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L'algerino Adel: manca il lavoro. L'Italia dovrebbe bloccare l'ingresso di altri immigrati
15 marzo 2014

Attualmente tra gli ospiti della casa d’Accoglienza della Caritas si trova Adel Fazaz, un giovane algerino che ama definirsi “ragazzo sportivo” e che da subito ha attirato il nostro interesse. Adel ha lo sguardo sveglio e vivace e si fa capire molto bene quando sorride e racconta di sé nonostante la sua vita non deve essere per nulla facile. Ci tiene a informare Quindici che nel suo Paese viveva con la famiglia d’origine e aveva un lavoro, ma quando le cose iniziarono a peggiorare, decise di cercare fortuna fuori dall’Algeria. Sei venuto direttamente in Italia? «Ho sempre avuto visto e passaporto in regola e prima di arrivare in Italia sono stato in Francia. Dal 2002 ho lavorato come operaio in una maglieria a Barletta, con regolare permesso di soggiorno poi, nel 2006 l’ingresso dei cinesi nel mercato, ha messo in crisi il settore, finché nel 2012 ho perso il lavoro e da quel momento non percepisco neppure la disoccupazione». Sei stato accolto da questa Casa di Accoglienza Caritas? «Sì, grazie all’accoglienza della Caritas ho dormito qui per i primi 60 giorni, dopo, con l’aiuto di alcuni amici, sto pagando mensilmente 80 euro per il posto letto. Avevo anche trovato casa, ma ciò che manca è il lavoro. Il mio amico Mongi ha lavorato in Italia per circa vent’anni come operaio metalmeccanico a Modena e ha regolarmente pagato i contributi. Adesso che lo ha perso, che fine faranno questi contributi?». Credi sia possibile trovare un lavoro oggi? «Lavoro è diventata una parola pesante. E noi stranieri a causa della crisi siamo ormai usciti fuorigioco. Lo Stato a questo punto dovrebbe bloccare l’ingresso di nuovi immigrati, se già quelli presenti sul territorio non hanno di che vivere. Se si guarda all’Europa non si riscontrano gli stessi problemi in Francia, e ancora meno in Germania, perciò l’Italia non può essere lasciata sola. Questa nazione rappresenta solo la porta d’accesso e pertanto dovrebbe essere soltanto una via di transito per gli immigrati verso gli altri Paesi europei. Non è la popolazione, come gli stessi cittadini di Lampedusa, o il volontariato come la Caritas in questo caso, che possono farsi carico, da soli, di questo problema diventato ormai persistente».

Autore: Marianna Palma
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