Finanziaria contro il Sud e a favore dei ricchi
Le scelte del governo Berlusconi tagliano altre risorse al Mezzogiorno (-20%)
La finanziaria in approvazione in Parlamento è la quarta del governo Berlusconi, e nonostante il cambio del ministro dell'Economia e la verifica di maggioranza che si è trascinata per lunghissimo tempo è perfettamente in linea con le precedenti. Un dato, infatti, emerge ancora una volta con estrema chiarezza e cioè la scomparsa di ogni politica di sviluppo in favore del Mezzogiorno.
Dopo aver reso praticamente nullo l'intervento a sostegno degli investimenti attraverso il credito d'imposta, che questo governo ha modificato subito dopo il suo insediamento in maniera tale da renderlo difficilmente praticabile, eliminando quella che era stata la grande intuizione dei governi di centro-sinistra, vale a dire l'immediata fruibilità del contributo, che non prevedeva né la necessità di inviare domande a chicchessia né lunghe e farraginose trafile di ammissione. La scarsa convenienza all'utilizzo di questa forma di sostegno, dopo le modifiche introdotte dal Polo, è attestata dalla quantità di risorse che nell'ultimo anno sono restate inutilizzate. In perfetta continuità con il passato, quindi, anche questa finanziaria taglia le risorse per il Sud di un ulteriore 20% circa, mentre il governo si appresta ad eliminare gli incentivi a fondo perduto sostituendoli con prestiti a tasso agevolato.
Per quanto attiene la tanto decantata riduzione delle tasse, è notizia di questi giorni il rinvio della diminuzione dell'Irpef, più volte prospettata da Berlusconi in questi anni, al 2006. In effetti la maggioranza, ancora oggi (16/11/2004) non trova l'accordo sull'emendamento da presentare in Parlamento che dovrebbe introdurre per il 2005 le prime misure di riduzione dell'Irap e dell'Irpef, per questa ultima sotto forma di aumento delle detrazioni per carichi di famiglia.
Tuttavia, in base alle bozze di emendamento finora circolate e pubblicate dalla stampa specializzata, il beneficio nella migliore delle ipotesi, per i contribuenti con a carico coniuge e due figli, sarebbe quantificabile in 4 euro mensili! Veramente poca cosa se si considera che la stessa finanziaria ha previsto la possibilità per gli Enti locali di aumentare le proprie imposte (addizionali Irpef, I.C.I., nonché la tassa smaltimento rifiuti).
E' utile, a questo punto, fare una seria valutazione sulle misure fin qui adottate ed su quelle che saranno adottate nel prossimo futuro dal governo in carica. Con la legge di bilancio del 2003, approvata a fine 2002, il governo Berlusconi introdusse quello che è stato definito il primo modulo della riforma Irpef, un'imposta che colpisce tutti i cittadini nel momento in cui producono reddito nelle diverse forme di lavoro dipendente, autonomo, d'impresa, di fabbricati, terreni, capitale etc. L'Irpef ha da sempre rappresentato la principale forma di redistribuzione della ricchezza in quanto imposta progressiva che colpisce in misura maggiore i redditi più elevati, in altre parole i più ricchi. Bene, la riforma dell'Irpef voluta dall'ex-ministro Tremonti ha di fatto complicato non poco i meccanismi di calcolo creando minimi vantaggi per il contribuente, che nella migliore delle ipotesi ha ottenuto un risparmio di poche decine di euro di cui, peraltro, non si è neppure reso conto.
Ma, come se ciò non bastasse, il prossimo modulo di riforma dovrebbe, nelle intenzioni del governo, ridurre il carico fiscale quasi esclusivamente a vantaggio dei contribuenti più ricchi.
Un semplice esempio chiarirà meglio i meccanismi della riforma. Prendiamo in considerazione due contribuenti entrambi senza carichi di famiglia e con il solo reddito di lavoro dipendente; il primo con un reddito annuo lordo di 20.000 euro e il secondo con un reddito annuo lordo di 150.000 euro. Con le attuali aliquote il primo contribuente paga un'Irpef annua di 3.771 euro, mentre il secondo paga un'Irpef di 59.212 euro. Ipotizzando che le tre aliquote previste dalla riforma, ultima bozza a disposizione come ricordato in precedenza, 23%, 33% e 39%, si applichino, la prima a redditi fino a 26.000 euro, la seconda a redditi fino a 35.000 euro e la terza a redditi superiori ai 35.000 euro, le conseguenze per i nostri due contribuenti, a parità di ogni altra condizione, sarebbero le seguenti: il primo contribuente pagherebbe 3.704 euro di Irpef con un risparmio di 67 euro, mentre il secondo contribuente pagherebbe 53.890 euro con un risparmio di 5.322 euro, con buona pace della redistribuzione della ricchezza tra contribuenti considerando che più aumenta il livello del reddito più aumenteranno i benefici in termini di risparmio d'imposta.
Eventualmente, l'introduzione di una addizionale del 4% sui redditi superiori ai 100.000 euro, voluta da alcune forze della maggioranza, comporterebbe una riduzione del beneficio per il secondo contribuente del nostro esempio di 2.000 euro, resterebbe comunque una riforma a totale vantaggio delle fasce più ricche della popolazione.
