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Il fenomeno povertà raccontato dal SerMolfetta
15 gennaio 2019

Avere a che fare con le necessità fortifica e rende in grado di comprendere quante siano le sfaccettature del bisogno e del dolore e quanto sia importante anche un semplice aiuto, purché compiuto con lo spirito giusto, quello solidale. È di questo che parla a “Quindici” il vicepresidente con delega al settore sociale del SerMolfetta, Giovanbattista Sasso. Quanti sono i poveri a Molfetta? «Secondo l’archivio dati cui fa riferimento il SerMolfetta nella nostra città si contano 135 famiglie che vivono in soglia di povertà. Sono invece circa 400-450 i nuclei familiari che a stento arrivano tranquilli alla fine del mese dal punto di vista economico». Sono tutti italiani o ci sono stranieri (e quanti) che assistete? «Meno del 10% dei nuclei familiari che assistiamo sono stranieri». Il numero complessivo di italiani e stranieri è aumentato rispetto a dicembre 2017? «La risposta è affermativa: il numero di stranieri è aumentato del 40%, mentre quello degli italiani del 20%». Dove trovate i fondi? «I fondi cui l’associazione attinge sono ricavati dalle raccolte fondi, dalle donazioni di privati, dall’autotassazione, dalla collaborazione con altri enti solidaristici e da ditte e fornitori di beni di prima necessità». I molfettesi sono generosi? «Molto, specialmente la gente comune, quella che si reca ogni giorno a fare la spesa». Che tipo di poveri assistete (gente che ha perduto il lavoro, donne abbandonate dai mariti, ecc.)? «Varie ed eterogenee sono le famiglie povere che assistiamo. Dai nuclei familiari incapaci di gestire la propria economia domestica agli anziani lasciati soli e agli adulti che hanno perso le relazioni affettive con i propri cari. Ma assistiamo anche famiglie molto numerose, famiglie con componenti che hanno perso lavoro o che svolgono impieghi saltuari, famiglie con parenti in carcere e persino nuclei il cui capofamiglia, una volta fuori dal carcere, ha difficoltà nel trovare lavoro per mancanza di fiducia da parte della società. Non lasciamo soli neanche gli immigrati in attesa di asilo o di permesso di soggiorno, le donne abbandonate dai propri mariti prive di mantenimento economico, le ragazze madri in attesa del parto. Il nostro interesse riguarda anche le famiglie con figli affetti da gravi handicap, fisici o psichici, o con gravi patologie che prevedono un elevato onere di spese, i nuclei familiari con adulti depressi o affetti da ludopatia che non riescono ad autogestirsi. Ma è importante capire come in ogni famiglia è racchiusa una storia singolare, dietro cui si celano tante sfaccettature delle problematiche elencate». La povertà si è estesa alla classe media? «Sì, per esempio in tutte quelle famiglie che possedevano aziende o esercizi commerciali la cui attività è cessata. Ma non solo: ci sono anche molti nuclei familiari, i cui genitori sono separati, per cui risulta davvero difficile mantenere con un unico stipendio anche la famiglia dell’ex coniuge. Se nella classe media si cerca di conservare la propria dignità morale anche quando la forza economica viene meno, nelle famiglie disagiate la povertà materiale e quella morale vanno di pari passo». Quanti sono gli operatori volontari? È difficile trovarne e come vengono trovati? «Molti si affacciano al settore sociale della nostra associazione, specialmente i più giovani che frequentano la scuola superiore o l’università. Sono loro i più attivi, ma spesso anche i più incostanti per motivi di studio o lavorativi. Meno numerosi sono i volontari che rientrano nella fascia adulta, ma tra di loro chi entra a far parte del SerMolfetta è costante nel suo impegno. Non è assolutamente difficile trovare volontari, in generale possiamo contare sulla disponibilità di molte persone, grazie a cui ricoprire i turni necessari non risulta problematico». Qual è il rapporto dell’associazione con la politica? Vi considerate “buonisti” come