Flotta peschereccia, lenta agonia: di chi la colpa
Una fl otta a pezzi. Non sono passati molti anni da quando la fl otta peschereccia di Molfetta contendeva il primato a quella di San Benedetto del Tronto (Marche) e di Mazara del Vallo (Sicilia). Oggi, tra gli ultimi posti. Lenta agonia, che non fa più notizia: ridotto all’osso l’interesse di politica e cittadinanza, nonostante propositi e belle parole. Decimata la fl otta peschereccia di Molfetta: da 300 a 47 natanti in 20 anni. Demoliti altri 19 natanti: 76 famiglie sul lastrico. Rottamata anche una lampara: 17 marinai senza lavoro, se l’equipaggio non fosse stato assorbito in quello di un peschereccio acquistato da altri marinai molfettesi. Negli anni ‘80 Molfetta rappresentava uno dei punti focali della marineria italiana e mondiale. Lacerato il rapporto tra pescatori, associazioni e amministrazione. Occorrono più fatti, meno parole rassicuranti e vuota enfasi di contenuti per ammansire gli umori. Di chi è la colpa? Mai un controllo adeguato, mai una corretta gestione delle risorse ittiche e umane da parte delle associazioni di categoria, la denuncia di alcuni pescatori a Quindici, perché «queste associazioni non conoscono a fondo il nostro lavoro, non hanno vissuto come noi la vita del mare, dove ogni giorno rischi di morire, non sanno cosa signifi chi vivere del mare e spesso sono strettamente legate alla politica». Il programma «Sfop» dal 1998 concede contributi agli armatori per la rottamazione dei natanti: «forti guadagni per gli armatori», secondo alcuni pescatori, che non hanno mai ricevuto il 3% di quei contributi europei come stabilito per legge. «È facile scaricare le colpe su persone e associazioni», la replica di Giuseppe Gesmundo, presidente dell’Associazione Armatori da pesca di Molfetta (Assopesca). «Questa crisi, comunitaria e locale, è da addebitare a una pesca sovradimensionata rispetto alla produttività del mare - ha spiegato Gesmundo - all’aumento dei costi del gasolio, alle diffi coltà che incontriamo nel valorizzare la nostra produzione ittica». Rendimento diminuito nell’ultimo decennio, stroncato dalle leggi Ue che impongono la riduzione della fl otta peschereccia per consentire il ripopolamento del mare. Ma l’UE non ha solo imposto la demolizione o la vendita dei natanti, ha anche off erto altre chance: «perché si continua a far credere che la rottamazione sia l’unica soluzione - la domanda degli operatori - se la normativa europea prevede anche coincentivi per la conversione dei natanti a modalità ecosostenibili?» Numerose le opportunità off erte dall’UE negli ultimi dieci anni soprattutto per la piccola pesca, «mai conosciute, sapute in ritardo, perciò mai attuate», lamentano i pescatori. Ad esempio, è mancata la corretta informazione ai pescatori sui fi nanziamenti Por, Sfop e Fep per l’ammodernamento dei natanti e la riconversione della piccola pesca. Con i fondi UE a Molfetta si sarebbero dovute realizzare strutture per la riconversione della pesca: mai inutilizzate, abbandonate, nonostante la disponibilità di fondi per la loro gestione. La commercializzazione del pesce. Altro problema è «la commercializzazione del pesce», secondo i pescatori, «i costi di gestione sono aumentati (aumento del +20% del gasolio, ndr) e i prezzi all’ingrosso sono diminuiti». Necessaria una lotta contro il rincaro dei prezzi di vendita da parte di grossisti e commerciati: «ad esempio, se il produttore vende il pesce a 2 euro, il grossista o il commerciante lo rivende a 10 euro il profi tto potrebbe essere notevole, ma la ricaduta sulla commercializzazione del prodotto è negativa, di conseguenza i primi a subire siamo noi pescatori». Cattiva gestione delle associazioni di categoria? «Grazie alla mediazione delle associazioni ha retto il settore della pesca a Molfetta», la replica di Gesmundo, che ha confermato una «quotazione del costo del pesce non idonea al nostro mercato locale», perché «il valore aggiunto del nostro pesce si perde nel passaggio dal produttore al grossista». E il progetto di sistema di asta telematica fi nanziato dai fondi Por-Pesca 200-06, per agevolare l’accesso all’asta e elevare il valore delle transazioni? La sottomisura «Trasformazione e Commercializzazione » del bando «Miglioramento della produzione ittica» avrebbe dovuto consentire la costruzione di nuovi impianti, l’ammodernamento di mercati ittici e strutture collettive di conservazione, trasformazione, confezionamento e etichettature dei prodotti ittici, oltre a facilitare manutenzione, trattamento, produzione e distribuzione tra sbarco e prodotto fi nale. Ancora una volta, il progetto è stato imputridito dall’inerzia politica e organizzativa. Cosa fare? La pesca ai pescatori, una gestione più attenta che non sia macchiata dalla politica. Responsabilizzare il produttore, fare impresa marittima nel modo giusto e in un nuovo contesto, quello delle normative comunitarie e della riduzione dello sforzo ambientale. Necessaria per Gesmundo «una pesca responsabile che salvaguardi il mare» perché la vera sfi da «è cercare un equilibrio tra l’intervento ambientale e quello socio-economico». E Il Piano di Sviluppo Costiero è «uno strumento che coinvolge gli operatori di settore in partenariato con gli enti pubblici e le associazioni di categoria». Ennesimo buco nell’acqua, colorato da tanta passionalità retorica?
Autore: Marcello la Forgia