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Il seme seminato di don Tonino non ancora germogliato
15 maggio 2018

Che sia stata una bella giornata di sole e di vita, non possiamo negacelo. Di quelle giornate di cui dire, anche solo a se stessi, “c’ero”, lenisce e rafforza. Ognuno di quelli che c’erano avrà il suo pezzo di racconto da ricordare. Io, dalla mia posizione, ho il mio pezzetto di sguardi sofferenti e occhi che brillano. Di lacrime asciugate e di abbracci che si ritrovano. La sensazione era ed è che sia stato un dono, forse anche immeritato quello che ognuno ha avuto. I sorrisi e i colori di questo 20 aprile hanno asciugato le lacrime e dato parole ai silenzi di quel 20 aprile. Non capita a molti di avere nella vita, che ci è data di vivere, l’occasione di aver percorso un pezzo di strada con don Tonino Bello e di avere grazie a lui la possibilità di ospitare a casa propria, nella città in cui si vive o lavora (nel mio caso) un papa come Francesco. È come se la Storia, visitandoci, ci avesse concesso una possibilità riservandoci un posto in prima fila. Se questo accade nelle nostre vite, ed è accaduto, non è cosa da lasciare indifferenti. Credo che questo 20 aprile faccia da spartiacque tra un primo e un dopo nell’esperienza di ognuno con e su don Tonino. E lo spartiacque è nelle citazioni fatte da Francesco attingendo a piene mani ai testi di don Tonino dove la vocazione di questa terra - finestra, “finestra di speranza” ci è stata ricordata. E riconsegnata in tutta la sua urgenza. Dalla terra è partito Francesco. Quella che accoglie le spoglie di don Tonino, dicendo una cosa che per anni era sotto i nostri occhi ma noi non l’abbiamo vista in tutta la sua potenza. O meglio non l’abbiamo capita così come lui l’ha spiegata. “Ho appena pregato sulla sua tomba, che non si innalza monumentale verso l’alto, ma è tutta piantata nella terra: Don Tonino, seminato nella sua terra - lui, come un seme seminato –, sembra volerci dire quanto ha amato questo territorio”. L’immagine di Tonino ‘seme seminato’ nella terra è dirompente nel suo significato e affidamento a ciascuno. È come se Francesco abbia preso atto di quanto questi 25 anni siano stati utili per espandere il pensiero, la parola e le opere di don Tonino e siano serviti solo a seminarlo. Un seme seminato, ma non ancora germogliato. Non frutti o piante o alberi, ma seme seminato. E ancora a dimora. In una terra che lui ha amato, che lo ha nutrito e dalla quale ha tratto vocazione dandole una vocazione. “Questa vocazione di pace – ci ha detto Francesco – appartiene alla vostra terra, a questa meravigliosa terra di frontiera – finisterrae – che Don Tonino chiamava “terra-finestra”, perché dal Sud dell’Italia si spalanca ai tanti Sud del mondo, dove «i più poveri sono sempre più numerosi mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e sempre di meno». Siete una «finestra aperta, da cui osservare tutte le povertà che incombono sulla storia», ma siete soprattutto una finestra di speranza perché il Mediterraneo, storico bacino di civiltà, non sia mai un arco di guerra teso, ma un’arca di pace accogliente’. E a rafforzare questa vocazione, Francesco ritorna in Puglia il 7 luglio per un incontro ecumenico a cui invita i capi di Chiese e le Comunità cristiane di questa regione. Ora, dopo questo 20 aprile, con questa vocazione dobbiamo fare i conti ci piaccia o no. Non con quello o quanto ognuno di noi può raccontare o dire di aver vissuto con don Tonino. Non della sua bravura e della sua grandezza. Di quanto sia stato profeta o grande pastore. Ma di come la vocazione di questa terra, che è la Puglia e non solo Molfetta o Alessano, dove lui è seminato e del cui sole, della cui aria, dei suoi odori dei suoi sapori noi godiamo, grazie a noi fecondi quel seme. Il tema allora è rendere fecondo quel seme? Credo proprio di sì. Se innalzando monumenti o litanie perché sia santo, se contendendosi la tunica o la proprietà, se definendo i circoli degli eredi o degli appassionati, dei devoti o dei graziati da lui, degli amici o di coloro che non l’hanno capito allora ma ora lo raccontano, o invece fecondare questa terra perché la vocazione sia evocata fino in fondo. “Cari fratelli e sorelle, - ha concluso Francesco - in ogni epoca il Signore mette sul cammino della Chiesa dei testimoni che incarnano il buon annuncio di Pasqua, profeti di speranza per l’avvenire di tutti. Dalla vostra terra Dio ne ha fatto sorgere uno, come dono e profezia per i nostri tempi. E Dio desidera che il suo dono sia accolto, che la sua profezia sia attuata”. E a Molfetta la provocazione è stata ancora più chiara: “Vivere per”. Si potrebbe esporre come avviso fuori da ogni chiesa: “Dopo la Messa non si vive più per se stessi, ma per gli altri”. Sarebbe bello che in questa diocesi di Don Tonino Bello ci fosse questo avviso, alla porta delle chiese, perché sia letto da tutti: “Dopo la Messa non si vive più per se stessi, ma per gli altri”. Per chi crede l’indicazione è chiara. Per chi non crede ma è affascinato dal seme seminato di don Tonino, il monito è altrettanto chiaro. E non ammette deroghe o mezze misure. La terra è buona. Il seme pure. Questo è venuto a dirci Francesco a premessa del prossimo suo viaggio in Puglia. Forse se guardiamo a questo 20 aprile come tappa dello slancio a cui Francesco ci chiama fondando la sua Chiesa sulla Chiesa di don Tonino, cominceremmo a dare concime a quel seme. Perché in luglio ci attende uno snodo affatto semplice o celebrativo. È l’occasione per dare a quel seme seminato in questa terra un senso che prescinde da ogni sguardo al passato ma guarda alla speranza che la finestra ci mostra. E se vogliamo, richiamandoci a questa vocazione, Francesco ci ha dato la chiave per non imbalsamare don Tonino, per renderlo vivo e utile. Necessario. Perché questa terra, che ora è nelle responsabilità delle nostre scelte, produca frutti. © Riproduzione riservata

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