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I danni della politica dei respingimenti raccontati stasera a Molfetta da Laura Boldrini La portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) presenta “Tutti indietro” con gli interventi di Guglielmo Minervini, assessore regionale alle infrastrutture strategiche, Erminia Rizzi, dell'associazione Gruppo di lavoro rifugiati e di Don Giuseppe Pischetti, direttore dell'ufficio Caritas
17 gennaio 2011

MOLFETTA - “Immigrati o rifugiati, poco importa. Oggi in Italia è più semplice parlare di clandestini e rimandarli tutti indietro”. È l’amara conclusione di Laura Boldrini, dal 1998 portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), raccolta nel suo libro “Tutti indietro” che questa sera e domani presenterà a Molfetta.  
L’evento è organizzato dalla libreria “Il Ghigno” e stasera alle ore 18.30 presso la Fabbrica di San Domenico oltre all’autrice prevede gli interventi di Guglielmo Minervini, assessore regionale alle infrastrutture strategiche, Erminia Rizzi, dell’associazione Gruppo di lavoro rifugiati e di Don Giuseppe Pischetti, direttore dell’ufficio Caritas della diocesi Molfetta, Ruvo di Puglia, Terlizzi, Giovinazzo.
“Tutti indietro” è un libro di storie raccolte da Laura Boldrini (foto) nella sua lunga esperienza in prima linea. Storie come quella di Sayed un ragazzo di vent’anni che a undici è dovuto scappare dall’Afghanistan, lasciando la madre e la propria casa, per sfuggire a chi lo voleva costringere a combattere con i talebani. È arrivato in Italia dopo nove anni di viaggio, tra stenti e periodi di prigionia, trattato in modo disumano.
Ma è anche un libro che offre spunti di riflessione. Cosa spinge migliaia di persone a cercare di raggiungere le coste italiane sfidando ogni pericolo? Che cosa sappiamo veramente di loro? Dobbiamo averne paura? È giusto respingerli, come il governo italiano ha deciso di fare dal maggio 2009? Oggi nel dibattito pubblico si tende a considerare tutti i migranti allo stesso modo, mettendoli indistintamente in un unico grande calderone e presentandoli come minaccia alla sicurezza. Anche i rifugiati, da vittime di regimi e conflitti, finiscono per rappresentare un pericolo. Un grande equivoco che mina i principi di solidarietà e di diritto radicati da sempre nella società italiana.
L'autrice, che negli anni ha affrontato con passione e coraggio alcune tra le principali crisi umanitarie dal Kosovo, all’Afghanistan, dal Sudan all’Iraq racconterà la propria esperienza, maturata nell’incontro costante con il dolore di chi è costretto a scappare. Ma descrive anche l’Italia della solidarietà, spesso oscurata dai mezzi d’informazione.
Si replica domani mattina sempre alla Fabbrica di San Domenico e all’incontro parteciperanno i ragazzi delle scuole superiori di Molfetta.

