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Gli ospedali di guerra a Molfetta nel 1916
15 marzo 2016

Nellfimminenza di una grande offensiva austro-tedesca nella penisola balcanica, la Bulgaria, alleatasi con gli Imperi centrali, il 5 ottobre 1915 dichiaro guerra alla Serbia, che in precedenza per due volte aveva ricacciato gli austriaci. A partire dal 6 ottobre truppe austriache, tedesche e bulgare invasero la Serbia, attaccandola da nord e sul fianco orientale. La Grecia, benche alleata con la Serbia, rimase neutrale e rifiuto di soccorrerla. Il 9 ottobre gli austro-tedeschi occuparono Belgrado al comando di August von Mackensen, che ebbe parole di elogio per gli eroici difensori serbi agli ordini del capo di stato maggiore generale Radomir Putnik. Per controbilanciare in qualche modo lfattacco austro-bulgaro-tedesco, un corpo di spedizione dellfIntesa in ottobre sbarco a Salonicco, in Macedonia. Il 19 ottobre lfItalia dichiaro guerra alla Bulgaria. Lo sbarco a Salonicco determino conflitti fra il governo greco e lfIntesa e dissidi interni in Grecia, dove si formo un partito interventista sotto Eleutherios Venizelos, mentre il germanofilo re Costantino I di Schleswig-Holstein-Sonderburg- Glucksburg persisteva nella neutralita armata. Il 10 novembre le divisioni austro-tedesche si congiunsero con lfala destra bulgara a Ni., in Serbia, per procedere a unfoffensiva in Kosovo. Cosi tra il 24 e il 25 novembre presero Pristina e il 4 dicembre entrarono in Debar. I serbi persero circa 30 mila uomini, 199 cannoni, 150 automezzi e un ingente quantitativo di equipaggiamenti militari. I resti dellfesercito serbo, incalzati dai nemici, ripiegarono verso lfAlbania per imbarcarsi su navi italiane e inglesi alla volta dellfisola greca di Corfu. Nonostante le gravi perdite dellfesercito italiano durante la quarta battaglia dellfIsonzo (10 novembre . 2 dicembre 1915), furono inviati rinforzi a Valona per provvedere al salvataggio delle truppe serbe ormai in piena rotta. In dicembre altri reparti italiani misero piede a Durazzo. Qui la brigata di fanteria gSavonah ebbe lfincarico di proteggere il riordinamento dellfesercito serbo e agevolare lfesodo dei fuggiaschi, che furono trasportati anche in Puglia, Lazio e Sardegna. Tra il 16 e il 19 dicembre gli austriaci penetrarono in Montenegro, costringendo re Nicola I Mirkov Petrovi.-Njego. e la sua famiglia ad andare esuli in Francia. Lfazione congiunta austro- tedesco-bulgara nei Balcani apri fra Berlino e Costantinopoli le comunicazioni dirette, minacciate comunque dal fronte italo-franco-britannico, che andava da Valona a Salonicco. In conseguenza di questi avvenimenti, a Molfetta il 27 dicembre 1915 la Croce Rossa Italiana inauguro il proprio Ospedale territoriale annesso allfOspedale civile locale e costituito nellfarea della divisione militare di Bari. Lfospedale territoriale della Croce Rossa inizialmente ebbe una dotazione di 80 letti e servi in particolar modo per i feriti provenienti dallfAlbania e dalla Macedonia. Saverio La Sorsa nel volume La Puglia e la guerra mondiale annota che in quella struttura ospedaliera furono ricoverati 1.850 militari e ne furono dimessi 1.589. La struttura sara chiusa nellfaprile del 1918. Lf11 gennaio 1916 gli austriaci comple-tarono l’occupazione del Montenegro e subito dopo invasero l’Albania settentrionale. In febbraio terminarono le operazioni di sgombero dell’esercito serbo in Albania, con l’imbarco di circa 140 mila soldati trasferiti via mare in Puglia. Durazzo, assalita da un