Il ragazzo che guardava le stelle
Stasera è diventato subito sera sulla strada provinciale che collega Molfetta a Terlizzi, non c’è stato il crepuscolo tenue che precede il buio e poi quella mescolanza di luci e riflessi che per un po’ colora il cielo alla fine del giorno: tutto si è oscurato, infittito all’improvviso, ed ancora una volta il mondo si è spento insieme alla giovane vita di un ragazzo che, come tanti altri, ha smesso di correre sul suo motociclo proprio transitando su questa strada, e chissà dove andava, cosa pensava, chissà se avrebbe mai creduto che quella era poi l’ultima corsa.
La gioventù è oggi e domani, è ora, è un sempre che sembra non debba mai finire e non conosce ostacoli di sorta: a volte la gioventù è saltare su un motociclo, guidare nel vento senza immaginare che qualcuno possa piombarti addosso all’improvviso, oppure quasi volare credendo che non sia mai il massimo, sorpassare, infilarsi tra i tubi discarico, sentire il rombo di un motore piccolo o grande che va con il tuo stesso cuore e ti procura adrenalina anche se a questa età non ne avresti bisogno.
Alle 18 il traffico delle auto sulla strada lastricata di lapidi e fiori ha cominciato improvvisamente a rallentare, i conducenti dei veicoli hanno presunto il solito ingorgo magari dovuto ad uno dei tanti mezzi pesanti che qui passano di continuo, vanno e vengono, persino di sabato e domenica, guidati da conducenti stanchi, attaccati ai cellulari, intontiti dai lunghi percorsi: facce e occhi che non ridono, che macinano chilometri, piccole teste che s’intravvedono appena nell’abitacolo mentre bevono acqua dalle bottigliette, ascoltano musica o suonano i loro cupi clacson anche quando non ce n’è bisogno, così, solo per divertirsi.
Con il passare dei minuti siamo ancora lì, tutti fermi, impazienti, non sappiamo cosa fare, molti invertono la marcia e tornano indietro, altri accostano le auto sul bordo della strada gremita di gente. Vediamo dei ragazzi correre, agitare le braccia, mettersi le mani in testa, persone che seguono altre per curiosità, per capire, vedere, l’ipotesi di un incidente ha ormai preso forma nella mente di tutti. Ambulanze e sirene creano il solito panico, quel gelo nel cuore che sempre ti prende quando ti avvisano che nulla di bello sta succedendo o è successo, la zona è transennata all’altezza dell’ex Preventorio, proprio lì dove c’è la struttura della Lega del Filo d’oro, che accoglie i ragazzi sordo-ciechi, stasera più fortunati di noi perché non hanno potuto vedere né sentire: vedere quel corpo lasciato sull’asfalto come un fagotto, un manichino gettato da qualcuno, con gli occhi rivolti verso il cielo anche quando per un po’ è stato coperto dal solito lenzuolo bianco, sentire le urla del padre che quel lenzuolo ha tolto e su di lui si è sdraiato, non voleva lasciarlo, e gli chiedeva di svegliarsi, accarezzandolo e stringendolo, come certi padri fanno con i loro figli, con una tenerezza ed uno strazio infiniti, baciando quel pupazzo esanime che non poteva più rispondergli.
Forse anche con gli occhi chiusi il ragazzo senza nome, che qualcuno conosceva e molti no, ha guardato le ultime stelle in una sera di fine settembre, prima calda e poi fredda, mentre lasciava tutto e tutti, quel poco e tanto che lasciano i ragazzi di quell’età con le loro vite spezzate.
Tornare alle nostre vite è ora difficile, faticoso, il cuore è contratto ed il viso bagnato, far finta di nulla, immergersi nella sera, rispondere a chi ci chiama sul cellulare e vuole sapere, tentare di raccontare come si può ciò che si è visto e provato, la tristezza nel cuore, le immagini stampate negli occhi e nella mente. Magari era un sorriso quel che aveva sul viso, non una smorfia di paura e dolore, magari se n’è andato senza accorgersi di nulla, senza capire, contemplando nell’aria quei piccoli puntini luminosi che lo hanno riscaldato prima di trascinarlo via, il ragazzo che guardava le stelle.
Beatrice De Gennaro
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