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“L’onore e il silenzio” la nuova opera di Gianni Mattencini
15 dicembre 2019

La conclusione del Festival letterario “Storie italiane”, a cura della libreria “il ghigno” ha visto protagonista l’opera inedita “L’onore e il silenzio” di Gianni Mattencini, magistrato e scrittore barese. Finalmente è stata presentata l’autrice dei quadri che hanno colorato i vari incontri del festival letterario: Brunella Amato, la quale ha ritratto una sagoma di cattedrale persa nel blu della notte, emblema dell’onore della gente del Sud. “In un presente frammentario abbiamo chiesto ad ogni autore di dare indicazioni, formulare riflessioni e fornire opportunità per il futuro, soprattutto abbiamo chiesto di porre all’attenzione della platea le eventuali modalità attraverso cui la letteratura possa fornirci un futuro più roseo.”, afferma la professoressa Isabella de Marco. L’interazione letteraria tra l’autore barese e il giornalista Felice de Sanctis, direttore della rivista locale “Quindici”, giornalista della “Gazzetta del Mezzogiorno” ha focalizzato l’attenzione dell’uditorio sulla terza opera del magistrato Mattencini. «Partirei dall’analisi del contenuto de “l’onore e il silenzio” in modo da far comprendere l’opera anche a chi non ha avuto modo di leggerla ancora», afferma il giornalista De Sanctis. Poi continua: «La storia è ambientata in Calabria, in un paesino di fantasia Borgo in Valle, il quale viene “scosso” dal percorso del progresso. L’ingegnere Alessandro Alessi, a capo dei lavori, viene brutalmente ucciso: il suo corpo privo di vita viene ritrovato con la testa ed il membro mozzati, chiari segni di delitto d’onore. Consequenzialmente, l’indagine viene affidata alla procura calabra ed il brigadiere ed il caposquadra dei lavori diventano i due indagatori del delitto, i quali si muovono in un contesto di bisbigli, verità celate propri degli abitanti del luogo. Il libro è interessante, coinvolge il lettore perché prospetta varie risoluzioni per l’esito finale del giallo». Dal giudizio del giornalista, traspare l’opinione positiva sulla scrittura creativa dell’autore, il quale per la perizia delle descrizioni viene paragonato al genio di Ernest Hemingway, inoltre risulta molto sensibile la scelta di far assumere alle donne un ruolo preponderante in una Calabria degli anni ’20, dopo ben due anni dell’ascesa del regime fascista. Più in generale i personaggi disegnati si muovono da soli, ben delineati anche per quanto riguarda l’introspezione psicologica. Potrebbero sembrare lenti i ritmi del tempo del racconto e della trama ma raccontare un giallo che si rispetti richiede un ritmo lento, paragonato allo scorrere delle acque di un fiume. In seguito l’interazione letteraria ha proseguito con le domande formulate dal giornalista Felice de Sanctis e dalla platea allo scrittore. Il suo bisogno di scrivere è dettato dalla monotonia dei codici? Lei si ritiene un magistrato prestato alla scrittura o uno scrittore prestato alla magistratura? “Il mio lavoro occupa sicuramente larga parte della mia giornata, ritengo comunque che la domanda sia legittima. La scrittura creativa è una mia esigenza, è una predisposizione che il mio animo mi fornisce ed esula completamente dal mestiere che svolgo. Mi tengo arroccato nella postazione di magistrato che vorrebbe diventare scrittore”. Ritornando al titolo del giallo: il silenzio è proprio della borghesia e l’onore è proprio del popolo dei pastori? “Devo confessare che il titolo non mi appartiene, quando si pubblica con una grande casa editrice si cede al compromesso, ma comunque non lo ritengo molto lontano dal contesto che ho analizzato. L’onore ha un peso considerevole nella società italiana prima del 1981: anno in cui viene abrogata l’attenuante di omicidio per causa d’onore”. Mi ha colpito molto il ruolo della squadra, quanta importanza abbia dato al lavoro di squadra, perché? “La collegialità è una scelta, le storie grandi o piccole che siano non sono fatte da un solo individuo ma dall’interazione tra individui: è giusto riconoscere i personaggi piccoli e grandi ma essi si muovono in un contesto di collaborazione”. A dispetto del pregiudizio di uomini autoritari, in una società patriarcale quale quella fascista, lei ha dato molto spazio ai personaggi femminili, per quale motivo? “Mi piacciono le donne, ne sono affascinato! Ho dato spazio alle donne forti, non quelle che in silenzio cantano il rosario”. Durante la lettura del suo libro ho colto una qualche morale, il suo intento era fornirne una? ha continuato de Sanctis “Ho cercato di adeguarmi al lessico, ho analizzato bene le strutture lessicali calabre, in un contesto linguistico in cui si usava rivolgersi con il “voi” al posto del “lei” ma inconsciamente non ho voluto fornire nessun tipo di morale”. Non si giustifica il delitto di sangue, ma si può comprendere? “Un giudice può comprendere la sollecitazione a compiere un fatto per ragioni d’onore ma non può comprendere un crimine, in nessun modo”. In ultima battuta alcune domande sul presente politico: Il regime fascista ha messo in luce quanto divario culturale ed economico ci fosse tra la borghesia ed il popolo, ora il divario culturale è sicuramente smussato ma quello economico è palese, non crede? “Le similitudine le coglie chi le vede”. Nell’attuale stagione politica al silenzio vengono contrapposte le urla e l’odio che dividono invece che unire, c’è ancora speranza? “I social hanno massificato tutto, il frastuono della pochezza dei social si impone sul silenzio in maniera definitiva, purtroppo”. Infine, le domande della platea sono state incentrate sul contesto geografico dell’opera e sul legame dell’autore Mattencini con Molfetta. “Ho scelto di analizzare la Calabria perché era competenza del compartimento Puglia- Calabria, la ricerca di un borgo dalle caratteristiche pastorali mi ha fatto subito pensare al territorio meno dolce, caratteristico della Calabria. Una terra caratterizzata dalla gelosa tutela dell’onore”. “Sono un mezzosangue: sono nato a Napoli in quanto mio padre era napoletano ma mia madre era molfettese. Ho trascorso la mia prima adolescenza a Molfetta e ne ho un ricordo meraviglioso: ritengo gli anni ’60-’70 come i più fulgidi per questa città. Ricordo con piacere le passeggiate verso il porto, luogo in cui era ancora possibile tuffarsi, ricordo la visione delle navi greche all’orizzonte, Molfetta era magica a tutte le ore!”. © Riproduzione riservata

Autore: Marina Francesca Altomare
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