Il palazzetto proibito
Il calcetto chiede una struttura
C'è una questione che da un paio d'anni si trascina senza una soluzione definitiva: è quella relativa alla richiesta dell' A.S. Nettuno Molfetta, unica rappresentante della nostra città nelle serie professionistiche di calcio a 5 (serie C1), di utilizzare uno dei due, a mesi tre, palazzi dello sport di cui l'Amministrazione locale dispone.
Il fatto che il team biancorosso debba disputare, oltre che gli allenamenti, anche le gare di campionato in un angusto campetto in erba a due passi dal mare, schiaffeggiato spesso, se non sempre, dal vento e privo di una copertura che garantisca non solo di giocare ma anche, ai tifosi, di supportare i propri beniamini durante le algide e piovose giornate invernali, è motivo di continuo rammarico da parte del massimo dirigente del Nettuno, Tonio Papagni.
Né è sufficiente giustificarsi sostenendo, come qualcuno fa semplificando la faccenda e riducendola a logiche di bottega, che per un palazzetto v'è l'hockey, per un altro v'è la pallavolo e via così…
Lo spazio, per un team che l'anno venturo si batterà per la serie B e che in questa stagione si è visto stoppare nella scalata alla serie maggiore solo dalla poi promossa Fovea Foggia, deve trovarsi. Almeno per una seduta d'allenamento a settimana; almeno per due ore il sabato pomeriggio (il giorno delle sfide di campionato, ndr). Ne va del gioco e del tifo. Il calore della gente per un atleta conta parecchio, per una compagine che vuole lottare per un traguardo ambizioso pure.
La pratica dello sport fiorisce in quantità dove in quantità lo sport si diffonde. L'attaccamento ai colori di una squadra non è una missione, né un dovere: è un piacere, un sollucchero, un divertimento, a cui il tifoso si presta se invitato a parteciparvi. Dove? Non certo tra le braccia della salsedine.
Eugenio Tatulli