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Il ragazzo che guardava le stelle
30 settembre 2017

Stasera è diventato subito sera sulla strada provinciale che collega Molfetta a Terlizzi, non c’è stato il crepuscolo tenue che precede il buio e poi quella mescolanza di luci e riflessi che per un po’ colora il cielo alla fine del giorno: tutto si è  oscurato, infittito all’improvviso, ed ancora una volta il mondo si è spento insieme alla giovane vita di un ragazzo che, come tanti altri, ha smesso di correre sul suo motociclo proprio transitando su  questa strada, e chissà dove andava, cosa pensava, chissà se avrebbe mai creduto che quella era poi l’ultima corsa. 

La gioventù è oggi e domani, è ora, è un sempre che sembra non debba mai finire e non conosce ostacoli di sorta: a volte la gioventù è  saltare  su un motociclo, guidare nel vento senza immaginare che  qualcuno possa piombarti  addosso all’improvviso,  oppure  quasi volare credendo che non sia  mai  il massimo, sorpassare, infilarsi tra i tubi discarico, sentire il rombo di un motore piccolo o grande che va con il tuo stesso cuore e ti procura adrenalina anche se a questa età non ne avresti bisogno.

Alle 18 il traffico delle auto sulla strada lastricata di lapidi e fiori ha cominciato  improvvisamente a rallentare, i conducenti dei veicoli  hanno presunto il solito ingorgo magari dovuto ad uno dei tanti mezzi pesanti che qui passano  di continuo, vanno e vengono, persino di sabato e domenica, guidati da conducenti  stanchi, attaccati ai cellulari, intontiti dai lunghi percorsi: facce  e occhi che non ridono, che macinano chilometri, piccole teste che s’intravvedono appena nell’abitacolo mentre bevono  acqua dalle bottigliette, ascoltano musica o suonano i loro cupi clacson anche quando non ce n’è bisogno, così,  solo per divertirsi.  

Con il passare dei minuti siamo ancora lì, tutti fermi, impazienti, non sappiamo cosa  fare, molti invertono la marcia e tornano indietro,  altri accostano  le auto sul bordo della strada  gremita di gente. Vediamo  dei ragazzi correre, agitare le braccia, mettersi le mani in testa, persone che seguono altre per curiosità, per capire, vedere, l’ipotesi di un incidente ha ormai preso forma nella mente di tutti.  Ambulanze e sirene creano il solito panico, quel gelo nel cuore che sempre ti prende quando ti avvisano che nulla di bello sta succedendo o è successo, la zona è transennata all’altezza dell’ex Preventorio, proprio lì dove c’è la struttura della Lega del Filo d’oro, che accoglie i ragazzi sordo-ciechi, stasera più fortunati di noi perché non hanno potuto vedere né sentire:  vedere quel corpo lasciato sull’asfalto come un fagotto, un manichino gettato da qualcuno, con gli occhi rivolti verso il cielo anche quando per un po’ è stato coperto dal solito lenzuolo bianco, sentire le urla del padre che quel lenzuolo ha tolto e su di lui si è sdraiato, non voleva lasciarlo, e gli chiedeva di svegliarsi, accarezzandolo e stringendolo, come certi padri fanno con i loro figli, con una tenerezza ed uno strazio infiniti, baciando  quel  pupazzo esanime  che non poteva più rispondergli.

Forse anche con gli occhi chiusi il ragazzo senza nome, che qualcuno conosceva e molti no, ha guardato le ultime stelle in una sera di fine settembre, prima calda e poi fredda, mentre lasciava tutto e tutti, quel poco e tanto che lasciano i ragazzi di quell’età con  le loro vite spezzate.

Tornare alle nostre vite è ora difficile, faticoso, il cuore è contratto  ed il viso bagnato, far finta di nulla, immergersi nella sera, rispondere a chi ci chiama sul cellulare e vuole sapere,  tentare  di raccontare  come si può ciò che si è visto e provato,  la tristezza nel cuore, le immagini stampate negli occhi e nella mente. Magari era un sorriso quel che aveva sul viso,  non una smorfia di paura e dolore, magari se n’è andato senza accorgersi di nulla, senza capire,  contemplando nell’aria quei piccoli puntini luminosi  che lo hanno riscaldato prima di trascinarlo via, il ragazzo che guardava le stelle.

Beatrice De Gennaro  

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Molto bella, molto toccante la riflessione della sig.ra De Gennaro. Una vita ''recisa'' è evento sempre tragico, specie nella parte iniziale del suo corso biologico naturale ed in modo così violento; è drammatico. Quando veniamo concepiti dai nostri genitori, essi inconsciamente (nella maggioranza dei casi) "investono" nel loro futuro. Immaginano, per noi figli, tutto il bene che ad essi sarebbe mancato. Ci vedono come la parte buona del futuro! E noi? Che cosa facciamo per onorare questi ...programmi (a volte, anche con il tacito tollerante silenzio di chi ha investito su di noi)? Poco: ci comportiamo da individualisti, autolesionisti, presunti super-uomini, emulatori di modelli che indubbiamente esistono, ma sono frutto di casualità rare. Il giovane motociclista: certamente non voleva, con il suo agire, fare danno a sé stesso ed agli altri. Ma, quante volte osserviamo - ad esempio - automobilisti, ciclisti, motociclisti che emulano, tentano di farlo non avendone le doti necessarie, i "modelli" di cui sopra? Dimentichiamo che per diventare un Vettel, un Aru, un Rossi (tre esempi a caso di campioni nelle loro discipline) si allenano, programmano e, NON SU STRADE PUBBLICHE CON TRAFFICO AVENTIE DIETRO E DILATO A LORO, ma su piste dedicate, conoscendo i loro mezzi e le loro capacità. Mi è capitato di osservare, fermo ad un semaforo, il comportamento di un padre: Moto di grossa cilindrata, egli bardato con tuta e casco; un bambino, suo figlio?, di pochi anni, anch''egli bardato come il papà, ma a CAVALCIONI DEL SERBATOIO E STRETTO DALLE BRACCIA DEL PADRE CHE CONDUCEVA LA MOTO. ALLO SCATTARE DEL VERDE, IL PAPA'' E'' PARTITO ''A RAZZO'',CON UN''ACCELERAZIONE COSì VIOLENTA CHE LA RUOTA ANTERIORE DEL MEZZO SI E''SOLLEVATA (le sgommata?)! Il bambino si sarà divertito? Avrà memorizzato, per il suo eventuale futuro di "centauro" sulle orme del papà, la manovra che comunque è sempre azzardata, a maggior ragione con un piccolo condotto in condizioni di sicurezza ZERO!. La tragedia è grande, si può solo immaginare il dolore lacerante dei genitori e dei cari della vittima. Quando la rassegnazione avrà temperato lo strazio del momento, chissà, forse rifletteranno - a prescindere dalle reali responsabilità di chi ha provocato l''evento - sui perché della tragedia? Sono certo che lo faranno, senza intaccare il ricordo struggente del loro figlio.


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