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Il teatro introvabile La mancata edificazione del teatro a Molfetta
15 giugno 2003

di Ignazio Pansini Nel suo volume “Vicende edilizie e urbanistiche a Molfetta tra otto e novecento”, edito da Mezzina nel 1998, il compianto ing. Nicola Mezzina dedica un intero capitolo alla storia dei teatri a Molfetta, di quelli edificati, e di quelli rimasti allo stato di progetto. Desumo da quest'ottimo lavoro le notizie che seguono, limitatamente a quelle novecentesche. Il tutto come presentazione alle tre immagini che pubblico, presumibilmente inedite, rivenienti da una collezione privata molfettese. Nel 1913, a causa dell'avanzato stato di degrado, e della mancanza del denaro necessario al restauro, fu abbattuto in piazza Municipio il vecchio teatro Comunale, risalente al 1840, conservando la facciata neoclassica, tuttora esistente. Furono in seguito costruiti altri edifici teatrali, ma per lo più in legno,e di scarsa importanza architettonica e funzionale. Si sentiva la mancanza di un edificio che fosse all'altezza dello sviluppo che la cittadina aveva raggiunto in campo economico e sociale a cavallo dei due secoli. Nel 1914 l'Ufficio Tecnico Comunale affidò all'ing. Domenico Valente il compito di elaborare un progetto per un grande e polivalente complesso edilizio da adibirsi a Municipio, Banco di Napoli, Poste e Telegrafi, e Teatro, e da situarsi nell'area delimitata da Piazza Vittorio Emanuele e via Torre del Pane (l'attuale via Respa). Dopo la costruzione di una prima porzione, che esiste tuttora come sede di Pretura, i lavori furono però interrotti per mancanza di fondi. Intanto per far spazio si era abbattuto il Convento delle Domenicane, che risaliva alla seconda metà del settecento, che era stato edificato con materiale proveniente dal vicino baluardo dei Gonzaga, e che era adiacente verso Mezzogiorno alla chiesa di S. Teresa. Nel 1922 un secondo progetto fu elaborato dall'ing. Luigi Sallustio. In una sua relazione, il tecnico rilevava che il Valente aveva sottovalutato la pendenza verso la piazza; riteneva che comunque bisognasse conservare la parte già costruita; per quella nuova proponeva delle soluzioni architettoniche che tendevano a privilegiare lo spazio destinato al teatro, a scapito di quello assegnato agli uffici comunali. Anche questo progetto, che prevedeva il fronte principale sulla piazza, quantunque approvato, non fu realizzato. Nel gennaio 1926 il geometra Edmondo Benassi presentò al Comune di Molfetta il disegno di un teatro con annesso albergo, da edificarsi in via Torre del Pane. Il manufatto doveva addossarsi al lato orientale dell'incompiuto teatro del '14, e aveva delle dimensioni ridotte rispetto ai progetti precedenti, anche perché Benassi aveva previsto lo scorporo del Palazzo di Città, da edificarsi sull'area della chiesa di S. Teresa, una volta che se ne fosse disposta la demolizione. La solita mancanza di fondi, e l'indisponibilità delle banche contattate a concedere mutui agevolati, bloccarono quest'ennesimo tentativo. Ma vi era evidentemente una continuità e fermezza di intenti che, a prescindere dai risultati, fa onore alla classe dirigente dell'epoca. Appena due anni dopo, il Comune deliberò la spesa di tre milioni e mezzo di lire per la costruzione del teatro, e bandì all'uopo un Concorso Nazionale. Gli elaborati sarebbero dovuti pervenire nelle mani del Podestà di Molfetta non oltre le ore 12 del 31 agosto 1928: per il vincitore era previsto un premio di 15.000 lire. L'area da utilizzarsi era sempre quella delimitata dalle attuali via Respa e Ugo Bassi. La Commissione giudicatrice, nominata dallo stesso Podestà, e composta da cinque membri, esaminò i dieci progetti, ma non ne ritenne nessuno idoneo: compilò una mera graduatoria di merito, in base alla quale risultarono vincitori ex-aequo gli architetti romani Domenico Sandri e Giorgio Guidi. Al concorso avevano partecipato anche i molfettesi Domenico Valente e Giuseppe Picca. Sarebbe interessante, nel quadro di una storia più analitica di tutta la vicenda, conoscere i nomi dei membri della citata Commissione, e