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I consiglieri comunali del PD chiedono la riorganizzazione rete scolastica
13 novembre 2011

MOLFETTA - I sottoscritti Consiglieri comunali del Partito Democratico, come cita un comunicato, considerato che l'art. 19, commi 4 e 5, della Legge n 111 del 15 luglio 2011 ha già prodotto nel corrente anno scolastico degli effetti negativi sulla rete scolastica di Molfetta, determinando la perdita di autonomia da parte di tre scuole secondarie di 1° grado (S. Domenico Savio,Corrado Giaquinto,Giovanni Pascoli) ;
considerato che la suddetta Legge produrrà ulteriori effetti negativi nel prossimo anno scolastico, imponendo l'abrogazione dei Circoli Didattici e delle Scuole Medie autonomi al fine creare Istituti Comprensivi parametrati su un numero minimo di mille alunni iscritti;
vista la nota del 7/10/2011 del MIUR con cui si sollecitano gli USR affinché spingano le Regioni e gli EE.LL. a predisporre i Piani di dimensionamento della rete scolastica entro il 31 dicembre 2011;
visto il Documento approvato dalla Conferenza delle Regioni e Province autonome del 27 ottobre 2001, recante indicazioni applicative dell'art. 19, comma 4, della legge111/2011;
vista la Deliberazione n. 410 del 2/11/2011 ed il relativo Allegato "A", con la quale la Giunta della Regione Puglia ha approvato le "Linee di indirizzo regionali per il dimensionamento della rete scolastica e la programmazione dell'offerta formativa 2012-013";
vista la nota n 9057 in data 3/11/2011 dell'Ufficio Scolastico Regionale della Puglia;
censurata, preliminarmente, la succitata normativa che appare motivata da mere esigenze di risparmio economico e che, aggiungendosi ai numerosi tagli effettuati  in precedenza, comporterà un ulteriore impoverimento della qualità della scuola pubblica;
rilevato che:
1. il numero degli alunni iscritti e frequentanti il primo ciclo, complessivamente,supera di gran lunga le 6.000 unità;
2. viene rispettato il parametro di 1.000 alunni per istituzione scolastica,con soluzioni diverse si avrebbero scuole sovraffollate che sarebbero di dubbia efficacia sul piano della funzionalità didattica e avrebbero un impatto negativo sulla qualità dell'offerta formativa;
3. la costituzione non generalizzata di istituti comprensivi è determinata dall'impossibilità oggettiva di accorpare i circoli didattici e le scuole secondarie di 1° grado esistenti, poiché non è ipotizzabile né attuabile la disaggregazione delle scuole medie da operare per esclusive ragioni "quantitative";
4. il mantenimento dell'autonomia di due circoli didattici, parametrati sul numero di mille alunni, rispetta la norma della legge 111/2011 ed è ritenuto possibile sia dal documento della Conferenza delle Regioni sia dalle "Linee di indirizzo" della Regione Puglia ove si afferma "occorre,tuttavia,operare scelte rispettose sia della normativa attuale sia della necessità di non stravolgere completamente la rete esistente, sempre nell'ottica della costruzione di un modello di scuola di qualità.";

propongono:  che la rete scolastica relativa alle scuole del 1° ciclo di Molfetta sia articolata in sei istituzioni scolastiche autonome rappresentate da quattro istituti comprensivi e da due circoli didattici;
chiedono che vengano rispettate le suddette "Linee di indirizzo" laddove si afferma: " Le operazioni di dimensionamento devono essere predisposte da Province e Comuni tramite un ampio, trasparente ed efficace sistema di concertazione con le istituzioni scolastiche, USR, Uffici Scolastici Provinciali, Organizzazioni sindacali e ogni altro soggetto interessato, al fine di favorire la massima partecipazione";
chiedono, pertanto, di conoscere quali iniziative siano state messe in atto dall'Amministrazione Comunale per  promuovere la "massima partecipazione";
chiedono,  inoltre,  che nell'elaborazione del piano di dimensionamento si tenga presente dei criteri e dei parametri fissati dalla legge 112/2011 e dalla Regione Puglia e che si voglia:
1. mantenere, per quanto è possibile, una equilibrata presenza, all'interno delle sei istituzioni scolastiche autonome, delle sezioni di scuola dell'infanzia e di scuola primaria;
2. far coincidere ciascuna istituzione con ambiti territoriali omogenei;
3. valutare la razionale utilizzazione delle strutture di edilizia scolastica esistente e futura, ad esempio i locali dell'attuale sede comunale di Via La Vista;
4.  programmare la progressiva attuazione del piano di dimensionamento nell'arco di tre anni scolastici; dichiarano la propria disponibilità ad un confronto con codesta Amministrazione Comunale in riferimento alle operazioni finalizzate al dimensionamento scolastico, onde apportare il proprio fattivo contributo ad una pianificazione della rete scolastica della città che salvaguardi gli interessi di studenti e famiglie a ricevere un'adeguata offerta formativa.