A mio avviso se si volesse veramente ridurre il carico fiscale a beneficio dei redditi di lavoro dipendente più bassi, basterebbe reintrodurre il meccanismo delle detrazioni d'imposta elevandole in misura consistente per i redditi più bassi. Inoltre per favorire i nuclei familiari monoreddito e con figli a carico bisognerebbe ulteriormente aumentare le detrazioni per carichi di famiglia. Come si vede la strada per un effettiva riduzione dell'Irpef a vantaggio delle famiglie con redditi più bassi è semplice e immediata, naturalmente anche questa riduce le entrate dello stato ma per lo meno favorisce realmente le fasce più deboli della popolazione.
Volendo considerare le altre misure adottate sin qui dal governo Berlusconi in materia fiscale, tralasciando la pur indecorosa pagina dei condoni sui quali bisognerebbe tornare per analizzare i vantaggi che gli stessi hanno determinato per gli evasori, si troverebbe conferma dei soggetti che hanno effettivamente beneficiato di riduzioni nel pagamento delle imposte. Intanto la famosa abolizione delle imposte di successione ha favorito soltanto chi possiede grandi patrimoni, visto che la riforma adottata dal centro-sinistra aveva di fatti abolito detta imposta per le famiglie con patrimoni “normali”. Ma per capire fino in fondo la logica con cui si è mosso il governo Berlusconi occorre far riferimento alle misure adottate in tema di rivalutazione dei terreni divenuti edificabili e del valore della partecipazioni in società non quotate.
Anche in questi casi avvaliamoci di alcuni esempi. Consideriamo uno dei tanti proprietari terrieri di Molfetta che ha avuto la fortuna di veder inserito il proprio suolo nelle aree edificabili previste dal PRG. Consideriamo che il suolo di che trattasi fosse stato acquistato per un valore di 25.000 euro e che lo stesso a seguito dell'inserimento tra le aree edificabili abbia raggiunto un valore di 500.000 euro. Bene il nostro proprietario nel momento in cui avesse ceduto il terreno per un valore di 500.000 euro avrebbe dovuto inserire la plusvalenza, cioè la differenza tra 500.000 euro incassati al momento della vendita e i 25.000 euro pagati al momento dell'acquisto del suolo quando questi era ancora considerato terreno agricolo, di 475.000 euro nella propria dichiarazione dei redditi e pagare la relativa Irpef, che considerando le attuali aliquote e ipotizzando che il nostro proprietario non abbia altri redditi, sarebbe ammontata a 205.462 euro. A questo punto interviene la norma approvata dal governo Berlusconi la prima volta nel 2002 e poi più volte reiterata con la quale si consente in pratica, al nostro proprietario, attraverso una perizia di stima redatta da un tecnico abilitato, di pagare un'imposta sostitutiva pari al 4% calcolato sul valore di perizia. Nel nostro caso al fortunato proprietario, che era già sicuro di poter vendere il proprio suolo come area edificabile, è bastato recarsi da un ingegnere farsi fare una perizia di stima che determinasse il valore del suolo pari a 500.000 euro, cioè il valore di cessione previsto del terreno, e versare l'imposta sostitutiva dell'Irpef nella misura di 20.000 euro con un risparmio di 185.462 euro!!! con buona pace dei lavoratori che devono accontentarsi delle briciole di riduzione fiscali di cui ho parlato prima.
Analoga misura è stata introdotta per la cessione di partecipazioni in società non quotate, per le quali Tremonti aveva già introdotto una riforma del sistema di tassazione. Anche qui un esempio, anche se più complesso, chiarirà meglio gli effetti della misura adottata dal governo Berlusconi. Consideriamo un socio di una qualsiasi società non quotata che abbia acquistato una partecipazione pagandola 20.000 euro e che si trovava nella condizione di doverla vendere al suo nuovo valore che poniamo pari a 120.000 euro. Sulla plusvalenza realizzata, pari alla differenza tra prezzo di cessione e prezzo di acquisto, cioè su 100.000 euro avrebbe dovuto versare, al momento della vendita, 12.500 euro se la sua partecipazione fosse stata non qualificata oppure 27.000 euro se la sua partecipazione fosse stata qualificata, salvo casi particolari che qui non interessano. Questo, però, prima della riforma Tremonti in materia di plusvalenze da partecipazione, perché dopo la riforma nulla sarebbe cambiato per le partecipazioni non qualificate mentre per le partecipazioni qualificate l'importo di Irpef da versare sulla plusvalenza varia a seconda della situazione reddituale del contribuente. Volendo considerare un contribuente che non abbia altri redditi oltre quello relativo alla plusvalenza l'ammontare dell'Irpef da versare sarebbe pari ad 11.512 euro. Con la norma introdotta dal governo Berlusconi nel 2002 e poi, anche questa più volte reiterata, il nostro socio si limita a versare 2.400 se possiede partecipazioni non qualificate, risparmiando così 10.100 euro, mentre nel caso di partecipazione qualificata il socio si limita a versare 4.800 euro risparmiando 22.200 euro prima della riforma e 6.712 euro dopo la riforma.
Se si considera le migliaia di proprietari terrieri e dei titolari di partecipazione societarie che in Italia avranno approfittato della “bontà” di Berlusconi e dei suoi allegri ministri dell'economia, si può facilmente immaginare la perdita di gettito che misure di questo tipo hanno determinato nel bilancio dello Stato, altro che riduzione delle spese e riforma delle pensione.
Paolo Roselli