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I piedi di Pietro
15 aprile 2005

Il 20 aprile ricorre il XII anniversario della scomparsa del nostro amato vescovo don Tonino Bello. Come ogni anno “Quindici” vuole ricordarlo con uno scritto che faccia cogliere sempre l'attualità di questo Profeta del nostro tempo. In questo scritto (tratto dal volume “Dalla testa ai piedi”, edizioni la meridiana, 2004) don Tonino parla del «ruolo» di Pietro, con evidente riferimento a Papa Wojtyla. Ci sembra il modo migliore per ricordare questi due testimoni autentici del nostro tempo, ma soprattutto due grandi uomini la cui memoria resterà incancellabile nell'umanità e nella storia. Carissimi, tra le cose forti che oggi stanno emergendo nella coscienza cristiana, c'è il convincimento che i piedi dei poveri sono il traguardo di ogni serio cammino spirituale. Abbiamo capito un po' tutti, cioè, che quando Gesù si curvò sulle prosaiche estremità dei suoi discepoli, più che offrirci il buon esempio dell'umiltà, volle soprattutto farci vedere, attraverso i moduli espressivi del servizio, verso quali basiliche avremmo dovuto ormai indirizzare i nostri pellegrinaggi. Se, però, almeno in teoria, non si fa più fatica ad ammettere nel povero la presenza privilegiata di Dio, stentiamo ancora a capire che i piedi di Pietro sono il primo santuario dinanzi al quale dobbiamo cadere in ginocchio. In termini di servizio, è ovvio. Non in termini di ossequio: ché di questo, anzi, ce n'è fin troppo nei confronti del “pescatore”. Sì, ce l'ha fatto capire Gesù: anche Pietro è un povero. Oggi più che mai. Anzi. per usare la terminologia corrente, appartiene alla classe degli ultimi. Noi non ce ne accorgiamo più, perché, a furia di fendere la tesi del “primato” di Pietro, abbiamo perso di vista che egli è il capostipite di quell'«ultimato» di poveri verso cui Gesù ha sempre espresso un amore preferenziale. Sta di fatto, comunque, che, benché gli accoliti gli lavino ostentatamente le mani nei pontificali solenni, i piedi, però, non glieli lava nessuno. O almeno, sono rimasti in pochi quelli che riservano per lui l'amoroso gesto del Signore, dettato da amicizia senza lusinghe e suggerito da tenerezza senza adulazioni. I più gli baciano “la scarpa”, o la “sacra pantofola”, come si diceva una volta. In tanti vanno anche “ai piedi dell'Apostolo”. Magari “provoluti”, per dirla alla latina. Ma senza brocca, catino e asciugatoio. Del resto, come farebbero a portarli, questi arnesi del servizio, se “provoluti” è un termine di raffinata cortigianeria che, tradotto in italiano, significa “striscianti nella polvere”? Povero Pietro. Forse sta scontando ancora gli effetti di quella iniziale resistenza, quando sottratto l'umido calcagno alla presa del Maestro, contestò caparbiamente: “Non mi laverai mai i piedi”!. La sua voleva essere un'affettuosa protesta rivolta al Maestro. Ed è divenuta un'amara profezia rivolta al popolo dei suoi condiscepoli. Carissimi fratelli, se vi scrivo queste cose è perché temo che, a Pietro, oggi non gli si voglia molto bene. Come se non bastasse il peso del mondo, gli incurviamo le spalle sotto il fardello delle nostre risse fraterne. Anche se in teoria non viene discusso il suo prestigio, la sua parola non viene sempre accolta con l'attenzione e con l'obbedienza che merita colui che ha ricevuto da Cristo l'incarico di confermare i fratelli nella fede. E non avviene di rado che, urtando le nostre barche sui fondali dell'accomodamento, i suoi inviti a prendere il largo vengono interpretati come involuzioni e chiusure. Cadiamo una buona volta ai piedi di Pietro. Non per adorarlo, come fece il centurione Cornelio. Ma per lavarglieli, quei piedi. Oggi, specialmente, che sono così stanchi per il tanto camminare sulle strade del mondo. Facciamogli sentire il tepore dell'acqua. Prendiamo l'asciugatoio che ha i profumi casalinghi dello spigo e delle melecotogne. Forse, mentre lo rinfrancheremo dalle sue fatiche con i gesti della tenerezza, cadute certe teorie puritane sullo spreco delle sue itineranze, ripeteremo pure noi i versetti di Isaia: “Come sono belli i piedi dei messaggeri che annunciano la pace!”. Facciamoci raccontare, attorno a deschi fraterni, le meraviglie operate dal Signore sulle piazze, come accadeva un tempo, quando la gente accorreva da ogni parte conducendo gli ammalati perché, “al passaggio di Pietro anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro”. Diamo cadenze d'amore trepido alla nostra implorazione, come avveniva un tempo quando “era tenuto in prigione, e una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui”. Stiamogli vicino, a questo fratello ultimo, che forse più di ogni altro ha bisogno della nostra carità. Forse, mentre l'acqua tintinnerà nel catino, egli proverà tanto ristoro dalla nostra appassionata premura, che ci mormorerà all'orecchio, come quella sera fece con Gesù: “Non solo i piedi, ma anche le mani e il capo”. Vi saluto don Tonino, vescovo
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