L'ora delle dimissioni la parabola discendente di Azzollini e la paura del non-ritorno
Tutto ha un inizio e tutto ha una fine nelle vicende umane, a prescindere da meriti e demeriti. Anche i cicli politici hanno un inizio e una fine. Sono rari i casi in cui un capo è sopravvissuto alla fine del suo stesso regime assolutistico. Più si diventa architrave del proprio sistema di potere ed epicentro del comando e del controllo di un’intera comunità e più la fine, quando arriverà, sarà irreversibile anche per quel ciclo politico incardinato sulla propria persona. Altri fattori (politici, giudiziari, economici e sociali) possono solo accelerare il crollo anche in maniera casuale e disordinata. Come per un dittatore senza scampo, assediato dal popolo e dai militari nel proprio bunker, anche per Antonio Azzollini, sindaco dimissionario di Molfetta, senatore Pdl e presidente della V Commissione Bilancio del Senato, è scoccata l’ora del destino il 29 ottobre scorso, quando prima di abbandonare lo scranno ha ratificato quasi 70 delibere in una giunta volante, come fossero state disposizioni testamentarie. Segno evidente e tangibile del timore del non ritorno. Un’era, quindi, volge al termine: non sarà più sindaco e il suo seggio da parlamentare è da riconquistare in condizioni storiche di estrema difficoltà, non si sa bene dove e come, visto che il Pdl de facto non esiste più. Le sue dimissioni saranno definitive il prossimo 20 novembre e il giorno successivo approderà al Comune di Molfetta il Commissario prefettizio, sui cui peserà l’enorme macigno dell’assestamento degli equilibri di bilancio (secondo indiscrezioni interne, mancano all’appello quasi 4milioni di euro). Insomma, il «militare della nutella» è all’epilogo del suo ciclo politico e il suo partito sta implodendo a livello nazionale (le compatte falangi berlusconiane stanno disertando in massa). Realtà ineluttabile di cui sono convinti anche alcuni suoi yesman, soprattutto quelli già prossimi all’uscita dal recinto, ad eccezione dei soli pasdaran del «cerchio magico della nutella», votati alla morte non per convinzione, ma per obbligo di fedeltà assoluta al capo contro tutti quelli che civilmente, democraticamente e liberamente si apprestano a seppellire questa orrenda pagina della storia molfettese. La parabola del potere di Azzollini sembra puntare inesorabilmente verso il basso, ma il suo sistema di potere resta ancora apparentemente inespugnabile. Non si riescono a prevedere oggi risolute azioni politiche da parte dei suoi più o meno reali oppositori tali da scalfirlo, ma è ragionevole pensare, di fronte alle molteplici indagini in corso, che gli asset del potere azzolliniano in città crolleranno come castelli di sabbia, sotto i cannoneggiamenti della Magistratura. La politica, purtroppo, non ha i mezzi per farlo. La “liberazione” di Molfetta non potrà essere indolore, perché i bacilli di questo terribile morbo si sono diffusi nella vita politica, civile, economica e sociale locale, anche in maniera trasversale. S’intravedono nella penombra, zone di pavidità e collusione insospettabili. Oggi Molfetta è una qasbah caotica e convulsa. Ogni suo settore (dall’edilizia al commercio, dall’industria alle attività finanziarie) è infettato da microbi di varia natura e non sempre “autoctoni”. I molfettesi aspettano di liberarsi dal putridume affaristico- consociativo che ha inquinato la politica e anche il vivere civile in questi anni: sarebbe inutile ogni riferimento alle specifiche vicende, sfociate in azioni della Magistratura, alcune ancora in itinere. Un vero e proprio vaso di Pandora, frantumato anche dalle inchieste di Quindici che ha vivisezionato negli ultimi anni ogni anomalo provvedimento, più di quanto l’opposizione consigliare avrebbe saputo o voluto fare. È stato un continuo decadimento socio-politico e morale cavalcato dall’uomo solo al comando, in un percorso di feconda onnipotenza, sempre rasentando le polveri di una strada sterrata, sporca e contaminata, caldeggiando gli interessi consociativi di una piccola parte della città a discapito di tutta la collettività. Un vero e proprio «esproprio» della città, emerso in tutto il suo putridume con l’operazione “Mani sulla città” e con le successive indagini, senza dimenticare le due inchieste in corso sul porto di Molfetta. Qual sarà allora il vero trauma nei prossimi giorni? Forse gli ultimi strascichi del delirio di onnipotenza di un uomo che non vuole rassegnarsi all’idea che dovrà, vuoi o non vuoi, lasciare non solo lo scranno, ma soprattutto ciò che ha veramente rappresentato in questi anni: il suo tallone di ferro sulla città. Il potere sembra si sia trasformato in una vera e propria ossessione, se con un emendamento al testo base di riforma elettorale si sta cercando di bloccare l’applicabilità dell’ineleggibilità per i presidenti delle giunte provinciali e per i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 20mila abitanti. È il cosiddetto «salva sindaci-parlamentari », pensato per gli onorevoli sindaci che potrebbero ripresentarsi alle politiche senza per questo dimettersi, come prevede la legge alla luce di quanto disposto dalla Corte costituzionale lo scorso ottobre 2011. Fino allo scoccare della mezzanotte dell’ultimo giorno, Azzollini potrebbe revocare le dimissioni: le sue fosche incognite sono tutte all’orizzonte. La comunità civile e democratica di Molfetta dovrebbe esserne consapevole, invece di elucubrare di formule e formulette, per costituire un patto civico per liberare la città da un potere che non ha più i caratteri della civiltà, della democraticità, soprattutto della liceità, per ristabilire la normalità democratica in una comunità che non aveva mai nella sua storia repubblicana subito una così turpe aggressione padronale.