 8.000 lire, corrispondenti a circa 6.200 euro. La biblioteca comprendeva libri antichi e nuovi e periodici come «L'Omnibus» di Napoli (anni 1855-58), «Il Progresso» di Bari (1886), «Spartaco» (anni 1886 e 1888-89) e il «Corriere delle Puglie», un'importante raccolta, quasi completa, che va dal 1887 al 1912, ossia finché durò l'abbonamento del Panunzio al quotidiano barese. Come sede provvisoria della Biblioteca Comunale furono destinati alcuni locali del Liceo, in attesa di costruire una sede più idonea. Per intervento del canonico Francesco Samarelli, nel 1923 il regio commissario Giuseppe Scherini incrementò il fondo librario appena acquistato con i circa 1500 volumi della vecchia Biblioteca municipale. Catalogata e ordinata la dotazione libraria, la nuova Biblioteca fu aperta al pubblico nel 1927, in via Felice Cavallotti. Dietro suggerimento del bibliotecario don Francesco Samarelli e per volere del podestà Stefano De Dato nel 1927, per comodità degli studiosi, dall'Archivio municipale fu trasferito nella Biblioteca Comunale “Giovanni Panunzio” un importantissimo patrimonio storico: la copia secentesca del Libro Rosso di Molfetta, il codice manoscritto del notaio apostolico Giovanni Muti sulle Famiglie molfettesi, due volumi delle Conclusioni Decurionali del 1810 e 1811, il fondo delle antiche pergamene di Molfetta e il Liber appretii del 1417, un èstimo descrittivo basato sull'elenco dei proprietari fondiari e sulla stima globale degli immobili (espressa in once, tarì e grani) e perciò ben diverso dai più recenti catasti geometrico-parcellari. La nuova sede della Biblioteca Comunale, nella stupenda Fabbrica di San Domenico che suscitò l'ammirazione di George Berkeley, è stata inaugurata il 28 gennaio scorso alla presenza del sindaco Tommaso Minervini, del sen. prof. Enzo De Cosmo, del capitano dei Carabinieri Paolo Vincenzoni, del presidente del Consiglio comunale Leo Petruzzella e di un folto pubblico, con interventi della professoressa Linda Panunzio e dello scrivente. La cerimonia è proseguita con la visita all'Archivio Storico Comunale e all'esposizione di antichi documenti molfettesi. Il pubblico ha potuto ammirare – e potrà farlo sino al 28 febbraio – un diploma del 1353 di Roberto d'Angiò, principe di Taranto e signore di Molfetta, due bolle dei papi Gregorio XIII (1573) e di Clemente XII (1736) e altre pergamene e carte di indubbia valenza storica. Nella mostra sono presenti anche due dei codici già ricordati: il Liber appretii e il Libro Rosso. Di quest'ultimo esiste nella Biblioteca del Seminario Vescovile di Molfetta un volume manoscritto anteriore, risalente in gran parte al Cinquecento, benché esso inglobi alcuni dei fogli originali quattrocenteschi del Libro et Registro de tocte le scripture [che] have la magnifica Università de Molfecta, cioè il primo nucleo del “Libro Rosso” di Molfetta, iniziato dal notaio Bartolomeo di Giovanni Lepore nel 1478. In quel tempo i privilegi, gli albarani, gl'istrumenti notarili più importanti, le prammatiche e le missive di grazia venivano «terranescamente recluse intro l'arca de la Università». Tra questi importanti “frammenti” di storia cittadina, un posto di primo piano spetta a due grandi pergamene. La prima è un diploma di Ferdinando I d'Aragona del 7 agosto 1475, purtroppo privo del sigillo reale, che confermava alla terra demaniale molfettese la riscossione di quattro nuove gabelle da poco introdotte per i pagamenti fiscali. A chi vorrà saperne di più, mi permetto di segnalare il mio studio storico e filologico su I dazi del 1475 e il “Libro Rosso” di Molfetta (nella miscellanea Molfetta: frammenti di storia, “Quaderni del Centro Studi Molfettesi”, n. 7, Mezzina, 1998). Il secondo documento è una pergamena Carlo VIII, re di Francia, splendidamente munita di un sigillo quasi integro, che enumera i privilegi concessi dal Castel Capuano di Napoli alla città di Molfetta il 9 aprile 1495. Carlo VIII approvava, pienamente o con