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L'abbiamo scampata bella? Chissà, il futuro ci dirà se non ci siamo trovati sul baratro di un precipizio che ci avrebbe portato indietro di molti anni; lo spettro di una realtà non ancora scomparsa dalle nostre menti, ci ha accompagnato in questi ultimi trent'anni. A pensarci bene, i tentativi sono stati effettuati anche se lentamente e subdolamente L'attacco subito dalla scuola è stato evidente e solo chi non ha voluto vedere, non ha visto. Non si può tacere una domanda: perché la scuola italiana molto a lungo in questo dopoguerra, per eredità compiaciuta, o per simpatia palese, o per mentalità funzionaristica nei ministeri non ha permesso che si parlasse con chiarezza delle storture del fascismo? I giovani nati e cresciuti nel dopoguerra, solo con molta difficoltà riescono ad intendere come sia possibile una “educazione” così stravolta, una mistificazione così integrale, una così sistematica e capillare semina di convinzioni, che un bambino candidamente assimila, poi ragazzo coltiva e via via fa crescere dentro di sé, o lascia crescere; senza poter opporre nulla di diverso, perché quel tipo di manipolazione delle coscienze è totalitario. Con molto ritardo, purtroppo, si stampano oggi in quantità libri di documentazione su quel periodo e su questo argomento. Ci sono “antologie” zeppe di cose che si muovono a riso, che sembrano amenità e sono invece sommamente tristi poiché allora costituivano tragica realtà quotidiana. Con molta “delicatezza” hanno cercato di capovolgere questa trascorsa realtà; si sono visti gli effetti, nella politica e in tutte le sue manifestazioni, nei mass-media, televisione e giornali. Molti sono gli esempi, che dimostrano come sia stato massimo l'impegno del regime fascista nel settore della scuola, non certo con la preoccupazione di migliorare gli studi e l'insegnamento, quanto per asservire completamente la scuola ai propri fini. Il gioco riuscì per la scuola elementare ancor meglio che per quella media e superiore, dove qualche insegnante continuò a fare resistenza agli imbonimenti programmati del regime, aiutato anche da una più robusta consistenza della materia di studio, di per se stessa “resistente” ad una manipolazione così smaccata. Il caso di Augusto Monti, professore di liceo a Torino, è significativo. Dal suo insegnamento uscì una leva di antifascisti come Giulio Einaudi, Leone Ginzburg, Franco Antonicelli, Giancarlo Pajetta, Norberto Bobbio, Massimo Mila, per citare i nomi più noti. L'ABBIAMO SCAMPATA BELLA? CHISSA'!

