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Gaetano Salvemini e la lega contadini nella prima metà del 1913
15 maggio 2008

All'inizio del 1913, tra le “associazioni riformiste” di Molfetta, segnalate il 28 febbraio dal Prefetto di Bari in un elenco di “associazioni sovversive” (v. Giornate salveminiane, Molfetta 1992, p.190), costituite dalla Sezione socialista, dal Circolo giovanile socialista e dalla Cooperativa “La Riscossa”, che aveva per scopo “di migliorare le condizioni economiche e morali della classe lavoratrice e promuoverne l'elevamento” (come trascritto sul retro di copertina del Libro Consumo del Socio, Molfetta, Stab. Tip. Guglielmo Panunzio, 1911), è menzionata anche la Lega contadini, con un numero di 1.044 aderenti. La Lega aveva la sede sociale in piazza Piscina Comune (ora Domenico Picca), in un locale “di due stanze”, all'imbocco di via Catacombe, 2, dove “si accede per alcuni gradini nello spessore del muro” – precisa Ugo Ojetti nei suoi Ricordi di una domenica di passione (ora in G. Salvemini, Il ministro della mala vita, a cura di S. Bucchi, Bollati Boringhieri, Torino 2000) - e a sinistra di chi entrava erano appese al muro in ordine “una sovra all'altra”, le immagini di “Gesù Cristo, Carlo Marx, Gaetano Salvemini” (v. in G. Salvemini, Corrispondenze pugliesi, Molfetta 1989, p. 318). Salvemini, infatti, insieme all'amico avv. Francesco Picca, aveva organizzato politicamente la Lega, di cui era presidente Salvatore Mininni, e segretario Angelo Ventura, “un operaio meccanico – scrive Salvemini - che dedicava tutte le ore libere dal lavoro all'assistenza dei contadini” (v. “L'Unità”, 20 giugno 1913). Da questi stessi lavoratori, come da altre organizzazioni operaie della città, Gaetano Salvemini era stato proclamato, ai primi dell'anno, loro candidato nelle elezioni politiche del 26 ottobre, in preparazione delle quali egli, nelle festività di Pasqua del 23 marzo, se ne partì da Firenze per la Puglia a fare propaganda fra i contadini, per cui scrisse da Molfetta, il 29, a Giuseppe Lombardo Radice, professore di Pedagogia all'Università di Catania, di organizzare qualche conferenza a Molfetta “sulla questione della scuola elementare e sull'opera data da me - egli dice - per il Mezzogiorno nella questione scolastica”, che doveva essere “semplice, per povera gente, chiara come per alunni di dodici anni” (v. lettera in G. Salvemini, Carteggio 1912-1914). Da parte sua, Salvemini, il 30 marzo, tenne un comizio in Piazza Piscina Comune (v. La elezione di Molfetta, Firenze 1914, p. 7), teso “come tutta la propaganda da me fatta nei primi mesi del 1913 - egli scrive - a preparare gli elettori a resistere anche attivamente alle eventualità malvagità della polizia e dei teppisti ufficiali” (v. I documenti pansiniani sulla elezione di Molfetta, Firenze 1914, p. 21). Di questa manifestazione, Salvemini pubblicò, ne La elezione di Molfetta, una fotografia, che altrove (v. Salvemini, una vita per la libertà, p. 41, e di recente G. Salvemini, l'uomo il politico lo storico, Kurumunuy Ed., p. 77) è riferita invece a un comizio tenuto il 1° Maggio, quando egli fu di nuovo a Molfetta, ospite di Francesco Picca, per festeggiare la ricorrenza coi contadini della Lega, il cui Comitato Direttivo, dieci giorni prima, aveva fatto affiggere per la città il nuovo orario per i lavori in campagna, che, contestato dai proprietari terrieri, era stato decisamente difeso, il 27 aprile, dal presidente Mininni e dal segretario Ventura nel foglio, stampato dalla Tip. Picca, Lega dei Contadini (in Biblioteca comunale “G. Panunzio”, Molfetta, Misc. XI/70). Il 1° Maggio, oltre che a Molfetta, dove Francesco Picca (?) compose in suo onore una poesia d'occasione (v. Inventario Archivio G. Salvemini, a cura di S. Vitali, Roma 1998, p. 566), Salvemini fu festeggiato anche a Bitonto dalla Federazione del Lavoro, che gli dedicò una cartolina fotografica, per cui provò un “sentimento” tale che, nel comunicarlo con una cartolina da Molfetta il giorno dopo, commosse “molto” Giustino Fortunato (v. Carteggio cit., p. 330). Il 7 giugno Francesco Picca informava Salvemini, tornato da Firenze, che a Molfetta si stava traversando “Un periodo in cui la lotta mi pare - egli scrive - vada delineandosi a tuo favore in un modo inaspettato, giacché […] in seguito alla