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Intervista a Davide Formisano protagonista della Master Class dell’Accademia musicale Wagner a Molfetta
Davide Formisano
29 giugno 2018

MOLFETTA - Successo per la masterclass di flauto che ha avuto luogo dal 12 al 15 giugno con i flautisti Antonio Amenduni e Davide Formisano, promossa dall’Accademia Musicale Wagner nell’ambito dell’International Wind Summer Academy, caratterizzata da corsi “finalizzati alla specializzazione strumentale e a promuovere il più alto livello possibile di esecuzione musicale”.

Grazie alla collaborazione di Gianluca Altomare, presidente della Wagner, e di Luigi Facchini, flautista e direttore artistico della Masterclass, abbiamo avuto la preziosa occasione di intervistare Davide Formisano, “Haupt Professor” presso la Musikhochschule di Stuttgart.

L’artista ci ha accolti con affabilità; la conversazione ha riguardato la sua molteplice e qualificata esperienza, la sua concezione della musica e il suo rapporto con le giovani generazioni attraverso l’attività di insegnamento (anche in Piemonte, presso l’Accademia Perosi di Biella).

Lei ha conseguito numerose importanti affermazioni, in competizioni nazionali e internazionali (Firenze, Stresa, Parigi, Budapest, Monaco…). Quali ricordi serba di questi momenti?

«Sono i ricordi lontani di un periodo in cui un ragazzo appassionato di musica morde la vita… Ha voglia di arrivare, di mostrare, di fare. L’esperienza dei concorsi è formativa per il carattere; il vero amore per la musica nasce dopo. Diviene qualcosa di esistenziale. A quell’età è difficile capirlo. Quell’amore matura davvero quando si comprende che la vita non è un concorso. La musica non è un concorso».

Dal marzo 1997 al luglio 2012 è stato Primo Flauto Solista dell’Orchestra del Teatro alla Scala e dell’omonima Filarmonica. Cosa ha rappresentato per lei quell’esperienza?

«L’esperienza in orchestra mi ha formato. Mi ha fatto capire quanto siano importanti la disciplina e il rispetto dei colleghi e di chi ti circonda. Condividere con i colleghi è fondamentale per me; senza condivisione non può esistere la bella musica».

Il suo repertorio è molteplice e spazia dall’operistico alla musica da camera, dal Barocco al contemporaneo.

«Penso che ogni artista sia più affine a un determinato tipo di repertorio, di epoca, di stile. Ciò è vero anche nel mio caso. In campo operistico, adoro Verdi, ma anche Mozart e Strauss. Nell’ambito sinfonico novecentesco, senz’altro la Sagra della Primavera di Stravinskij. Quanto al repertorio flautistico, mi sento affine a Vivaldi e alla musica di Bach. Quando mi capita di eseguire questi compositori provo veramente una gran gioia. Questo non esclude che vi siano brani di musica contemporanea che mi piacciano moltissimo. Infatti, amo forzarmi anche a studiare qualcosa che percepisco come lontano rispetto alla mia sensibilità. Fa bene all’anima avventurarsi in territori estranei; si ritorna a casa rinfrancati. In realtà ritengo che la differenza tra la musica barocca e quella contemporanea sia questa: quando si affronta Bach, ci si accorge che la ricerca all’interno di queste note è infinita. Nella musica contemporanea è notevole la ricerca iniziale del dettaglio, tanto è vero che la prima lettura è difficilissima; poi, si parte dal dettaglio per arrivare a una visione generale. Di primo acchito più difficile, quest’ultima si rivela in realtà, a mio avviso, più semplice».

Di Lei sono state scritte cose bellissime: "Un flauto magico strega l'Auditorium" (Il Messaggero, Roma) e ancora “Semplice gioia nel suonare” (Frankfurt Allgemeine). Cosa ne pensa?

«Ovviamente sono cose che mi lusingano. Cerco di raggiungere un livello di preparazione generale e di controllo tale da potermi permettere, durante l’esecuzione, di non rammentare che tra me e la musica si frappone un tubo di metallo (n.d.r. il suo flauto Muramatsu 24k All Gold). Forse è proprio questo che fa scaturire quest’impressione nel pubblico. In realtà, la preparazione non è solo gioia, ma anche fatica e sofferenza. Tutti vogliamo rispettare la musica e per la musica dare il massimo».

Ha lavorato con tantissime personalità di straordinario rilievo. Quale incidenza hanno avuto nella sua professionalità?

«Le più importanti esperienze le ho avute con i direttori d’orchestra. Con Muti ho avuto un’esperienza decennale, che mi ha aiutato ad acquisire uno stile, un modo di suonare tipicamente italiano, che purtroppo gli italiani fanno fatica a far passare all’estero. Tutte le grandi personalità mi hanno lasciato un’impronta, in un modo o nell’altro».

Cosa Le resterà di questa trasferta barese?

«Premetto che per me tornare al Sud è bellissimo, data l’origine campana di mio padre. Il Sud mi appartiene. È un regalo di Dio, per me. L’esperienza con l’orchestra metropolitana è stata decisamente positiva. Ringrazio il Maestro Marco Renzi, Direttore musicale e artistico, per l’invito e per il lavoro meraviglioso che conduce. Ho un rapporto di stima e amicizia con Luigi Facchini e Gianluca Altomare, direttore artistico dell’Accademia Wagner. Poi, sono sempre felicissimo di poter dare qualcosa ai ragazzi italiani. Il loro percorso non è facile, ma, se a sorreggerli ci saranno la passione per la musica e l’attitudine al lavoro serio, potrebbero affermarsi, anche all’estero, come è accaduto e sta accadendo anche ad allievi della Wagner con cui sono entrato in contratto. Sì, perché in paesi come la Germania è in atto una strategia finalizzata a investire in cultura, che in Italia ancora stenta ad affermarsi. Sarebbe opportuno che le istituzioni si sforzassero di sostenere, anche economicamente, il lavoro immane di chi organizza eventi culturali qualificati, che non devono ricadere esclusivamente sulle spalle del filantropo di turno. Le istituzioni ci devono essere. Diversamente ci si sente abbandonati e i giovani perdono le speranze. Quando Montanelli diceva di intravedere un futuro brillante per gli italiani, ma non per l’Italia, aveva ragione. Dobbiamo preservare l’essenza della nostra cultura, fondata sulle basi solide dell’antichità e del nostro Rinascimento».

© Riproduzione riservata

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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