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I limiti del PRG e le potenzialità ambientali dei piani attuativi Analisi e valutazioni sullo strumento urbanistico
15 aprile 2001

Cominciamo, senza indugi, con un’affermazione che non lascia molti equivoci: il piano regolatore generale di Molfetta non è un piano di grande qualità, perché non corrisponde ai compiti di base che uno strumento così importante dovrebbe assumere per questa città. La nostra è una convinzione realistica, destinata a spegnere le illusioni, necessaria per chi opera nella didattica universitaria e nella ricerca scientifica, formando generazioni di ingegneri. Sull’esito deludente del piano hanno pesato sia la lunghissima gestazione, durata quasi vent’anni (molto al disopra della media nazionale dei tempi necessari per l’elaborazione dei piani regolatori delle città italiane), sia l’impostazione iniziale che è datata agli inizi degli anni ottanta ed è stato difficile modificare nella sostanza, nonostante gli indubbi miglioramenti successivamente apportati alla versione originaria grazie alla determinazione ed alla qualità dell’assessorato di Dino Borri. Era, infatti, necessario che il piano regolatore generale mirasse verso l’obiettivo di raccordare il gran numero di piani di settore, di scala sia inferiore che superiore, entro una visione coordinata, unitaria, di governo del territorio, e verso quello di ripensarne gli interventi proposti alla luce di un’accresciuta consapevolezza della centralità della tutela ambientale, ormai matura anche a Molfetta, in seguito a novità legislative, impegni programmatici e sensibilità culturali emerse nell’ultimo decennio. Le osservazioni e prescrizioni della Regione dicono, e non soltanto tra le righe, delle carenze rilevate rispetto a tali obiettivi. Da un lato, quindi, vi è la limitata capacità di sintesi e coordinamento che questo piano contiene, dall’altro una scarsa attenzione alle qualità ambientali di un territorio fortunato. Diventa, invece, sempre più urgente che il governo delle trasformazioni di Molfetta venga svolto con una visione d’insieme, non con l’idea della crescita cumulativa per addizione, ma con un approccio che sia in grado di cogliere e di valorizzare le interconnessioni tra le parti del territorio prima di progettare e programmare le azioni. E a questo scopo occorre pensare ad una competenza amministrativa che riunisca le responsabilità sia sui processi ambientali che sugli interventi urbanistici. La visione sistemica ed unitaria di ciò che avviene nelle tante parti del territorio comunale, ed è il risultato della stratificazione storica dei segni dell’insediamento di una comunità di abitanti nel processo di interazione con l’ambiente, è la sola capace di prevedere le conseguenze delle nostre azioni e delle nostre opere. Se le azioni e gli interventi sono di settore, quasi mai lo sono le ricadute e gli effetti prodotti nei tempi medio-lunghi e a volte anche brevi. Si pensi ad esempio all’improvvida costruzione del quartiere di via Ungaretti che ha ignorato l’esistenza della lama, impedendole di svolgere la sua funzione di deflusso delle acque in occasione delle piogge neppure tanto eccezionali cadute nel novembre del 1997 e producendo un’incredibile situazione di emergenza. Incredibile per le caratteristiche morfologiche del territorio molfettese! Quelle costruzioni sono espressione di un’operazione settoriale di edilizia residenziale che ha ignorato le forme del territorio: nella circostanza in cui gli agenti naturali ne hanno dimostrato l’inadeguatezza, paradossalmente è emersa una valutazione che fa della lama una causa di dissesto idrogeologico e, dunque, di emergenza ambientale, come si evince da un decreto ministeriale dell’ottobre del 2000, piuttosto che una risorsa paesaggistica. Questa visione miope, che non tiene conto delle relazioni tra cause ed effetti, e non riesce a leggere la lama come corridoio ecologico e come elemento naturale forte di ordine e di connessione del sistema territoriale, finisce per svilire il potenziale di risorsa degli elementi del territorio, riduce le azioni alla condizione di emergenza, ad esempio con la necessità nei tempi brevi di un piano di protezione civile per fronteggiare