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Incontri nella nebbia
15 gennaio 2017

Convince e avvince la più recente fatica letteraria dello scrittore molfettese Dino Claudio. Edito nel novembre 2016 per i tipi di Genesi, con una lucida prefazione di Sandro Gros- Pietro e con l’ottima scelta di un dipinto di Ippolito Caffi in copertina, il romanzo Incontri nella nebbia coniuga sapientemente felicità dell’inventio ed eleganti qualità dello stile. Molteplici risultano gli elementi che contribuiscono a tesserne l’ordito. In incipit assistiamo alla rivelazione del motivo del viaggio del protagonista, che approda a Roma per incontrare un editore con cui collabora come illustratore. Nella fattispecie, gli è affidato il complesso incarico di ideare la copertina per l’opera di un autore tedesco Friedrich Hansen, che in realtà si firma con un nome italiano, Stefano Urbani, e nega decisamente che quest’ultimo sia un semplice pseudonimo. Lo strano legame tra le due identità dell’artista suscita l’inchiesta dell’io narrante, peraltro “risolta” già a metà narrazione, assurgendo ben più che a una mera detection d’occasione. Al centro di Incontri nella nebbia, infatti, si colloca la profonda meditazione sulle scaturigini dell’ispirazione e dell’Arte. Si tratta di un fenomeno meramente fisiologico, che può pertanto riprodursi in maniera analoga in più individui, o cos’ancora si cela dietro questo complesso mistero, ch’è la creazione artistica? Complice la nebbia, che sembra aver stretto con il protagonista “un patto segreto”, gli incontri che da essa germinano e in essa si risolvono, “tra fughe vellutate di ombre”, finiscono con il rievocare tante creature care alla musa del Claudio. Il femminino stravolto, offuscato e allo stesso tempo esaltato dalla follia, di Lilla; la sensualità dirompente di Diana, in cui sembra comunque celarsi un anelito al materico degradarsi; l’animalesca e lubrica figura della dirompenza, l’enigmatica contessa, che - come altri personaggi femminili di Tardone o, soprattutto, dell’Alba dei vinti - nel fisico disfatto dall’obesità ipostatizza il costante stravolgimento delle regole morali e il cedimento alla lussuria. Molti sono i temi e i motivi affioranti nel romanzo. In maniera originale (attraverso la presenza, più che altro, di un’affinità ispirativa, poi differentemente suggellata) viene declinato il tema del doppio, acutamente sviscerato nella saggistica di Otto Rank e da Edgar Allan Poe, per citare solo un esempio, mirabilmente trattato nella vicenda di William Wilson. Vibra l’anelito metafisico, onnipresente nella produzione di Dino Claudio sino al più recente La tempesta invisibile, tensione che il protagonista ha visto gradualmente e apparentemente affievolirsi dopo l’edenica stagione dell’infanzia e che riemerge, possente, tra le maglie del Natale romano. Allora si leva l’orgoglioso risentimento di chi vede traditi nel presente gli antichi ideali connessi a tale momento religioso, ma continua a sperare (cito Sandro Gros-Pietro) in uno “sbocco conclusivo di palingenesi e di salvazione”. È costantemente richiamato il legame Letteratura-Vita, che si erge nitido nel ricordo di Pirandello e della sua Arte. Esso affiora soprattutto nella sequenza della seduta spiritica, ma le memorie di stilemi pirandelliani percorrono l’ordito dell’intero romanzo. Non mancano le reminiscenze dantesche (il cane della Contessa è solo uno dei tanti casi) e ricorre ancora con vigore il motivo dell’ulissismo, che, nella visione di Dino Claudio, appare “simbolo di tormento che sempre si accompagna a chi ricerca il vero”. Un fil rouge che idealmente abbraccia questi incontri nella nebbia è il loro stagliarsi nello splendido paesaggio romano, che, con il suo fervido tesoro di storia e di storie, è vero protagonista dell’opera: le descrizioni si connotano per forza di suggestione e lirismo dello stile; un esempio su tutti è costituito dalla bella descrizione di Trinità dei Monti o da quella del Nume tiberino (così Claudio, a buon diritto, definisce il Tevere). Dino Claudio intesse insomma una profonda meditazione sulla forza dell’Arte e della Letteratura, che, a dispetto delle logiche meschine e offuscanti dell’establishment dell’industria culturale, possono ancora “involare al volo del cuore” gli echi del nulla che avanza e condurre alle “porte del sogno”.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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