L'affermazione del 1969 “siamo ancora poco più che gattini ciechi nell'affrontare i grandi problemi dell'istruzione” conserva ancora oggi gran parte della sua validità. Manchiamo di una teoria. L'istruzione è una forma di investimento in capitale umano ai diversi livelli di specializzazione. Non bisogna pensare che le classi dominanti si siano sempre e solo opposte allo sviluppo dell'istruzione ed abbiano fatto tutto il possibile per mantenere o rendere chiuso il sistema scolastico. Se questa è stata la tendenza prevalente, non sono mancati casi, anche nel nostro paese, in cui queste classi si sono comportate diversamente. In effetti, anche la borghesia ha avuto bisogno in certi momenti che l'istruzione si espandesse e ne ha avuto bisogno per due ordine di motivi, economici e politici. Per motivi economici, perché è stato bene o male grazie all'istruzione fornita dalla scuola che essa ha potuto disporre del personale ad alto e medio livello di qualificazione richiesto dall'industrializzazione e dallo sviluppo economico. Per motivi politici, perché la scuola ha sempre avuto la caratteristica, dalle elementari fino all'università, di non trasmettere solo conoscenze ma anche valori, di non fornire solo una qualificazione tecnica ma anche una formazione ideologica, di non influire solo sugli aspetti cognitivi ma anche su quelli affettivi della personalità. Non dimentichiamo che,attraverso l' istruzione scolastica, si scontrano da sempre le due diverse concezioni di controllo sociale delle masse. L'una che vedeva (vede?) la forma più efficace del controllo sociale nel mantenere analfabeta e ignorante la maggioranza della popolazione (secondo il vecchio detto del secolo XVIII: “se un cavallo dovesse saperne quanto un uomo non mi piacerebbe essere il suo cavaliere”), l'altra che la scorgeva (scorge?) invece nella diffusione dell'istruzione. Entrambe le due forme, tendono al controllo sociale della masse; si dovrebbe sfuggire o annullare questo controllo e rinnovare con "vere riforme" la scuola rendendola più libera e “apolitica”, non partitocratica.
Quando oggi si parla di rinnovamento della scuola, analisi e giudizi risultano insufficienti, parziali, o per essere suggeriti dal senno di poi o per restare impigliati nelle “categorie” della cultura dominante. Bisogna tener conto del passato, che pesa ancora su tutto il corpo sociale italiano. Bisogna tener conto dello stravolgimento di valori di cui sono state vittime due generazioni: quella che ora è anziana e quella che viene considerata di età matura, di età cosiddetta “saggia”. E' però necessario fare riferimenti precisi ad ambienti, a classi sociali, a capacità di comprensione e a possibilità di movimento politico; in che misura esse c'erano o non c'erano in un certo ambito di vita. I contadini, quei pochi oggi rimasti e invecchiati, furono da maggior supporto al consolidamento neo-capitalistico degli anni 1950-60, dopo la restaurazione degasperiana del dopoguerra. E' stata la fascia sociale più cospicua utilizzata da cosiddetto “boom” economico che ha avuto il suo apice nel '60-'63, con un fenomeno che tutti conosciamo: un precipitoso, globale abbandono delle campagne per farsi intruppare in fabbrica, con la emigrazione in massa verso le città del Settentrione o verso i paesi europei più industrializzati. Ed è stato necessario attendere l'ondata del '67-'68 con la contestazione studentesca intrecciata con le lotte operaie, con la germinazione di presenze democratiche e associative nuove nel mondo di fabbrica, per dare uno scossone alla vecchia impalcatura. Eppure quella massa contadina che in una dozzina d'anni, tra la fine della “ricostruzione” e il “boom”, si trasformò socialmente in modo abbastanza radicale, acquisendo abitudini nuove (gusti diversi, modi diversi di essere tristi e allegri, profondamente modificato rispetto al senso della terra), è rimasta sbalestrata e intontita, magari credendo di contare qualcosa mentre prima non contava niente, solo perché era giunta a possedere qualche manciata di denaro (liquido da spendere) e d'estate poteva addirittura andare in ferie. Ma certe caratteristiche di fondo sono rimaste. Sono rimasti gran parte dei comportamenti, dei modi della vita di relazione. Ed è qui che è avvenuto il dramma, o un “trauma”, per dirla con linguaggio sociologica, tuttora in atto. E' accaduto che la tavola dei valori che da sempre aveva dettato le norme morali della condizione contadina si è frantumata. Se lo fosse o no proposta, la società dei consumi e l'avvento del “berlusconismo” poi, ha applicato la vecchia teoria del “divide et impera”. Ha ridotto la visione morale, le “cose che valevano”, si sono all'improvviso rotti, sminuzzati. Difficile dare un senso alla vita, che non sia il denaro, nelle forme di relazione sociale che la società dei consumi propone. Qual'è stato, soprattutto il dramma? Che gli interessati non se ne sono accorti, non aiutati dagli intellettuali i quali, nel frattempo, diventavano servi del potere. Si è andati tutti a rimorchio, essere trascinati dal flusso, ritenersi fortunati, cantar vittoria per essere giunti al possesso dell'automobile e dell'alloggio con gli elettrodomestici. Necessitiamo di una scuola veramente “nuova”. Fino a quando non si abbatte il distacco tra cultura e popolo, fino a quando tutto il popolo non diventa protagonista della sua vicenda in Italia restiamo in balìa di un sostanziale fascismo.

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