costituzione della lega contadini e alla pubblicazione delle norme di lavoro, i proprietari non potendo assalire questi sul terreno economico, in cui si sentono sconfitti, se la prendono con te; alla lor volta, anche i proprietari di stabilimenti, per una giusta richiesta di aumento di salari da parte degli operai, la quale sanno di non aver ragione a contrastare, ne fanno risalire la causa a te. Con questa maniera di propaganda è naturale che tra i lavoratori anche se ignoranti, indifferenti o per tradizione ed abitudine servitori sorga spontaneo il sentimento vago, se non la visione chiara, che il loro baluardo, il difensore dei loro giusti diritti sei tu” (lettera inedita in Archivio Salvemini, Istituto storico della resistenza in Toscana, Firenze, sulla cui collocazione v. l'Inventario della corrispondenza, a cura di A. Becherucci, Clueb, Bologna 2007, p. 140). Il giorno dopo successe che 200 contadini della Lega, ingaggiati per la mietitura nelle campagne del Tavoliere intorno a Serracapriola, furono costretti a rinunciare alla partenza perché l'Amministrazione ferroviaria li aveva costretti a salire in scompartimenti indecenti. In data 9, il segretario e i contadini della Lega: La Forgia Giovanni fu Cosimo, Bruno Domenico di Sabino, Minutilli Nicola fu Corrado, Valente Stefano fu Gaetano, Vitulani Michele fu Andrea, rappresentanti dei 40 gruppi di contadini ingaggiati, presentarono un reclamo all'Amministrazione ferroviaria, in cui esponevano che il giorno prima si erano recati alle ore 10 dal capo stazione di Molfetta “per la richiesta di carri di terza classe da servire per i mietitori con destinazione alle stazioni da Foggia alla Serra”. Rimandati, tornarono alle ore 18 per fare la richiesta. La mattina del 9, prima dell'ora di partenza delle 5,40, i contadini si presentarono alla stazione, pagarono l'importo relativo per il viaggio da Molfetta in scompartimenti di terza classe, che “invece all'arrivo del treno non ve n'erano”.Protestarono ma per non perdere la giornata di lavoro si accontentarono “di salire nei soli scompartimenti esistenti di quarta classe. Però questi erano così indecenti per immondezze accumulate per il fetore che vi si sprigionava; e a ciò essendosi aggiunto la imposizione del conduttore, il quale pretendeva che i contadini con tutti i loro arredi di lavoro e vestiario fossero pigiati in numero di 40 in ciascun carro di 4ª classe”, furono “loro mal grado costretti a rinunciare alla partenza. Conseguenza inevitabile di questo fatto prodotto da imprevidenza o malvolere dell'amministrazione ferroviaria” fu che i contadini non solo persero una giornata del lavoro, ma correvano il rischio di perdere il contratto per cui erano stati ingaggiati. Perciò “i medesimi” domandavano “in linea provvisoria lire 800 per una giornata di lavoro perduto da ciascuno dei 200 mietitori”, e si riservavano “ogni altra domanda per maggiori danni da fare valere anche in via giudiziaria”. Angelo Ventura mandò poi copia del reclamo a Salvemini, per-ché lo pubblicasse ne “L'Unità”, accompagnando lo scritto con le parole: “Lei bene conosce perché ci vogliono trattare a questo modo: perché siamo meridionali. Ma se fosse nel settentrione ciò non avverrebbe”. E sotto il titolo “Nel Settentrione ciò non avverrebbe”, Salvemini pubblicò, sul numero del 20 giugno, il testo del reclamo, a commento del quale scrisse: “nel Nord gli operai avrebbero impedito la partenza del treno e si sarebbero fatta giustizia con le loro mani; e nella sicura previsione di incidenti spiacevoli per sé, gli impiegati ferroviari avrebbero provveduto accuratamente e puntualmente al fabbisogno denunciato il giorno prima. Nel Sud, i lavoratori hanno tuttora per le autorità di qualunque specie un rispetto religioso, non osano ribellarsi neanche dinanzi alle ingiustizie più bestiali; tutt'al più presentano un reclamo regolare. E le autorità se ne infischiano dei reclami, e continuano a fare il comodaccio loro. L'anno venturo bisogna che i contadini di Molfetta, nel presentare la domanda dei mezzi di trasporto, dichiarino all'Amministrazione ferroviaria che impediranno la partenza del treno, qualora si ripetesse l'indecenza di quest'anno. E bisogna che, occorrendo, mantengano la parola data”.
Autore: Pasquale Minervini
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