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Il Papa a Molfetta il significato di un evento Le contraddizioni delle nostre città
15 aprile 2018

Caro direttore, ho pensato di scrivere una lettera per adempiere alla tua richiesta e al mio impegno di inviarti un pezzo su don Tonino per il numero che anticipa il 20 aprile. Mi riesce più facile scrivere pensando di avere un interlocutore piuttosto che immaginarne tanti anonimi. E poi, ti confesso, il bisogno che sento è quello di svolgere un breve ragionamento rispetto a una domanda: ma che stiamo capendo delle ragioni per cui il Papa viene a Molfetta? Se ci pensiamo, tutto sommato, viene a dire una messa, evento spesso disertato (anche da me) nel giorno del Signore. Il problema di molte nostre Chiese poi oggi sono i banchi vuoti la domenica, l’assenza di vita comunitaria (come un tempo), la mancanza di pezzi di generazioni. Eppure per questa messa si ragiona da settimane in termini di folla. Che cosa ci ha disaffezionati all’incontro nelle nostre comunità e ci mobilita per questa messa? Viene il Papa e viene per don Tonino. E allora? L’evento quale adventum preannuncia per le comunità? Una nuova data da celebrare o l’inizio di un percorso che ricentralizza la dimensione feriale della fede? Perché il punto che mi sembra ci sia sfuggendo di mano, non è tanto l’evento, di per sé eccezionale, quanto i significati su cui stiamo annodando le nostre attese e i nostri sforzi. Le premesse e le conseguenze. Ho poco fa letto la notizia, sulle testate online locali, di un ulteriore stanziamento di 150mila euro per l’evento, notizia pomposamente utilizzata per dire la bravura di alcuni politici forti di amicizie giuste al posto giusto. Finanziamento accolto come »ossigeno per la città». Che tristezza constatare come l’evento si stia connotando di strumentalizzazioni che sicuramente non sono nelle intenzioni di Francesco e tradiscono il modo in cui don Tonino ha segnato la sua presenza nella Diocesi interloquendo con paletti fermi con ogni autorità civile e religiosa. Nel 1985 a proposito del Convegno di Loreto, don Tonino scrisse: ‘Il rischio che corrono i grandi fatti della fede è duplice: o quello di avere i giorni contati, come certi avvenimenti che esauriscono la loro vitalità nell’arco della celebrazione, dopo di che boccheggiano e muoiono. O quello di essere sottoposti a una specie di artrosi deformante che si chiama “mitizzazione”. Ecco Direttore, prima ancora che l’evento accada, a me sembra contemporaneamente esaurito e mitizzato. Per fortuna Francesco non fa torto a nessuno: va ad Alessano città dove don Tonino è nato, e viene, nella stessa mattinata, a Molfetta. Non dirime così lui la patata bollente di chi ha più diritti su don Tonino: se il luogo dove è nato o quello di cui è stato vescovo. ‘A contendervi le vesti, o le spoglie, sembra dirci Francesco, perdete solo tempo’. Se il cimitero dove è sepolto (per sua volontà) o la cattedrale da cui ha esercitato il suo mandato episcopale; se la terra o la sedia episcopale è questione che non sposta di un millimetro la vicenda stessa terrena di don Tonino. Che ci ha messo e ci mette di fronte a uno specchio. Uno specchio per guardarci nel profondo. Se penso a Molfetta più che l’ossigeno, lui le ha tolto il respiro ogni volta che le ha ricordato che una «città splendida e altera, generosa e contraddittoria. Che discrimina, che rifiuta, che non si scompone. …dalla delega facile. Che pretende tutto dalle istituzioni. Che non si mobilita dalla base nel vedere tanta gente senza tetto, tanti giovani senza lavoro, tanti minori senza istruzione. Una città dove le nostre comunità cristiane promuovono assistenza, ma non promuovono una nuova cultura di vita. Che celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l’icona di Cristo nel cuore di ogni uomo». Se penso a Terlizzi, la mia città, mi viene in mente l’omelia della festa patronale del 1989, con parole che suonano dure e vere ancora oggi: «dobbiamo dircelo con franchezza, almeno oggi, davanti a Dio e davanti alla Vergine Santissima. Terlizzi non accenna a uscire dall’Egitto. La carica utopico-rivoluzionaria, che in modo duraturo dovrebbe sostenere ogni comunità civile, in questa città langue paurosamente o si innesca nelle fitte trame della rassegnazione… La prostituzione dilaga con tutto il corteggio della malavita che di solito si organizza attorno a questo deprimente fenomeno involutivo… La cultura agonizza. Le idee non passano… I poveri diventano turba… gli anziani rimangono indifesi… Cari fedeli di Terlizzi, la nostra non è una comunità in Esodo». Se penso alla nostra Diocesi tutta, ci ha fatto provare l’ebrezza di lavorare insieme e il dovere di non chiuderci sotto i nostri campanili. Eppure presi dalla celebrazione dell’evento e dagli omaggi da riservare a chi viene a omaggiare don Tonino, stiamo dribblando sulle contraddizioni che la tensione pastorale di don Tonino faceva emergere. Ed evitiamo di guardarci allo specchio semplicemente guardando a lui e contemplando la sua grandezza. Mi viene da pensare questo: la visita il 20 aprile ad Alessano e nella diocesi di cui don Tonino è stato vescovo, non è un omaggio a Tonino ma un energico scappellotto che Francesco viene a darci, lui così simile al nostro vescovo. Non viene a rafforzare don Tonino e compiacere noi che lo abbiamo avuto, ma viene a rafforzare la sua missione pastorale, indicando alla Chiesa universale, di cui è Papa, esperienze di chiesa possibili, immaginate e tollerate come marginali e sovversive proprio da chi ha fede ed è magari pure praticante. Viene a ricondurci tutti alla responsabilità di incarnare soluzioni che passano non da adorazione ed adulazione del coraggio suo e di don Tonino, ma dalle corresponsabilità di cui essere protagonisti. Io, almeno, sto capendo così. Forse il punto è questo. La tensione, che come una spina don Tonino conficcava nelle comunità disvelando le contraddizioni e le potenzialità delle nostre città, fortemente religiose, noi la stiamo mettendo invece, da un po’ di tempo altrove. Preferiamo celebrare piuttosto che incalzare e lasciarci mettere all’angolo. Preferiamo riavvolgere il nastro piuttosto che affrontare la strada stabilendo con chiarezza i paletti e le altezze a cui portare la comunità. È del giugno 1989 questo invito di don Tonino. Sembra scritto per noi per l’occasione che ci aspetta. «Voglio esortarvi a prendere più in considerazione i suggerimenti del vostro vescovo. Se si spinge di più sul versante delle innovazioni, è perché si vogliono rendere credibili certe ritualità anche agli occhi del mondo. Il quale non è più quello di una volta, ha una sua sensibilità diversa e spesso, quando alcune cose non le comprende, se ne va per i fatti suoi: però è sempre disposto a dar credito alle cose vere, e rifiutando ogni ambiguo esibizionismo, si lascia ancora affascinare dai valori dell’autenticità e della trasparenza. Il Signore ci aiuti a dare a ogni gesto religioso il gusto della speranza». © Riproduzione riservata

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