corpo d’armata austro-ungarico e da bande albanesi ostili e difesa a fatica il 26 febbraio con grandi perdite di materiale, venne abbandonata dai reparti italiani, che ripiegarono su Valona per impedirne l’occupazione da parte di altre potenze, mantenendosi saldamente nell’Albania centrale, protetti dalla nostra marina militare. A Valona gli effettivi raggiunsero il numero di circa 100 mila uomini, inquadrati nel XVI Corpo d’Armata al comando del generale Settimio Piacentini. Per verificare l’efficienza dell’Ospedale territoriale molfettese, nella mattina del 27 febbraio 1916, il conte Gian Giacomo Cavazzi della Somaglia (1869-1918), presidente nazionale della Croce Rossa, che era già stato a Molfetta nell’agosto del 1915, fece un’ispezione insieme al conte Iannuzzi, presidente regionale, e al maggiore medico cavalier Bissi, ispettore degli ospedali territoriali. Terminata la visita e trovati i reparti ben organizzati, il conte della Somaglia si congratulò con i dirigenti sia per l’ordine dei locali, sia per l’attrezzatura in possesso del reparto chirurgico. Intanto il primo gennaio 1916 era stato aperto a Molfetta l’Ospedale contumaciale della zona di primo sgombero, avviato nel novembre del 1915 e dislocato nel Seminario Vescovile. Era dotato di 1.080 posti letto e di un laboratorio batteriologico che serviva gli ospedali di Molfetta, Trani e Canosa. Accolse i soldati affetti da malaria, colera, dissenteria amebica e bacillare e da altre malattie infettive, provenienti dall’Albania e dal fronte di Salonicco e qui tenuti in osservazione e curati. Vi entrarono 14.531 militari e ne furono dimessi 14.485. L’Ospedale contumaciale sarà chiuso nel gennaio del 1920. Durante la prima guerra mondiale la Croce Rossa Italiana allestì in molti luoghi d’Italia 204 ospedali territoriali con circa 30 mila posti letto e 65 ospedali da guerra. Questi ultimi potevano essere attendati e dotati di 50, 100 e a volte anche 200 letti con bagni, lavanderia e altri servizi. In altri casi gli ospedali erano alloggiati in appositi baraccamenti oppure sfruttavano strutture edilizie già esistenti. La direzione e il primo nucleo dell’Ospedale da guerra n. 44 della Croce Rossa Italiana giunse a Molfetta nell’agosto del 1916 e ben presto la struttura entrò in funzione nel Seminario Vescovile. In séguito, sfruttando gli edifici scolastici civili, l’Ospedale da guerra 44 aprì anche la Sezione “Manzoni”, la Sezione “Regio Ginnasio e Liceo” e la Sezione “Apicella”. L’apparato della Croce Rossa Italiana era formato da medici e “Dame della Croce Rossa”, cioè crocerossine volontarie, coadiuvati dal personale infermieristico, sempre volontario, facente parte di vari comitati assistenziali. Nell’articolo Molfetta e l’Italia nel 1915, apparso in «Quindici» del giugno 2015, ho accennato all’impegno profuso per la sezione molfettese della Croce Rossa dalla signorina Gaetana Valente, coadiuvata da una quarantina di maestre elementari. Qui vorrei ricordare la figura di una di queste insegnanti, donna Giulia Crocetta, moglie dell’avvocato Pantaleo D’Amato, attivissima nell’Azione Cattolica e in mille iniziative di volontariato, come a suo tempo rammentò il prof. Vincenzo Zagami nel cammeo Donna Giulia pubblicato in «Molfetta nostra» del luglio-settembre 1964, anno della scomparsa di questa solerte dama di carità. Donna Giulia fu instancabile crocerossina negli ospedali di guerra di Molfetta ed è ritratta in tale veste in una fotografia nel 1916. Questa nobile signora, tuttavia, non si prodigò soltanto a vantaggio