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Il libro
15 dicembre 2017

Aveva mandato via tutti in anticipo e spente le luci, così che la luce della luna piena attraverso le ampie vetrate allagava lo studio, ormai deserto e silenzioso. Si guardava attorno assaporando quel momento di pace assoluta e la consapevolezza che i grandi tavoli da disegno con i progetti in elaborazione, i rotoli di carta già pronti, le ampie scaffalature colme di libri professionali, erano la evidente dimostrazione di un successo raggiunto nonostante la sua giovane età e contando solo sulle sue forze. Quello però che calamitava il suo sguardo era l’ampia scrivania di vetro verde scuro, liberata da tutte le innumerevoli carte, su cui bianchissimo, al lume della luna, sembrava galleggiare come un’isola il LIBRO. Non aveva ancora la copertina, ci avrebbe pensato lui, naturalmente e aveva già in mente qualcosa di assolutamente sobrio ma che attirasse l’attenzione, queste erano le ultime bozze, già corrette, che voleva ancora riguardare. Andò al mobile bar, piccolo ma ben fornito, e si versò una generosa dose di cognac, il Wisky non gli piaceva e il cognac era di una marca storica che gli piaceva particolarmente. Si avvicinò alla vetrata che dava sul piccolo giardino antistante l’elegante palazzina con un piano rialzato e un unico piano che aveva egli stesso ristrutturato, lasciandone tutta l’eleganza un po’ retro e suddivisa in pochi appartamenti adibiti solo a studi professionali molto elitari. Il giardino era poco illuminato, la luna era ora nascosta a tratti dalle nuvole, ma questo non gli impedì di scorgere l’uomo: sedeva in atteggiamento di abbandono su una delle panchine, come raccolto in sé stesso, poi lentamente alzò il capo e guardò verso la sua finestra. Chissà perché questo lo turbò, lo invase improvvisamente un senso di malessere, si girò per prendere il bicchiere che aveva poggiato sulla scrivania vicino al libro e quando si avvicinò alla vetrata l’uomo non c’era più. Riaccese le luci, fece scorrere tutti i tendaggi e chiuse fuori la notte. Uscì dallo studio, attraversò il corridoio – luce diffusa, moquette sul pavimento – e bussò alla porta di Vittorio, il suo amico neurologo. “Ti vedo pallido, che ti succede? Togliti la giacca che ti misuro la pressione”. Gli disse sorridendo Vittorio. Gli parlò di queste improvvise astenie che da un po’ di tempo lo coglievano all’improvviso. “Sei solo stanco, – rise Vittorio dopo avergli misurato la pressione – sabato andiamo in barca, perché non venite con noi tu e Zoe?”, gli disse salutandolo mentre andava via. Zoe: si frequentavano ormai da un anno, una relazione che soddisfaceva entrambi, lei un avvocato penalista, una donna di grande fascino che teneva alla sua carriera quanto lui alla sua, qualche viaggio insieme, spesso week-end appassionati, grande libertà reciproca. Le telefonò appena rientrato nel suo studio e lei aderì con entusiasmo, poi guardò, scostando una tenda nel giardino: era deserto, rimise un po’di progetti sulla scrivania scostando il libro che chiuse in un cassetto di cui portava sempre via la chiave, anche se poteva contare sulla assoluta discrezione dei collaboratori, il libro che gli era sembrato stranamente più sottile.“Sto diventando paranoico”, pensò. Tornato dal week end rilassante e piacevole, attese che la giornata di lavoro fosse finita riprese il libro, non aveva preso impegni per la serata quindi si dedicò per un paio d’ore a correggere le bozze. Il libro, oltre quattrocento pagine, aveva il protagonista principale che era il filo conduttore di quello che era una via di mezzo tra un romanzo e un saggio, lo aveva fatto leggere in assoluta segretezza solo ad un amico, critico di una importante rivista letteraria che gli aveva espresso un lusinghiero commento e lo aveva successivamente presentato ad un importante editore che lo aveva subito accettato. Non ne conosceva l’esistenza neanche Zoe, prima o poi gliene avrebbe parlato. Ma ora era stanco, ripose le bozze nel cassetto, spense la luce sulla scrivania e si avvicinò alla finestra, c’era la luna a tratti coperta da nuvole leggere e lui era lì, seduto alla stessa panchina con una specie di mantella che lo avvolgeva quasi