Ieri grande partecipazione allo sciopero della scuola. A Bari anche tanti docenti di Molfetta. Le ragioni della protesta
Ieri il comparto scuola è stato interessato da uno sciopero contro il DDL 2994, ovvero contro la riforma della “buona scuola”. E’ il primo sciopero unitario dopo il 2008, indetto dai cinque sindacati CGIL, CISL, UIL, SNALS e GILDA UNAMS (vedi le foto di Nicola Scagliola della manifestazione di Bari).
Perché gli insegnanti contestano una scuola che è definita “buona” dal governo e che si fregia di aver investito tre miliardi di euro per la stabilizzazione di 100.000 precari? Perché tante sono le cose non dette di questa ennesima riforma imposta dall’alto contro il volere degli addetti ai lavori.
Innanzitutto la stabilizzazione di 100.000 precari, che nelle promesse iniziali del governo avrebbero dovuto essere 50.000 in più, sono state imposte dalla Corte di giustizia europea che, con una sentenza del 24 Novembre 2014 ha condannato l’Italia per reiterazione e abuso illegittimi di contratti a tempo determinato. In virtù di questo gli aspiranti “al ruolo” sarebbero, dunque, molti di più dei 100.000 previsti e “selezionati” arbitrariamente dal governo Renzi, vale a dire tutti quei docenti che per anni, per la precisione per più di trentasei mesi, abbiano lavorato nella scuola con contratti a tempo determinato in possesso di regolare abilitazione all’insegnamento. Purtroppo la meritata e dovuta stabilizzazione avverrà con vincoli e criteri inaccettabili: il docente candidato dovrà fare domanda di assunzione scegliendo albi territoriali dai quali essere chiamato dai dirigenti scolastici, i quali avranno pieni poteri e carta bianca sulle assunzioni nelle proprie scuole, in barba a qualsiasi principio di trasparenza (com’è stato, invece, fino ad ora) e al rispetto stesso della Costituzione italiana che prevede l’accesso alle pubbliche amministrazioni tramite concorso o abilitazioni con valore concorsuale. Si può facilmente immaginare la totale discrezionalità conseguente alla chiamata diretta del dirigente scolastico, proposta già condannata, peraltro, dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 76 del 24 Aprile 2013, quando a proporla fu l’on. Aprea del governo Berlusconi – Gelmini.
Oltre a scegliersi “la propria squadra”, il dirigente scolastico avrà carta bianca sulle decisioni concernenti il POF (Piano dell’Offerta Formativa), fino ad ora competenza dell’intero collegio dei docenti e finanche sulla gestione delle risorse economiche della scuola. Il dirigente diventerà un manager a tutti gli effetti e dovrà gestire anche i rapporti con gli enti privati che entreranno nelle scuole per finanziarle. E’ chiaro che questa gestione aziendalistica della scuola porterà alla creazione di scuole di serie A e di serie B, creando diseguaglianza e discriminazione tra istituzioni scolastiche dello stesso territorio e incidendo pesantemente sulla formazione e sulle opportunità date agli studenti. Lo stato, invece, di finanziare la scuola pubblica apre ai privati con lo school bonus e delega loro gli investimenti, continuando, però, a destinare risorse alle scuole paritarie, in aperto contrasto con l’art. 33 della Costituzione italiana (“Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.”). Solo quest’anno lo stato italiano ha, invece, finanziato le scuole paritarie con 471 milioni di euro, mentre le scuole pubbliche cadono letteralmente a pezzi.
Infine, ma non per ordine d’importanza, nell’articolo 21 del DDL il governo si concede quattordici deleghe in bianco su materie di capitale importanza come la semplificazione del Testo Unico, il riordino degli organi collegiali, il futuro sistema di reclutamento degli insegnanti o il ciclo di istruzione da 0 a 6 anni, specificando, poi, nell’articolo 23, che il tutto sarà approvato senza sentire il parere del CSPI (Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione), organo consultivo di capitale importanza per la scuola e rieletto in tutta fretta in questi giorni con colpevole ritardo da parte del Ministro Giannini. Il Governo, in altre parole, avrà carta bianca, su materie come l’orario dei docenti, gli organi collegiali, i salari, ovvero su materie di contrattazione sindacale che, di fatto, è cancellata con un colpo di spugna, riportando indietro la scuola al 1993, quando con il DL 29 fu introdotta la contrattualizzazione per i dipendenti pubblici e fu stabilita la parità tra le parti. Il tutto sarà, invece, deciso in maniera autoreferenziale e univoca dal governo senza alcun confronto con le parti sociali o le rappresentanze sindacali dei lavoratori.
Alla luce di ciò gli insegnanti non possono restare in silenzio di fronte a questa deriva autoritaria ed è per questo che lo sciopero del cinque maggio è stata anche una battaglia di democrazia contro un governo arrogante e sordo alle urla di protesta e di dissenso di un’intera categoria di lavoratori.
Il cinque maggio, una data funesta per il governo Renzi, il quale ha recentemente dichiarato di non temere “tre fischi” di contestazione? Staremo a vedere.
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Maria Mastropierro
(docente precaria)