dei ricoverati, ma durante la Grande Guerra fu l’animatrice del Comitato di Assistenza alle famiglie dei mobilitati, dei prigionieri e dei caduti. Insieme alle sue alacri collaboratrici operò per quarantuno mesi, contribuendo a sostenere il morale della popolazione molfettese duramente provata. Sapendo che i combattenti immersi nel fango delle trincee del Carso o nella neve delle cime alpine avevano bisogno di calore e conforto, organizzò con altre volontarie la spedizione al fronte di 3.500 pacchi di indumenti di lana. In essi i fanti e gli alpini a cui furono distribuiti potevano trovare sciarpe, guanti, maglie e passamontagna per proteggersi dal gelo, grazie al generoso lavoro di signore e popolane appositamente mobilitate da donna Giulia. Come se non bastasse, facendo raccogliere cumulidi giornali vecchi, realizzò la fabbricazione di scaldarancio, cioè rotolini cartacei imbevuti di paraffina, da inviare ai soldati al fronte per riscaldare i pasti militari freddi. Mentre a Molfetta si svolgeva questa fervida attività, dall’11 al 19 marzo 1916 si svolse la quinta battaglio dell’Isonzo, richiesta dai Francesi pesantemente assaliti dai tedeschi a Verdun. Poi gli austro-ungarici, dal 15 maggio al 18 giugno, lanciarono in Trentino la Strafexpedition, la spedizione punitiva pianificata dal capo di stato maggiore Franz Conrad von Hötzendorf contro il presunto tradimento italiano rispetto alle clausole della Triplice Alleanza, e il 29 maggio occuparono Asiago. Di conseguenza dal 4 al 10 giugno sull’altopiano omonimo si accese una furibonda battaglia. Seguì, dal 12 al 16 giugno, l’ultimo tentativo austriaco contro il Monte Novegno e il Monte Lemerle, che fallì. Intanto il 10 giugno era iniziata la controffensiva italiana sull’altopiano di Asiago, che a metà luglio portò alla riconquista del terreno perduto, tranne una zona di circa 12 chilometri sullo stesso altopiano e in Val d’Astico. Dal 6 agosto al 16 settembre ebbe luogo la sesta battaglia dell’Isonzo, che fruttò la conquista di Gorizia, dove gli italiani entrarono il 9 agosto. Dopo la tardiva dichiarazione di guerra alla Germania (27 agosto 1916) essi ripresero gli scontri di logoramento e di posizione con le tre «spallate» autunnali sul Carso: la settima (14-16 settembre), l’ottava (10-12 ottobre) e la nona battaglia dell’Isonzo (1-4 novembre). Nei combattimenti di terra e di mare del 1916 persero la vita non meno di 144 militari molfettesi. Tra di essi va ricordato almeno il ventenne soldato del 63° reggimento di fanteria della brigata “Cagliari” Michele Natalicchio di Nicolò e di Marta Pappapicco, morto il 3 agosto 1916 nell’Ospedale militare di Riserva di Cremona, sepolto nel cimitero comunale della stessa città e poi traslato nel 1927 nella Cappella ossario del medesimo cimitero. Purtroppo i suoi genitori ebbero il grande dolore di perdere in guerra altri due figli, il ventottenne sergente del 138° reggimento di fanteria della brigata “Barletta” Vincenzo Natalicchio, deceduto il 1° gennaio 1917 a Castagnevizza (Kostanjevica) durante un combattimento, e il ventenne soldato della 238a batteria bombardieri Pantaleo Natalicchio, spirato tra il 2 e il 3 novembre 1918 nell’Ospedale di Tappa di Ferrara per malattia contratta in servizio. Dal 1961 riposa nel Famedio Militare di Ferrara. Al suo interno sulla cornice dell’ossario si legge questa iscrizione: «MORIRONO PER ELIMINARE L’ODIO E LA GUERRA, PER UNA SOCIETÀ CIVILE NELLA PACE OPEROSA».

Autore: Marco I. de Santis
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