riserva, i diciotto “capitoli” sottopostigli dai nobili Enrico Passaro e Micco Lepore, rappresentanti della città di Molfetta. Con essi l'Universitas molfettese chiedeva, tra l'altro, di rimanere in perpetuo nel demanio regio, di avere conferma di tutti i privilegi posseduti e di mantenere le gabelle e i dazi già in uso. L'allestimento della mostra è stato preparato in tempo record dalle dottoresse Concetta Lapadula, per la parte organizzativo-amministrativa, e Maria Silvia Zaza e Rosaria Fontana, per le sintesi storiche e le schede descrittive dei documenti, con la collaborazione della dottoressa Catacchio della Sovrintendenza archivistica per la Puglia. Il regesto e la trascrizione integrale della pergamena di Carlo VIII sono stati affidati dal sindaco allo scrivente e sono stati stampati per l'occasione su un foglio di grande formato. Contiguo alla nuova sede della Biblioteca civica e pure ricco di documenti è l'Archivio Storico Comunale, di cui è responsabile il rag. Mauro Uva. Esso è diviso in due sezioni. La prima è quella più antica e va dal Cinquecento al primo Novecento. La seconda comprende carte, registri e protocolli, che vanno dal 1925 al 1978. Della prima sezione vorrei segnalare almeno le deliberazioni decurionali (cioè del Consiglio comunale), che cominciano dal 1541. Secondo il Samarelli, il fondo membranaceo e cartaceo della Biblioteca Comunale comprendeva «250 pergamene» (e carte). Queste, con la copia secentesca del Libro Rosso e 4 incunaboli, furono trasferite per sicurezza a Castel del Monte nel settembre del 1940, durante la seconda guerra mondiale. Il resto del patrimonio nel 1944, sotto l'occupazione inglese, fu relegato in un seminterrato di via Vittorio Emanuele. Quando i volumi e i documenti membranacei e cartacei, nell'agosto del 1945, dal rifugio di Castel del Monte vennero restituiti alla Biblioteca, quindici pergamene risultarono disperse. In compenso, dal Nucleo di Bari del Comando Carabinieri per la Tutela del patrimonio culturale, guidato dal ten. Michele Miulli, insieme alla Compagnia Carabinieri di Molfetta, il 30 ottobre 2004 è stato restituito alla Città quel gioiello storico che è la menzionata pergamena di Carlo VIII. Attualmente la dotazione libraria della Biblioteca supera i 68.700 volumi e opuscoli. Si tratta di un patrimonio a carattere prevalentemente storico e letterario, con una nutrita sezione giuridica e moltissime pubblicazioni locali e regionali. Tra i libri più antichi e preziosi vi sono 5 incunaboli, 213 cinquecentine (compresi i doppioni), 290 seicentine e 2387 settecentine. Gli incunaboli sono: il Confessionale “Defecerunt” col Titulus de restitutionibus di sant'Antonino, al secolo Antonio Pierozzi, domenicano ([Roma, Stephan Plannck], 1484); le Noctes Atticae di Aulo Gellio (Venezia, Bernardino de' Cori e Simone da Lovere, 1489); le Vitae Caesarum di Svetonio (Venezia, Damiano da Mediolano, 1493); il Compendium logicae col trattato De sensu composito et diviso del piovano Paolo dalla Pergola (Venezia, Johann Emerich, 1495) e la Summula logicae dell'agostiniano Paolo Veneto, alias Paolo Nicoletti, maestro del precedente (Venezia, Pietro Quarengi, 1498). Un'edizione di questo libro nel 1496 fu adottata come testo ufficiale nell'università di Padova. Fra le cinquecentine mi piace ricordare l'Orlando furioso di Ludovico Ariosto (Venezia, Giorgio Angelieri, 1585), le Rime di Annibale Caro (Venezia, Bernardo Giunti e Fratelli, 1584), i Sonetti, Canzoni e Triomphi di Francesco Petrarca (Venezia, Giovanniantonio de Nicolini da Sabio, 1541), la Gerusalemme conquistata di Torquato Tasso (Roma, Guglielmo Facciotti, 1593) e l'Expositio in psalterium (1513 ca) di Johannes de Turrecremata, il quale non è altri che Juan de Torquemada, il famoso inquisitore domenicano. Tra le seicentine vorrei segnalare la seconda uscita del bellissimo Atlante veneto di Vincenzo Maria Coronelli (Venezia, Albrizzi, 1691), due pregevoli edizioni elzeviriane di