dice Salvini? «Mi trovo in piena sintonia con il discorso di fine anno pronunciato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, tanto da citarne le parole più significative. «Si tratta di realtà che hanno ben chiara la pari dignità di ogni persona e che meritano maggiore sostegno da parte delle istituzioni, anche perché, sovente, suppliscono a lacune o a ritardi dello Stato negli interventi in aiuto dei più deboli, degli emarginati, di anziani soli, di famiglie in difficoltà, di senzatetto». C’è un’esperienza nel mondo del volontariato che ti ha segnato particolarmente? «A livello personale sento di dire che sono fortemente provato ogni qualvolta ricevo richieste di emergenza da parte di istituzioni, enti o privati. Percepisco in tutti i casi quella vocazione con cui la stessa associazione è nata. Ser sta infatti per “Servizio Emergenza Radio” dove il servizio rielabora progetti solidaristici a misura delle esigenze del territorio, l’emergenza è comunicata e affrontata non solo con le sirene spiegate e i lampeggiatori accesi ma con la consapevolezza che ciò che emerge non è altro che l’aspetto più evidente di ciò che causa sofferenza e disagio, la radio ricorda i tempi andati ma insegna ancora un aspetto importante del soccorso, che non può prescindere da un’attenta osservazione della realtà in tempo effettivo. La missione del volontariato è una caduta a piede libero nella realtà cittadina e poi giù in acqua fredda dove nessuno vuole andare, dove nessuno vuole servire, cercando di vincere forze e resistenze egoistiche, ma anche diventando espressione di un’arte che si chiama solidarietà». A livello associativo le esperienze più significative sono sicuramente il Progetto Accoglienza e San Nicola Sei Tu, di cui ci parla Pasquale Rana, giovane volontario del SerMolfetta e componente del consiglio direttivo, che ne è protagonista da anni. «L’impatto con i piccoli, figli degli extracomunitari delle bancarelle che animano la nostra festa patronale, è sempre molto forte. Si tratta di un’esperienza unica, in grado davvero di trasmettere una visione completamente differente della realtà. Ma l’esperienza all’interno dell’associazione che più mi ha segnato, non solo in qualità di volontario ma anche in qualità di persona, è sicuramente la prima volta che ho consegnato i doni ai bambini delle famiglie meno abbienti della città con il progetto San Nicola Sei Tu. Fa un certo effetto entrare all’interno delle dimore e far felici personalmente bambini meno fortunati distribuendo oggetti utili al loro svago e alla loro creatività». Oltre che al pronto intervento nei casi di necessità, i volontari sono anche disposti a dispensare consigli che permettano alla sfera del volontariato di rendersi più efficiente, di crescere, di valorizzarsi. Secondo Giovanbattista Sasso «Se c’è un bisogno a Molfetta è quello di fare rete operativa fra istituzioni, associazioni, Caritas Diocesana, aziende e scuole. Un esempio? Un unico database in cui censire tutti i nuclei familiari e le rispettive necessità, perché è questo che manca. Una rete attiverebbe un centro di ascolto che recepisce le richieste, andando a ricoprire globalmente le esigenze e le difficoltà delle famiglie, evitando così gli sprechi di tempo e di risorse economiche, oltre a smascherare chi approfitta delle associazioni di volontariato. L’aspetto che ritengo fondamentale per la salvaguardia del volontariato è la formazione nelle scuole ai valori solidali secondo i principi costituzionali di sussidiarietà e solidarietà. Si tratta di un dovere civico, morale e spirituale». Ma è Pasquale Rana a sottolineare come «prima di arrivare ad una rete che comporti un coordinamento unico che gestisca il volontariato è necessaria la comunicazione tra i vari enti, al momento carente». È vero che il volontariato nasce laddove c’è carenza, ma bisogna evitare che ci sia carenza laddove nasce il volontariato. © Riproduzione riservata

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