le motivazioni che portarono alla bocciatura di tutti i progetti, tenuto anche presente che tra i partecipanti al concorso figuravano professionisti noti in ambito nazionale. Siamo all'ultimo atto. Nel 1931 l'Amministrazione Comunale dava mandato all'Ufficio Tecnico di predisporre un ennesimo progetto di teatro, che tenesse presente le indicazioni ricavabili dagli elaborati del Concorso, ma badasse anche a contenere le spese previste. Sembrava che questa volta si giungesse a buon fine. Due anni prima, intanto, era stato demolito quanto restava del baluardo dei Gonzaga. Il Governo fascista bloccò inopinatamente l'inizio dei lavori, e dispose la costruzione in quell'area del palazzo della Gioventù Italiana del Littorio (GIL): fasci, moschetti e baionette al posto di Verdi, Beethoven e Pirandello. Come è noto, la costruzione fu iniziata, e mai completata: un lugubre teschio di pietra restò per trent'anni a testimoniare a Molfetta i nefasti dell'Italia Imperiale. La nostra città, che vantava in campo teatrale, musicale, e culturale in genere, una degna tradizione, restò così priva del suo teatro. E' probabile, come ipotizza il Mezzina, che, se i numerosi progetti fossero stati meno dispendiosi, avrebbero avuto attuazione. Tuttavia, è anche possibile che gli ostacoli non furono solo di natura finanziaria, ma dovuti anche a contrasti interni alla classe dirigente locale, a livello professionale e anche politico. Il saggio di cui sopra, è corredato da un ampio apparato iconografico: vi compaiono, in successione cronologica, i progetti Valente, Sallustio, Benassi, Picca, Sandri, Guidi e l'ultimo del 1931, predisposto dall'Ufficio Tecnico. Si tratta indubbiamente di una documentazione importante, che, opportunamente ampliata con il concorso di ulteriore materiale, sempre che ve ne sia e che emerga, meriterebbe forse uno studio particolare, condotto ovviamente da addetti ai lavori. In questo senso credo rivesta una certa utilità la pubblicazione delle tre immagini cui accennavo sopra. Si riferiscono tutte al Concorso del 1928: la prima è una veduta prospettica dovuta all'architetto Paolo Gardella, la seconda è un'altra prospettiva, dell'architetto Manlio Pelilli, la terza è un particolare con sezione del prospetto principale disegnato da Giorgio Guidi, pubblicato per intero da Mezzina. Quest'ultima reca in alto a destra la firma autografa del progettista. A fronte del fallimento di tutti i tentativi, è ovviamente inutile disquisire su quale dei tanti progetti, qualora attuato, sarebbe stato il migliore per la città. A parte le considerazioni relative alla funzionalità, alla coabitazione fra tanti Istituti ospitati, al rapporto con il tessuto urbanistico ed architettonico circostante, che solo l'esame di tutta la documentazione potrebbe supportare, rimane sempre e comunque la sensibilità estetica soggettiva. Anche perché, come si evince dall'esame dei vari progetti, si è in presenza di una temperie architettonica di passaggio, caratterizzata da un rapporto dialettico non sempre felice, fra tradizione e rinnovamento. Scrive a proposito Angela Colonna nel suo volume sull'architettura a Bari durante il ventennio, “Durante il Novecento fino alla seconda guerra mondiale l'architettura è investita dal dibattito sullo stile nazionale e sul rapporto tra tradizione autoctona e nuova architettura. …Negli anni venti sono ancora attuali i principi di produzione architettonica codificati da Alfredo Melani nel suo “Architettura italiana “ del 1884. Il linguaggio classificato da Melani è il risultato della coesistenza di tre valenze: l'eclettismo ottocentesco che utilizza il repertorio degli stili del passato come campionario di forme per la diverse tipologie funzionali dei nuovi edifici; il bisogno della nuova architettura di riferirsi alla tradizione nazionale o regionale; la ricerca del “nuovo stile” rispondente alla moderna civiltà, ma nel solco della continuità e in equilibrio tra libertà inventiva e tradizione. Comunque, per quanto mi riguarda, e per quello che può valere, “tifo” per il progetto di Paolo Gardella.
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