Il Mazzini di Cifariello: celebrazioni ed echi
«Il Mosè dell’Unità». Così lo storico della letteratura Francesco De Sanctis definì lapidariamente Giuseppe Mazzini, uno dei più grandi protagonisti del Risorgimento d’Italia. Mazzini morì a Pisa il 10 marzo 1872, ma l’amministrazione di Molfetta del tempo, come tante altre di fede scleroticamente monarchica, non deliberò nulla di particolare in memoria di quel profeta dell’unità italiana a causa dei suoi ideali fermamente repubblicani. Del resto, perfino la proposta di innalzare in Roma un monumento a Mazzini fu presentata nel Parlamento italiano, dopo varie controversie, soltanto nel 1890. E l’opera, affidata nel 1902 a Ettore Ferrari e quasi terminata nel 1929, sarà collocata presso l’Aventino addirittura nel 1949. Molfetta fu decisamente più veloce di Roma nell’attuazione del proposito, tanto è vero che il monumento cittadino fu inaugurato il 7 marzo 1897. L’idea germogliò non a caso in una compagine amministrativa radicale. La proposta fu avanzata dal consigliere comunale Gioacchino Poli nella seduta consiliare del 20 novembre 1891 presieduta dall’assessore anziano Matteo Introna, in quanto il sindaco Michele Carabellese era «impedito». Poiché le finanze del comune erano depauperate, Poli propose l’erezione di un semplice busto. Inoltre consigliò di affidare il lavoro artistico allo scultore molfettese Filippo Cifariello, che allora viveva a Roma e l’anno prima aveva ottenuto la medaglia d’oro all’Esposizione Nazionale di Palermo con il gruppo Cristo e la Maddalena. Cifariello accettò, ma preferiva un monumento, non un busto, inadeguato a Piazza Borgo, dove doveva sorgere l’opera d’arte. Nel corso di vari contatti, lettere, trattative e vicende, per cui rimando al volume Voli di vela del rag. Mauro Uva, lo scultore preparò «vari schizzi» per un monumento non eccessivamente elevato. Per la verità non pensava a una statua dai tratti fortemente realistici, ma a qualcosa di diverso dal solito, a una creazione più spirituale e allegorica. Lo rivela lo stesso Cifariello nella sua autobiografia: «Sostenitore accanito di una radicale rivoluzione nell’arte monumentale moderna, nei vari disegni concepiti per l’opera destinata a glorificare il grande pensatore della mia patria, avevo completamente escluso la figura (la statua) del Mazzini, non volendo avere lo scrupolo di erigere in una piazza uno dei soliti pupazzi in pantaloni e redingote su di una base di stile romano o composito, come grottescamente quasi tutti fecero sino agli ultimi anni. Un monumento deve ricordare e onorare l’opera spirituale dello scomparso, di fronte alla quale la sua figura materiale è ben poca cosa […] Gli artisti, per conseguenza, obbligati a plasmare una statua in costume moderno, non provano neanche la soddisfazione di eseguire un’opera ritrattistica degna, perché costretti sempre a lavorare di maniera. Ora perché questa insistenza nell’obbligare uno scultore ad incatenare e affogare il proprio ingegno? Le doti della mente e le opere della personalità meritevole di un monumento si prestano tanto bene alla concezione di piacevoli allegorie, le quali, oltre a rammentare ai futuri i nostri uomini gloriosi, procurano allo spettatore il piacere di contemplare espressioni e atteggiamenti molto più interessanti della volgare giacca o del soprabito. […] Molfetta mi avrebbe seguito in questi criteri? Come tanti altri colleghi da me ingiustamente biasimati, dovetti assoggettare le mie idee e il mio ingegno alla volontà dei committenti ». Nonostante questi forti limiti imposti alla sua arte, Cifariello realizzò un monumento che si segnala per la sua classica armonia ed efficace compostezza, ma che pure reca il segno distintivo della creatività dello scultore: una sedia dall’intaglio riccamente ornato, così come sul basamento dell’accademica statua equestre di Umberto I a Bari risalteranno i densi elementi decorativi risolti in fregi vegetali e floreali di trafila liberty.
Autore: Marco I. de Santis