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Giovani lavoratori …o quasi La lunga attesa di un posto anche a Molfetta
15 giugno 2001

Mario, 26 anni, di Pozzuoli, dopo aver lasciato la scuola per fare il pescatore, si è rimesso a studiare. “L’anno prossimo mi diplomo”, afferma, con l’orgoglio di chi ha raggiunto un traguardo importante. Rosalba, 24 anni di Torino, dopo la terza media è entrata in una fabbrica di penne lavorando a cottimo per 10-15 mila lire al giorno. Ha lasciato tutto, ha ripreso a studiare e oggi è cassiera in una banca. Cosima, 27 anni, di San Michele Talentino, nel brindisino, che nonostante la laurea ha sempre lavorato in nero. “Lavorare qui – racconta mestamente - non è difficile ma si trovano solo impieghi irregolari”. Si raccontano così i circa 1.500 giovani che si sono dati appuntamento sabato 9 e domenica 10 giugno a Bari, in occasione della seconda “Festa nazionale dei giovani lavoratori…o quasi”, organizzata nello spazio fiera dalla Conferenza episcopale italiana e della Gioventù operaia cristiana (Gioc). Non importa quali siano i loro nomi o da dove provengano, conta il messaggio che hanno voluto lasciare. Sono giunti da ogni parte d’Italia. Anche Molfetta ha partecipato con una sua delegazione, per chiedere non solo un lavoro ma anche condizioni più dignitose per cancellare dalle loro vite quel “quasi” che campeggia sulle locandine della manifestazione. Dopo aver manifestato per le vie della città il loro entusiasmo e la loro voglia di fare, è giunto il momento del confronto con i rappresentanti sindacali, istituzionali ed ecclesiastici, in un dibattito in cui si sono affrontati i temi del lavoro e dell’imprenditoria giovanile. Il segretario generale della Cisl, Pezzotta ha puntato il dito sulla scuola che non è più in grado di rispondere alle esigenze di integrazione con il mondo del lavoro e “non riesce a trattenere ed entusiasmare i giovani”. Sul tema lavoro, posto anche come questione morale, c’è stato l’invito dei rappresentanti sindacali ad una positiva collaborazione con la Chiesa, che ha dimostrato di voler accettare questa sfida, come dimostra il progetto Policoro, avviato sei anni fa nella cittadina lucana da cui prende il nome, che ha creato un lavoro per centinaia di giovani disoccupati. Anche se la Chiesa, come ha giustamente sottolineato Mons. Bregantini, “non può fungere né da sostituto dei sindacati, né da ufficio di collocamento, ma ha il dovere di coscientizzare i giovani lavoratori”. Edo Patriarca, portavoce del forum del terzo settore, ha,invece, evidenziato la mancanza di ambienti di lavoro funzionali alle relazioni, in cui “si chiede molto e si riceve poco”, anche in termini di formazione. L’amministratore delegato di “Sviluppo Italia”, Carlo Borgomeo, ha realisticamente dichiarato che “il posto di lavoro a cui siamo abituati è finito”, ma “partendo dalle idee, senza chiedere favori” si possono creare nuove opportunità. “Tramite il prestito d’onore, 4.000 giovani disoccupati in Puglia e 20.000 in tutta Italia hanno creato piccole imprese che hanno dato lavoro a altri giovani. Rispetto al lavoro bisogna porsi – ha concluso Borgomeo - non in una posizione di attesa ma di protagonismo”. Anche nella nostra città ci sono giovani disoccupati, giovani che lavorano in nero, giovani che sono ancora costretti ad andare al Nord per lavorare. Tutti sono in attesa di un rilancio occupazionale sul territorio, si attende l’insediamento di aziende e complessi commerciali nella zona Asi, all’interno delle quali si spera possano trovare un lavoro dignitoso i giovani e i disoccupati che da tempo aspettano una occupazione. Tutto questo può aiutare ma lo sviluppo non è un evento, piuttosto, come sosteneva Paolo VI, “è un processo di popolo”, tutto il resto è crescita economica. Michele de Sanctis jr.
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