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L’ex convento di San Domenico restituito alla città E’ ora sede dell’Archivio storico, presto ospiterà anche la biblioteca e un museo
15 dicembre 1999

di Lella Salvemini Molfetta ha uno spazio in più per la cultura, quello dell’ex convento di San Domenico, recentemente inaugurato dopo un’importante opera di recupero. Per ora sede dell’archivio storico, di una sala conferenze e d’alcune salette multimediali, dopo la seconda tranche di lavori ospiterà anche la biblioteca e un “Museo della città”. La storia L’edificio ha una lunga storia. Nato come struttura conventuale dell’Ordine dei Predicatori di S. Domenico, la sua costruzione iniziò nel 1638 su disegno del frate domenicano Giovan Battista Rossi e terminò nel 1696. Fu sede di convento fino al 1809, quando l’ordine fu soppresso per disposizione del governo napoleonico del regno di Napoli e l’intera struttura diventò di proprietà statale per passare poi al comune. Caserma nel 1813, luogo d’abitazione dal 1814 al 1815 e poi ancora una destinazione religiosa, fu poi luogo di clausura delle benedettine dal 1815 al 1866 e, dal 1866 fino ai tempi più recenti, sede d’istituti scolastici d’ogni ordine e grado. Usi che hanno lasciato traccia sulla struttura. Le suore frazionarono e vendettero l’ampio giardino che arrivava fino a Via Sergio Pansini e via Santa Scolastica. L’unità d’Italia, con l’estensione della legge Casati che rendeva obbligatori i primi due anni di scuola elementare, facendo obbligo ai Comuni di garantirne l’applicazione, a Molfetta portò all’utilizzazione fra gli altri anche del convento di San Domenico e tratti del porticato furono chiusi da muri per ricavarne aule. Gli interventi di recupero Durante la cerimonia d’inaugurazione l’ing. Mezzina, progettista del recupero assieme all’ing. Caldarola, ha tenuto a chiarire come la stesura del progetto sia stata preceduta da un’attività di ricerca per una profonda conoscenza del manufatto, indispensabile ai fini di un intervento che non ne stravolgesse ancora una volta l’identità. Idea guida del restauro è stata quindi quella di riportare la struttura conventuale al suo disegno originario, garantendone allo stesso tempo la massima fruibilità, in vista della funzione che ad esso è stata ora assegnata. E’ stato così riportato alla sua nuda bellezza il chiostro, cuore della struttura, liberando le arcate a tutto sesto dai muri che le avevano fatte diventare aule. L’antico refettorio è diventato una sala conferenza con circa 150 posti, mentre altri due ambienti sono stati trasformati in salette multimediali. Nella parte posteriore, che si affaccia su quella che negli anni di scuola fu la palestra scoperta, è stato invece alloggiato l’Archivio storico della città, che trova finalmente una sistemazione adeguata. Archivio che sarà a disposizione per la consultazione dei cittadini tutti i giorni, nei normali orari d’apertura degli uffici comunali. Se ne occupano ora tre lavoratrici socialmente utili, con contratto fino ad aprile. Sta partendo però una selezione per l’assunzione di tre impiegati con contratto annuale. Il sindaco Minervini non ha mancato, nel suo discorso inaugurale, di ringraziare la ditta Edilco di Altamura che ha completato i lavori in soli dieci mesi, facendo anche delle economie sui costi previsti, e comunque per una spesa complessiva di 2 miliardi e 20 milioni. La seconda tranche di lavori La storia di San Domenico non finisce con quest’inaugurazione. E’ già stato finanziato con fondi Cipe e andrà in gara d’appalto entro la fine dell’anno, il secondo stralcio di lavori che riguardano il primo e secondo piano e l’area esterna. Le opere dovrebbero iniziare fra qualche mese e portare alla realizzazione nell’ala di mezzogiorno della biblioteca comunale, che coprirà uno spazio complessivo di 900 mq, e un “Museo della città” per 400 mq. L’area retrostante sarà trasformata in un giardino, con l’aggiunta di un piccolo anfiteatro per gli spettacoli all’aperto. Il costo complessivo di quest’operazione sarà di 5 miliardi e mezzo, di cui uno esclusivamente per l’allestimento del museo. Molfetta avrà un suo museo A proposito di questo è intervenuta Emanuela Angiulli, coordinatrice dell’area cultura della Provincia di Bari, che ne curerà la progettazione per conto dell’amministrazione comunale. La sua idea è quella di un museo di cui l’intera città sia oggetto, le sue trasformazioni, non solo architettoniche, ma anche culturali e sociali, dal Medioevo in poi. Un museo che sia rappresentazione e narrazione di Molfetta, ma che si presenti anche come spazio accogliente, a disposizione degli studiosi o dei semplici curiosi, e che, in una banca dati, immagazzini tutte le notizie e le immagini che della nostra città è possibile reperire. La gestione Come ha evidenziato il sindaco Minervini nel suo intervento inaugurale, l’ex convento di San Domenico torna ad avere la sua funzione di “fabbrica di spiritualità e di cultura” che nei secoli ha sempre mantenuto, nonostante le molteplici utilizzazioni, e si candida a diventare, “la casa della cultura, il luogo dove si elabora la coscienza collettiva della città”. Queste lodevoli intenzioni devono fare i conti con questioni più concrete, la struttura c’è già, si tratta di pensare alla sua gestione. Non si tratta semplicemente di assumere un custode che ne garantisca l’apertura negli orari stabiliti, ma di situare questo luogo all’interno di un progetto globale di gestione dei beni culturali della città. L’Amministrazione sta pensando di affidare uno studio di fattibilità per la gestione di San Domenico e degli altri luoghi di cultura che nel frattempo stanno giungendo a completamento, l’ex Lazzaretto, il Torrione Passari, l’Ospedaletto dei Crociati, alla Federculture, società specializzata nella gestione dei beni culturali, per vagliare le diverse possibilità di conduzione fra società mista, fondazione, associazione riconosciuta e altro ancora. Insomma si vuol fare di San Domenico il centro propulsore della cultura molfettese, senza disdegnare l’idea del ritorno economico e delle possibilità occupazionali. E’ una bella scommessa, che vien fatta sotto lo sguardo serafico della statua di San Domenico, riportata a nuova luce dal restauro di Francesca Caldarola, e che ora dalla sua nicchia, sia pure con una mano sola, sembra benedire questa nuova vita, tutta sotto il segno della cultura.
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