 
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Tocqueville sostiene che combattere contro la libertà sarebbe come voler combattere contro Dio. E' stato proprio Tocqueville a pronunciare con grande acutezza il dispotismo dell'epoca democratica: “Immaginiamo sotto quali nuovi aspetti il dispotismo potrebbe prodursi nel mondo: vedo una folla innumerevole di uomini simili ed uguali che non fanno che ruotare su se stessi, per procurarsi piccoli e volgari piaceri con cui saziano il loro animo. Ciascuno di questi uomini vive per conto suo ed è come estraneo al destino di tutti gli altri: i figli e gli amici costituiscono per lui tutta la razza umana; quanto al resto dei concittadini, egli vive al loro fianco ma non li vede; li tocca ma non li sente, non esiste che in se stesso e per se stesso. Al di sopra di costoro si leva un potere immenso e tutelare, che si incarica da solo di assicurare loro il godimento dei beni e di vegliare sulla loro sorte………Lavora volentieri alla loro felicità, ma vuole essere l'unico agente ed il solo arbitro; provvede alla loro sicurezza, prevede e garantisce i loro bisogni, facilita i loro piaceri, guida i loro affari principali, dirige la loro industria, regola le loro successioni, spartisce le loro eredità; perché non dovrebbe levare loro totalmente il fastidio di pensare e la fatica di vivere? E' così che giorno per giorno esso rende sempre meno utile e sempre più raro l'impiego del libero arbitrio, restringe in uno spazio sempre più angusto l'azione della volontà e toglie poco alla volta a ogni cittadino addirittura la disponibilità di se stesso. Ho sempre creduto che questa specie di servitù ben ordinata, facile e tranquilla potrebbe combinarsi più di quanto non si immagini con qualche forma esteriore di libertà, e che non le sarebbe possibile stabilirsi all'ombra stessa della sovranità popolare. Ciascuno sopporta di essere tenuto al laccio, perché vede che non è un uomo o una classe a tenerne in mano il capo, ma il popolo stesso. -
Viviamo in un mondo in cui il virtuosismo ha cessato di essere appannaggio di pochi eletti ed è divenuto esperienza di massa. Ciascuno è chiamato a farsi funambolico artefice della propria vita, in una sorta di bricolage biografico, quotidianamente alle prese con il rischio: nulla è più garantito su un mercato di lavoro rimodellato all'insegna della flessibilità, così come nulla può essere dato per scontato in rapporti sentimentali e familiari sempre esposti alla possibilità di essere “disdetti” (U. Beck). La nuova cittadinanza repubblicana, viene formandosi il profilo minaccioso dell'ugly citizen, del cittadino brutto e cattivo: barricato a difesa del proprio fragile (o consolidato) benessere, non sa pensare la “sicurezza” se non in termini di ordine pubblico; intollerante nei confronti di qualsiasi intervento dello stato nei suoi “affari”, ne invoca l'inflessibilità nei confronti dei “diversi” e sogna quartieri presidiati giorno e notte dalla polizia; narcisisticamente irretito nella contemplazione della propria individualità, è pronto a lasciarsi sedurre dalle lusinghe di “piccole patrie” più o meno apertamente razziste e a mobilitarsi contro la presenza di stranieri che le stesse politiche migratorie adottate dai paesi dell'Unione europea troppo spesso incoraggiano a percepire come nemici. La flessibilità che per alcuni rappresenta il sogno realizzato di una vita continuamente arricchita da nuove esperienze, per altri è l'incubo di una giornata di lavoro dilatata all'infinito, senza garanzie e senza la certezza di un reddito percepito con un minimo di continuità; il desiderio di libertà di migliaia di donne e di uomini continua a infrangersi su confini robusti e presidiati, come ci ricordano quanti perdono la vita nel tentativo di raggiungere le coste del nostro paese. Riaprire una riflessione radicale sulla libertà e sulla concezione di uguaglianza.-

La politica sta creando un nuovo tipo di stato. Nello stato sicuritario del XXI secolo non si tratterà più di processare chi commette reati e di prevenire pericolo concreti, ma di evitare rischi soltanto eventuali. Ogni cittadino sarà quindi considerato e trattato come un fattore a rischio. Questa specie di organizzazione contro i rischi che sarà lo stato del futuro concederà sempre meno libertà alla popolazione. La paura, della criminalità come dei rifugiati, è dunque una paura indotta e promossa dallo stato, la quale ha per conseguenza che qualsiasi misura statale che contenga la promessa di una maggiore sicurezza, soltanto per questo può contare su un consenso unanime. In un primo momento i cittadini di questo stato si illuderanno di vivere in una sorta di villaggio-vacanze ben sorvegliato, e quando scopriranno che si tratta invece di una specie di prigione di lusso, sarà troppo tardi. Il senso civico, così come da un po' di tempo lo concepisce e lo promuove la politica conservatrice, si adatta alla perfezione a questo quadro; esso, infatti, equivale a una rinuncia all'individualità e ai diritti del singolo. Si tratta di disciplinare, di punire. E di controllare. Se sono sufficienti irregolarità nella vita privata per perdere il posto di lavoro, la visibilità sui media e altro, allora la sessualità, le abitudini linguistiche e le forme di espressioni delle persone vengono controllate fin nei minimi particolari. Foucault osservava già molto tempo fa, quando ancora pochi si esprimevano in tal senso, che i più terribili discorsi del potere nel nostro tempo non provengono dallo stato moderno, ma sono, piuttosto, creati e gestiti dalle forze e dalle istanze della società “civile”. La quale, pertanto, si rivela assolutamente incivile.

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