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Il lavoro omicida. Non si può morire così
06 marzo 2008

MOLFETTA - Un'altra strage proletaria. Il sacrificio costante di vite asservite alla politica del profitto, il soggetto in un sistema in cui tutto il resto ruota attorno ad esso, al guadagno spregiudicato, alla rincorsa ai numeri, alle somme. Il lavoro come attività esteriore, come asservimento quotidiano ad un processo meccanico e distruttivo, privo di precauzioni e autosufficiente. Il lavoro è solo un mezzo, un'azione da giudicare nel suo puro isolamento, nel fenomeno, non certo in una qualche essenza, perché non ha essenza. E' un'azione ingrata, superficiale ma necessaria, per portare una parvenza di stipendio a fine mese. Allora la morte di un operaio è un accidente usuale (nella foto di Arcieri, Michele Tasca, la vittima più giovane della Truck center di Molfetta), così come l'operaio è la variabile dipendente dalla costante, il profitto. Solo quando la morte può sembrare eclatante, quando sono 5 gli operai morti, se ne parla a voce bassa, visi scuri e linguaggio soffuso, quasi a sembrare davvero dispiaciuti. Vittime della valutazione statistica, numerica degli andamenti, in cui tutto ruota attorno al denaro, anche la vita della gente. Il lavoro allora non più come fondamento ontologico, come quel fattore peculiare di differenziazione che trasforma l'uomo da parte integrante della natura a parte specifica di essa. Chissà dov'è l'umanità in una natura più che altro capitalizzata, in cui l'azione produttiva dell'operaio non punta ad esprimere se stesso ma a valorizzare quantitativamente il gesto, né individuale né consapevole. Anche la vita è subordinata a questo processo. Un sistema infame perché poco visibile, ma ben efficace nella sua natura assassina. Non si possono considerare le morti sul lavoro, nella loro inesorabile frequenza, degli incidenti. Non si può considerare la vita un accessorio del capitale, e il lavoro il suo costante incentivo. La strage operaia è la conseguenza della de-umanizzazione di un aspetto vitale come l'attività produttiva, il suo asservimento alla ricchezza. Considerata quest'ultima in modo feticista come pura oggettività, obiettivo esterno da monopolizzare a tutti i costi, e non come frutto della determinazione produttiva e attiva dell'uomo. La vita non è un mezzo per il denaro, e il denaro non può detenere il comando della vita, altrimenti la uccide.
Autore: Giacomo Pisani
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