completamente e alzava lentamente la testa verso di lui, il volto completamente in ombra. Richiuse rapido la tenda, non voleva vederlo, e si appoggiò alla scrivania, ancora quel senso di debolezza improvvisa, una leggera vertigine… ma non era il caso di tornare da Vittorio, sarebbe passata. Comunque doveva affronta-re il problema, fare delle analisi e mandare il libro alla stampa, ci sarebbe voluto del tempo prima della pubblicazione. Riprese il libro per una idea improvvisa che voleva controllare e anche questa volta il libro gli sembrò più sottile, più leggero… ma che andava pensando! Nei giorni seguenti si immerse nel lavoro e affidò ad uno dei suoi collaboratori l’incarico di chiudere lo studio anche se andava meglio, anzi si andava convincendo che il suo era stato solo un momento di stanchezza. Una sera, aveva quasi dimenticato questo assurdo periodo, si fermò, come tante altre volte dopo che erano andati via tutti, spense le luci, si avvicinò per chiudere le tende – c’era ancora la luna piena – e lo vide. Era seduto sulla panchina, avvolto nella sua palandrana e lo guardò con uno sguardo beffardo levando la testa verso di lui. Ora sapeva chi era, lo riconosceva, ma il pensiero era talmente assurdo che richiuse le tende con rabbia, si appoggiò alla scrivania ansimando e con disperazione tirò fuori il libro dal cassetto e gli sembrò che si fosse ridotto della metà. Lo rimise nel cassetto che chiuse a chiave e telefonò a Zoe, “Andiamo a cena - le chiese quasi supplice - vengo a prenderti fra mezz’ora andiamo in quel ristorante che volevamo provare da parecchio”. La cena fu un disastro per le su distrazioni continue, la sua irrequietezza, i suoi mutismi improvvisi, e quando la riaccompagnò a casa lei non gli propose di salire, salutandolo con un bacio distratto. Nei giorni successivi cercò di non avvicinarsi alla finestra, non voleva guardare fuori. Lasciava che le tende le chiudessero i suoi collaboratori, a loro affidava sempre più spesso gli incarichi che arrivavano e che ormai si erano resi conto che qualcosa non andava. Zoe era all’estero per un processo che aveva implicazioni internazionale e le loro telefonate erano concise e affrettate. Avrebbe dovuto confidarsi con lei ma la sola idea di parlarne lo faceva sudare freddo. Evitava di incontrare il suo amico neurologo e l’assenza di Zoe rendeva più facile il fatto che non potessero organizzare uscite a quattro. Il libro era chiuso nel cassetto di cui solo lui aveva la chiave, poi si decise: era una sera di luna piena, quando andarono via tutti si riempì un bicchiere con una generosa dose di cognac e col cuore in tumulto andò ad aprire le tende che erano già state chiuse. La luce della luna invadeva lo studio, il piccolo giardino sembrava deserto, nessuno sulla panchina. Tirò un sospiro di sollievo! Ma perché si era lasciato condizionare da una cosa così assurda? Poi lo vide: emerse dall’ombra di un cespuglio, alzò la testa verso di lui che non fece in tempo a ritirarsi nell’ombra e con un sorriso beffardo fece un cenno di saluto prima di allontanarsi. Si sentì venir meno, si appoggiò alla scrivania e volle la controprova della sua idea assurda: aprì febbrilmente il cassetto, tirò fuori il libro, quel libro a cui aveva dedicato quattro anni della sua vita,del suo tempo libero, dei suoi sogni, che ora era leggero come un quaderno. Il protagonista era sfuggito al suo creatore, ora andava per la sua strada. Il vetro verde rifletteva la sua faccia stravolta. Le lacrime sgorgarono improvvise e ne ebbe vergogna, poi ebbe un sussulto di orgoglio. In un angolo dello studio, vicino all’ingresso, c’era un grande vaso di bronzo che fungeva da portaombrelli. Lo mise al centro della stanza e, meticolosamente, come compiendo un rito, bruciò una per una le pagine superstiti del libro. Era libero. Scandì a voce alta le parole del Falstaff verdiano: “…va…va per la tua via”. Si lavò accuratamente le mani, aprì una delle vetrate per disperdere l’odore del fumo e col cuore in tumulto chiamò Zoe. Rispose al primo squillo. “Vuoi sposarmi?” Le avrebbe raccontato tutto fra molti, molti anni. © Riproduzione riservata

Autore: Marisa Carabellese
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