Amsterdam, la Dissertatio de methodo e i Principia philosophiae di René Descartes, detto Cartesio ([Daniël] Elzevi[e]r, 1677), nonché l'Aminta di Torquato Tasso pubblicata a L'Aja (La Haye, chez Levyn van Dyk, 1681). Anche le settecentine meritano una menzione, a cominciare dai Testacea utriusque Siciliae di Giuseppe Saverio Poli, opera di grandissimo pregio sia per il valore scientifico della rassegna malacologica, sia per le stupende tavole illustrate delle conchiglie, sia per la nitidissima composizione tipografica dovuta al genio di Giambattista Bodoni, direttore della Stamperia Reale di Parma (t. I, 1791; t. II, 1795; t. III, 1827). Molto importante è la presenza, nel catalogo, dell'Émile, il famoso romanzo pedagogico di Jean-Jacques Rousseau, che fu subito condannato al fuoco per empietà (negava che l'educazione potesse basarsi sulla trasmissione di modelli precostituiti da una generazione all'altra). Anche se manca il primo tomo, la Biblioteca di Molfetta possiede la prima edizione originale (t. II-IV, Amsterdam, chez Jean Néaulme). Agli amanti del dialetto partenopeo segnalo poi Lo Vernacchio. Resposta a lo dialetto napoletano (Napoli, 1780), cioè la replica di Lodovico Serio al Trattato in difesa del dialetto napoletano dell'illuminista Ferdinando Galiani. Un discorso a parte meritano il fondo musicale, con 349 manoscritti e 216 spartiti a stampa, e le raccolte di periodici, di cui oltre 600 nazionali e pugliesi cessati e 111 fra quotidiani e riviste in vita. Altri settori notevoli sono quelli delle pubblicazioni di interesse regionale e locale. Nel 1982 il dott. Lorenzo De Cosmo, già direttore della Biblioteca Comunale, censì con particolare attenzione il patrimonio molfettese. Allora furono contati 580 volumi e 1457 opuscoli. Nel frattempo questo patrimonio si è notevolmente incrementato, grazie soprattutto al tipografo-editore Alfonso Mezzina, ed è oggetto di particolare interesse da parte degli studiosi per la rarità di alcuni opuscoli o estratti, la ricchezza di lavori etnografici e dialettologici (con La Sorsa, Scardigno e de Marco in testa) e la presenza di opere in vernacolo molfettese. Nella sezione “molfettese” sono o erano collocati anche volumi di autori di fama nazionale e non solo. Un esempio fra tutti, Gaetano Salvemini, presente con la cosiddetta “opera omnia” rossa feltrinelliana, le Lettere dall'America e i carteggi laterziani, gli atti delle Giornate salveminiane e mostra documentaria di De Gennaro, De Rienzo e Ragno, le Corrispondenze pugliesi di Pasquale Minervini, le note su Salvemini e la democrazia di Giovanni Minervini e lo Speciale Salvemini della rivista «Studi Molfettesi». Per concludere mi permetto una sola notazione. Città come Altamura, Barletta, Bitonto e tante altre vantano da molti anni riviste cittadine e pubblicazioni varate dalla Biblioteca civica. Chi scrive ha avuto la ventura di vedersi pubblicato tra i volumi delle “Ricerche della Biblioteca «Sabino Loffredo»” di Barletta un vocabolario del dialetto barlettano. Molfetta, che ha un passato culturale di tutto rispetto, non dovrebbe spegnere il fuoco vivo della cultura. Nel rilanciare gli studi sul “Libro Rosso”, sulle pergamene inedite e su tanti altri soggetti e argomenti, Molfetta – anche con l'intervento delle banche – dovrebbe avere delle pubblicazioni promosse dalla Biblioteca Comunale. Ma se questo non dovesse essere proprio possibile, non bisogna dimenticare che la nostra Città ha già una rivista storica. Si chiama «Studi Molfettesi» e non aspetta altro che continuare ad andare incontro al suo pubblico. Le spese per gli eventi “effimeri” sono elevate e si consumano nel giro di poche ore. Invece gl'investimenti culturali risultano generalmente più economici, ma durano nel tempo e rafforzano la coscienza civica. L'interesse delle scuole e della gente per il patrimonio della Biblioteca e dell'Archivio storico lo dimostrano ampiamente.
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