l’allagamento del quartiere costruito sul fondo della lama, perpetua la cultura di progetti e interventi che, seppure di dimensione limitata e di settore, producono ricadute negative sull’intero assetto del territorio nei tempi medio-lunghi. E se nel passato da un lato non si è riconosciuta la potenzialità di risorsa ad alcuni elementi del paesaggio naturale, quali le lame, si è trascurata la cura delle coste e il recupero delle cave dismesse, si è fatto spreco di territorio con un’espansione urbana che toglie spazi a una sempre più esigua campagna a vantaggio di seconde case e di una zona industriale sovradimensionata , d’altro canto si è spesso dissipato anche il patrimonio storico con demolizioni sciagurate di edifici come palazzo “Capelluti” o “Pansini e Gallo”, e la valorizzazione delle risorse culturali del territorio non è diventata reale occasione di crescita economica e sociale in una visione di sviluppo compatibile con l’ambiente e con l’insieme delle risorse antropiche di questo territorio. L’elenco di esempi si può allungare alla lettura di altri insediamenti abitativi, degli errori nei quartieri di “Madonna dei martiri” o rione “Paradiso”, delle opere portuali e delle progettate infrastrutture di collegamento del porto con il territorio interno, del ritorno a “Molfetta vecchia”, della collocazione delle strutture commerciali e del terziario. Un assessorato unico che nella prossima giunta comunale si occupi di ambiente e territorio si troverebbe nelle condizioni di definire i nessi tra nuovi interventi e radicamento nei caratteri e nei valori naturali e antropici di Molfetta, potrebbe recuperare i legami tra progetti a scale diverse e sarebbe in grado di evidenziare e valorizzare le occasioni di interazione tra pubblico e privato; d’altro canto non potrebbe giustificare effetti indesiderati ritenendoli non prevedibili solo perché generati fuori dal proprio ambito di competenza e di controllo. Un assessorato all’ambiente e al territorio dovrà, pertanto, farsi carico di governare il territorio come sistema e dovrà porsi l’obiettivo di prevedere le ricadute delle azioni per valutarne, volta per volta, segno e portata; potrà, quindi, programmare con ampiezza di sguardo e lungimiranza e progettare gli interventi con maggiore consapevolezza delle connessioni. Potrà infine gestire con atteggiamento positivo le criticità, valorizzandole come altrettante potenzialità o mettendole a sistema con le opportunità e le risorse del territorio in una visione necessariamente d’insieme. Superando l’idea che il piano regolatore generale sia un rigido strumento di controllo e che da solo produca le trasformazioni del territorio, possiamo pensarlo e usarlo come strumento di processo, come un quadro di riferimento entro cui programmare e gestire con responsabilità e consapevolezza gli interventi attuativi con scelte coordinate. Nella fase che ci aspetta, subito dopo le elezioni, che sarà fase di attuazione del piano senza molte esitazioni, la lettura dei processi in atto per gestirli e orientarli diventerà un’attività necessaria e costante e le mappe di rappresentazione della realtà dovranno poter essere prodotte in tempo reale, condizione questa indispensabile perché siano utili al progetto e alla gestione dei processi. Laboratori di cittadini potranno essere gli strumenti operativi per trasformare l’utopia in realtà, costruire di fatto una visione di democrazia partecipata e orientare le azioni concrete. Il monitoraggio e il progetto devono diventare attività di vita quotidiana dell’intera comunità nel controllo del paesaggio rurale, nel governo dei quartieri urbani, nella tutela dei tratti costieri. Da questi approcci, da questi strumenti dipenderà il destino del piano regolatore generale di Molfetta. Da questa consapevolezza dipenderà l’esito del passaggio da una fase di pianificazione diffusa alle diverse scale sul territorio comunale ad una fase attuativa in cui le scelte si trasformano in opere, in cui si colmano le distanze tra proiezioni e realizzazioni, in cui tutto lo spazio che ogni previsione contiene in termini di interpretazione viene irreversibilmente consumato negli atti. Angela Colonna e Vito Copertino
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